Da Dante fino a noi: un passa-parola di Luce!

Premessa: siamo Figli della Luce.

La cerchiamo, la amiamo, ci nutriamo di Lei. Anche quando non ne siamo consapevoli.

Quel E Luce fu! riecheggia dappertutto, ad iniziare dal nostro mondo interiore.

Ci alziamo presto per vedere l’alba, ci sbizzarriamo con le lampade colorate per sconfiggere il buio, ci fissiamo sul cielo incantati dalle stelle, fotografiamo i paesaggi illuminati, amiamo perderci nello scintillio del mare, acquistiamo una casa in base alla sua illuminazione, abbracciamo l’arcobaleno appena possiamo …e pian piano, man mano che raffiniamo il nostro sguardo, percepiamo la Luce anche nelle persone.

 

E siamo attratti da tali creature.

Le cerchiamo e la loro presenza ci apre un mondo.

 

Un po’ di estati fa ero in una farmacia. Era strapiena perché, in pieno agosto, le altre farmacie erano chiuse per ferie. Avanti a me c’era un signore. Anziano. Mite. Paziente.

In mezzo alla fretta dei più, la sua calma serafica svettava come una bella luce rasserenante.

Arriva il suo turno. Chiede. La farmacista gli porta tutto quello che era indicato nelle ricette e lo incoraggia gentilmente: Vedrà che con questi medicinali starà meglio

IL signore le risponde calmo e sorridente: E va beh, se poi non starò meglio va bene lo stesso. Tanto mica ho paura di morire!”

La farmacista, cercando di emergere dall’imbarazzo di quella risposta inaspettata, butta là un esorcizzante:Ma che dice! Avoglia quanti anni ha ancora da vivere!”

Il vecchietto apprezza il tentativo ma le risponde su un altro livello: Ma guardi; io sono già morto una volta e so che non c’è da aver paura!”

La farmacista è un po’ imbarazzata. Sorride comunque.

Io, da dietro, ho inevitabilmente sentito tutto. Mi chiedo se questo vecchietto abbia fatto un’esperienza di NDE (Near Death Experience) senza saperlo.

Sono anni che leggo libri sull’argomento e la mia curiosità verso le parole di quella persona anziana è enorme.

Vorrei fermarlo. Chiedergli. Temo di essere invadente.

Lui esce. E’ il mio turno. Faccio superveloce. Esco di corsa. Lo raggiungo che è ancora fermo sul marciapiede. Sta aspettando un familiare.

Faccio la sfacciata. Ora o mai più. Sono imbarazzata ma mi avvicino lo stesso e gli chiedo: “Scusi, ho sentito la sua risposta prima alla farmacista. Forse la sto importunando. Vorrei, se possibile, saperne un po’ di più su quello che ha detto prima. Sempre che non le dia fastidio parlarne…”

Il vecchietto mi sorride tranquillo. Ha due occhi azzurri da paura. Un sacco di rughe tipiche di chi ha passato la vita sotto il sole dei campi.

Mi dice: Ma no, non ci sono problemi, Le racconto volentieri quello che mi è successo”

Racconta di un campo di alberi da frutta che lui aveva vent’anni prima.

Di un albero su cui lui era salito, per raccogliere e poi, all’improvviso, un piede aveva ceduto, il ramo non aveva tenuto come avrebbe dovuto e lui era caduto di testa. Boom!

Una botta enorme. Un grande dolore. E poi eccolo lì…una specie di sole…una Luce splendida e molto più luminosa di quelle che noi conosciamo sulla terra…una Luce che lo amava e gli parlava…e in quella Luce lui aveva visto i suoi cari…e si sentiva amato…e tutto era meravigliosamente bello!

Io lo ascolto nel suo parlare semplice. Non ha la dialettica di chi vuol convincere.

Anzi. Non gliene importa proprio niente di convincermi.

Semplicemente mi sta facendo un regalo: mi sta dando la sua esperienza.

Io lo ringrazio tanto.

Non mi fermo a spiegargli le NDE. Cosa gli dico? Gli spiego io la teoria, quando lui ha già fatto la pratica?

Però sento una grande gioia in me.

Ancora una volta ho avuto in regalo l’ennesima prova che dopo questa vita La Luce ci aspetta per baciarci teneramente e renderci felici.

E così eccoci al Giardino della Vita voluto da don Umberto.

La luce.

Tre cerchi.

Il trentatreesimo canto del Paradiso del sommo Poeta.

Ne aveva fatta di strada Dante prima di arrivare faccia a faccia con Dio.

Ma ora era lì.

Davanti a Lui.

Per un momento era riuscito a guardarLo “dentro”, e poi è tornato per raccontarci quel che ha visto. Continua a leggere Da Dante fino a noi: un passa-parola di Luce!

Dio è un bacio caduto sulla terra a Natale

Salve professoressa Cristina, io non sono una sua alunna. Non so se questo è il modo migliore per contattarla, ma sentivo il bisogno di scriverle. E spero che un giorno lei potrà leggere la mia lettera.

Sono una ragazza un po’ cresciuta (ho 25 anni) anche se non me li sento per niente. Dentro di me mi sento molto piccola, insicura e fragile. Ho intrapreso da un anno il corso per diventare OSS ed adesso sto svolgendo il tirocinio in ospedale da due mesi. Il lavoro mi piace e credo davvero di aver trovato la mia vocazione. L’ostacolo più grande non è però il lavoro, la pratica, quanto lo studio.

Mi spiego meglio e le accenno qualcosa sul mio passato.

Da piccola ho sofferto di epilessia: Ho un buco di memoria che parte dalla mia giovinezza fino ai 14 anni. In quegli anni prendevo un farmaco che mi stordiva e non mi rendeva efficiente a scuola.

Sono cresciuta con un profondo senso di smarrimento interiore e mi sentivo diversa perchè non andavo mai bene a scuola. Non riuscivo a memorizzare nulla, né a imparare. Negli anni i miei mi mandavano al dopo scuola tutti i pomeriggi, ma io non memorizzavo nulla e mi portavo dentro un disperato senso di angoscia perché mi rendevo conto di non apprendere. Ci sono traumi dentro di me che non sono forse riuscita mai a superare. Ricordo che i miei erano molto scossi per questa situazione.

A scuola le maestre mi mettevano sempre non sufficiente ad ogni pagella. Non ricordo che questi momenti brutti. Ricordo di aver strappato quasi tutte le pagelle di quegli anni. Un giorno sentii i miei parlare in modo abbattuto della mia situazione. ma quello che più mi ribolle è che non comprendo perchè le maestre, anziché aiutarmi a credere in me stessa, mi mettevano non sufficiente. Cosi sono cresciuta odiando me stessa…

Ho fatto molti errori nella mia adolescenza. Non volevo finire la scuola così, al quarto anno, abbandonai tutto. Mi sono fatta usare dai ragazzi, perchè mi reputavo stupida.

Nel buio totale dei miei 18 anni Dio mi venne a prendere. Ricordo la rinascita. Ricordo gli aiuti che Lui mi mandò in quel periodo ed io mi allontanai da tante persone. La malattia che avevo però l’ho scoperta mesi fa. Nessuno mi aveva detto mai nulla. Se l’avessi saputo forse non mi sarei odiata come facevo ai tempi delle scuole. Tempi in cui mi sentivo molto stupida e non capivo perché ero l’unica ad avere problemi con la scuola. Ora facendo questo corso OSS e sento di aver trovato la mia strada. Il lavoro mi piace molto. Eppure non ho la forza x studiare. Ho la fobia dello studio, leggo ma non imparo nulla. Studio poco perché mi scoraggio. Non ho un metodo di studio e non so nemmeno come si fa. L’unico che ha creduto in me è stato il mio ragazzo. Fin dall’inizio. Adesso siamo insieme da un anno eppure io, per le mie insicurezze con lo studio, sto diventando molto insicura e fragile.

E non vorrei questo, perchè amo Andrea e vorrei creare qualcosa di importante con lui.

Lui è la persona che Dio mi ha mandato per aiutarmi a crescere ed a migliorare. Lo sento. Lui non ha smesso un attimo di credere in me. Cara professoressa, mi sento in uno stato di tristezza perché ho tanto da studiare e sto lasciando scorrere tutti questi mesi senza aver avuto la forza di farlo.

A fine gennaio dovrei dare gli esami. E io cosa faccio? Sono qui a lasciarmi prendere dall’ansia e dallo scoraggiamento.

Credo che questo mio problema abbia influito negativamente in tutto. Perché anziché credere in me stessa e in Dio che tutto può, mi lascio ingannare dalla paura di non sentirmi accettata da nessuno.

La paura di deludere tutti ecc ecc.

Come ad esempio anche il fatto di sentirmi a disagio davanti alla madre del mio ragazzo, sempre per il fatto che non sono brava a studiare. Mentre lei ha grandi aspettative per il figlio che studia all’università per diventare infermiere.

Grazie x aver letto la mia storia. Adesso mi preparo per andare a messa con Andrea.

 

Carissima Elisabetta, quanto potere può avere la nostra paura su di noi?

Tanta.

E più gliene diamo, e più se ne prende.

Non si sazia mai.

Ogni problema non nasce quasi mai dal problema stesso ma dalla paura. Continua a leggere Dio è un bacio caduto sulla terra a Natale

Dio vuole che tu sia te stesso!

Cara Maria Cristina ha bisogno di fare una domanda. La mia anima inquieta cerca continuamente Dio. Eh sì, è vero che avere fede è un dono, ma forse io ancora non sono pronta a riceverlo perché, nonostante mi sforzi, rimango continuamente nel vuoto. Nonostante il mio desiderio e la mia ricerca continua, non ho basi solide a cui appoggiarmi. Non ho un’esperienza di catechesi né tantomeno di una vita di comunità che mi possa guidare o sostenere. Certo il sentimento di Fede è qualcosa di personale Ma sappiamo benissimo che poi un vero percorso di conversione prevede l’ausilio di altre figure e di una comunità parrocchiale da frequentare e con cui condividere le esperienze.

Ebbene, arrivo al dunque: ho provato nel tempo ad avvicinarmi alla mia comunità, in un piccolo paesino in ************* ma non ci riesco e ogni volta rimango scottata.

Sicuramente io ho molti pregiudizi nei loro confronti e sento che anche loro li hanno nei miei. In un piccolo paesino come il mio, i ragazzi sono sempre suddivisi tra quelli che frequentavano i bar e quelli che frequentavano la parrocchia Certo io non ero tra questi ultimi, nonostante nel privato e in solitudine io mia mi sia sempre rivolta a Dio.

Ora sono cresciuta. Non sono più la ragazza che frequenta il bar. Ho un marito e due figli e sento fortemente l’esigenza di vivere la mia fede più appieno e in modo più coinvolgente anche per poterlo trasmettere ai miei figli. Però così non ci riesco. Rimane un pensiero, un atto solitario che non riesco a condividere con gli altri. Nel frattempo invece i ragazzi che frequentavano la parrocchia sono cresciuti con lo stesso legame di tanti anni fa.

Rimangono quindi, ai miei occhi, delle persone che si frequentano da tanti anni e che hanno formato (sempre secondo me) un gruppo piuttosto ristretto. Chiuso. Ogni volta che cerco di affacciarmi a questa nuova realtà mi sento a disagio, non mi sento accolta. Nonostante i loro sorrisi, c’è sempre qualche battutina. Tra le altre cose purtroppo, conoscendoli anche nel privato, non ho una buona opinione di loro e del loro essere veramente cristiani al di fuori delle celebrazioni della domenica. Sono tutte persone arroccate alle loro sicurezze e che non si sono mai sporcate le mani. O perlomeno, mettiamola così, non che io sappia.

Io da anni faccio volontariato, sono stata sei mesi in un paese in via di sviluppo ad aiutare madri e bambini abbandonati, per una o.n.g. gestita da suore. Da anni presto volontariato e lavoro come OSS, con un’attitudine che mi contraddistingue. Sto sperimentando, in piccola parte, la gioia di poter partecipare ad una piccola comunità di Fede, tutti i sabati pomeriggio, quando celebriamo la messa nella nostra casa di riposo con la dolce perpetua del parroco.

Ecco, solo in quel momento sento di far parte di una comunità di Fede. Quando insieme prepariamo l’altare, quando mi preparo per le letture… Il parroco che viene a dir messa da noi è un giovane indiano a cui affido tutti i miei peccati. Ma il parroco di ruolo (se così si dice) del nostro paese, è quanto di più odioso possa esistere. Un uomo arrogante che non ti saluta mai per primo e che raramente risponde con un sorriso ad un saluto altrui. Un uomo che usa l’ironia come mezzo di comunicazione normale, che fa battute sarcastiche e non ha mai una parola di conforto (a meno che tu non faccia parte della sua ristretta cerchia di adepti, tutti lì a rallegrarsi in chiesa tra di loro).

Bene, forse avrà già capito qual è il mio problema ma cercherò di spiegarmi lo stesso.

Quale può essere il mio percorso di fede in una situazione del genere, senza nessun punto di riferimento se non questa piccola perpetua rinchiusa tra le mura di una casa di riposo? Oppure il mio caro pretino indiano che, gira voce in paese, se la faccia con diverse donne.

Ho bisogno di qualcuno Ho bisogno di un percorso, di una comunità. Ho bisogno che la mia fede esploda. Non so a chi rivolgermi e, nel frattempo, mi dispiaccio perché la mia frequenza alla messa non è assidua, perché non riesco a partecipare agli incontri che ritengo vacui e intrisi di paroloni ripetuti a pappagallo senza che ci sia una reale corrispondenza nella realtà.

Per me, povera peccatrice inquieta che tanto ho sbagliato nella vita, quale conforto posso trarre di fronte a queste persone nate e cresciute nella grazia di Dio, che sembra non abbiano mai messo un piede in fallo, che pare non abbiano mai un dubbio, che tanto cantano le lodi di un Dio che sento che mi sta chiamando ma a cui non riesco a rispondere, perché non so chi devo seguire?

Dove devo andare? E’ difficile leggere e interpretare la parola senza un sostegno. Per ora i miei maestri sono Don Paolo Curtaz e don Fabio Rosini che vorrei tanto seguire nei loro incontri. E questa pagina che ogni giorno mi dà piccole perle di gioia. Rita.

 

Carissima Rita, tu non immagini quante volte io abbia ascoltato sfoghi simili al tuo.

Il non sentirsi accettati proprio da quella comunità cristiana che, invece, dovrebbe dare il benvenuto a braccia aperte, è un muro ingiusto su cui non dovremmo mai sbattere.

Che sia vero quel che tu scrivi o che sia solo una tua percezione, restano comunque attuali le parole di Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». E’ un passaggio famoso dell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (anche se, in realtà, è una citazione di un suo precedente discorso pontificio tenuto durante l’Udienza al Pontificio Consiglio per i laici del 2 ottobre 1974).

Un giorno un mio amico, spiegandomi il suo ateismo, mi disse questa frase (attribuita, sembra, a Woody Allen): Non ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa”. Continua a leggere Dio vuole che tu sia te stesso!

Dio dispone di pochi di noi a cui sussurrare nell’orecchio. (Robert Browning)

Ciao Cri, è‘ bellissimo quello che ti è successo, ed è ancora più bello perché lo hai riconosciuto, ti sei accorta che la Provvidenza stava operando e sei stata docile strumento; consapevole che quello era il meglio per te!

Ma come si fa questa magia? Come si fa a smettere di vedere la propria vita come un’insieme di strade sbagliate, interrotte, riprese, tentativi, poi ancora tentativi etc. Quando è che lo scarabocchio si trasforma in opera d’arte?

Dio ti benedica

Katia

 

Carissima Katia, io la vedo un po’ così. Hai presente quando stai pitturando un grande affresco? Mentre lo fai, mentre sei a pochi centimetri dall’intonaco fresco che stai dipingendo, non vedi molto bene ciò che sarà alla fine.

Lo immagini perché già ce l’hai un po’ in mente, ma ancora non ti rendi perfettamente conto dell’effetto che quella pennellata darà all’intera opera. Per questo, ogni tanto, è necessario allontanarsi ed osservare da lontano l’opera d’arte che sta emergendo.

Oppure hai presente quando abbiamo un pezzettino di terra a disposizione per farci giardinaggio? Iniziamo a piantarci fiori e piante per farlo venire bello come noi già lo immaginiamo. Però è necessario far passare del tempo per vedere realmente l’effetto finale.

Ecco…

Quando viviamo, passiamo tanto tempo (per forza di cose) con il pennello in mano a pochi centimetri dall’opera. Come possiamo, quindi, vedere con chiarezza l’effetto finale?

Viviamo concentrati nel mettere in terra la piccola piantina: ma come possiamo sapere, con certezza, quanti fiori darà alla fine?

Ci vuole lontananza e tempo per vedere meglio il senso degli eventi.

Anche quel mio racconto, io l’ho scritto a distanza di anni. Lì per lì non mi ero resa tanto conto dell’affresco che stava venendone fuori e dei fiori che sarebbero spuntati dalle mie scelte.

E fin qui ci siamo.

 

Eppure, ogni tanto, pur col pennello in mano, “sentiamo” chiaramente che certe coincidenze non sono solo il frutto del caso. Non è che ne abbiamo la certezza assoluta, ma “sentiamo” che Dio non lascia vacillare il nostro piede e non si addormenta, ci custodisce come ombra, ci copre e sta alla nostra destra, vegliando su di noi sempre” (cfr. Salmo 120).

Quando sentiamo, è come se avessimo in mano sia la piantina piccola che la pianta sotto cui riposeremo. E’ come vivere presente e futuro, dandoci il permesso di non sentirci soli e abbandonati dalla vita. Continua a leggere Dio dispone di pochi di noi a cui sussurrare nell’orecchio. (Robert Browning)

“Mamma diceva sempre che i miracoli accadono tutti i giorni” (Forrest Gump)

Questa è la storia di due Fulton. Pronti a conoscerle e ad entrare nei collegamenti misteriosi tra una vita ed un’altra?

Ed allora iniziamo ad addentrarci nell’avventura delle coincidenze straordinarie.

Un Fulton è nato nel maggio del 1895 a El Paso e l’altro è nato nel settembre del 2010 a Peoria nell’Illinois, diocesi in cui nel lontano 1919 veniva ordinato presbitero il primo Fulton della nostra storia.

Ma partiamo proprio da lui: Fulton John Sheen. Arcivescovo cattolico, scrittore statunitense ed uno dei primi e più celebri telepredicatori cattolici (prima via radio e successivamente per televisione)

E’ stato il più grande di quattro fratelli ed i suoi genitori, Newton e Delia Sheen, erano di origine irlandese.

Ordinato sacerdote nella diocesi di Peoria nel 1919, intelligente, arguto, ironico, divenne rapidamente un famoso teologo “vincendo” anche il Premio internazionale Cardinale Mercier per la filosofia nel 1923.

L’elenco dei suoi incarichi è lungo. Insegnante di teologia e filosofia all’Università Cattolica d’America, vescovo ausiliare di New York dal 1951, vescovo di Rochester dal 1966 e arcivescovo titolare di Newport nel 1969. Ma la sua attività più affascinante, ai miei occhi, è la sua grandissima comunicativa nel parlare di Dio a tutti.

Per vent’anni (dal 1930 al 1950) Sheen tenne un programma radiofonico serale chiamatoThe Catholic Hour. Poi passò alla televisione con una serie di programmi di grandissimo successo.

Seguitissimo, seminava fede e speranza con grande bravura e passione! E Dio solo sa quanto ci sia sempre bisogno di questa semina nel nostro complicato mondo!

Presentò Life is worth living ed infine il The Fulton Sheen Show (giusto per ribadire la sua bravura di comunicatore, diciamo che vinse due volte un Emmy Award per la personalità televisiva più eccezionale e venne menzionato sulla copertina del Time).

Che dire? Avrei voluto esserci in quegli anni (tra il 1951 ed il 1968) per ascoltarlo. Anche altri l’hanno pensata questa cosa, per cui dal 2009 i suoi spettacoli sono stati ritrasmessi in tivù.

Ma la cosa che più mi ha affascinato di Fulton è la sua ironia! In quel periodo nelle sue trasmissioni non vi erano né copioni da seguire e né suggeritori dietro le telecamere: c’erano solo le sue parole piene di ironia e Grazia di Dio. Quando hai da raccontare la Buona Notizia, non occorrono scenografie o trucchi. Continua a leggere “Mamma diceva sempre che i miracoli accadono tutti i giorni” (Forrest Gump)

Viva la libertà!

Prof, è tutta la mattina che ho in testa questa canzone. Chissà se le ragazze del carcere la conoscono e la cantano. Grazie ancora per l’avventura di oggi!”.

Sono le 18.00 e chi mi scrive è Alessia, alunna oramai alla soglia dell’esame di maturità. Oggi lei, insieme ad altri 35 ragazzi e ragazze, è venuta con me al carcere femminile.

Volevamo passare bene la Giornata della Donna ed abbiamo pensato che sarebbe stato bello iniziarla con donne in rinascita.

Dovevamo ritornare a scuola per le 13.10; puntuali con l’orario classico di fine lezione. Invece siamo tornati alle 15.10. Due ore di ritardo. Due ore come il tempo che mi ci è voluto per convincerli a venir via dal carcere. Gli abbracci finali non finivano mai e tante domande sono rimaste lì, in sospeso.

Le ragazze” (come le ha chiamate Alessia) ci hanno accolto con uno spettacolo di danza.

Io non so bene come raccontare una mattinata in cui ho visto lacrime e sorrisi scorrere in lungo e in largo.

Ho osservato balli di gruppo pieni di risate e passi di danza intrisi di timidezza.

Ho ascoltato commoventi inni alla vita da chi, più di una volta, ha pensato seriamente al suicidio.

Ed alla fine mi sono chiesta: perché appena posso, ritorno in carcere?

Una risposta me la sono data. Continua a leggere Viva la libertà!

I drammi più commoventi e più strani non si svolgono nei teatri, ma nel cuore degli uomini (Jung)

 

“Stavo per andare a dormire e mentre facevo un giro su FB ho visto questo post. Lo avevo già letto, ma stasera ha un sapore diverso.

Sarà che è da qualche mese che tra alti e bassi, sto un po’ “NI”. Nella notte oscura dell’anima. È uno strazio ma nello stesso tempo no.

Non so neanche esprimere a parole quello che alberga nel mio cuore. So solo che ho difficoltà a pregare: O meglio, a dire le preghiere.

Nel mio spazio di preghiera sono spesso di malumore e intrattabile… Non so quando finirà…

Buonanotte! Nadia

 

Cara Nadia, probabilmente se la vita (o “Dio” a seconda del nostro cammino spirituale) non ci sorreggesse, rimarremmo facilmente bloccati nelle sabbie mobili dei nostri drammi interiori.

Invece la vita (o Dio a seconda …) ci aspetta, regalandoci il sole per illuminare i prati della nostra allegria e la luna per combattere la tenebra delle nostre solitudini.

Insomma: anche nel buio, nella preghiera distratta, nella fede fragile, nel tumulto delle contraddizioni, nella fame di serenità, nei dubbi destabilizzanti, nei conflitti interiori… la vita” (o Dio a seconda …) ci aspetta.

I nostri malumori non sono stridio e basta.

La vita compone musica sinfonica anche con la nostra voce stonata.

Quell’Io sono la Via, la Verità e la Vita unito a quel Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza!” sono una polizza assicurativa contro i crolli motivazionali della nostra spiritualità.

Dio non ha certo paura dei nostri incidenti esistenziali.

E neanche noi dovremmo averne.

I conflitti interiori non sono né inutili pesi sull’anima e né diti puntati sull’imperfezione.

Sono scrigni segreti che ci ricolmano di nostalgia di amore (per noi stessi, per gli altri, per il creato e per il Creatore).

Sono richiami della nostra anima che vuole essere felice.

Le nostre nottate in bianco, le ricerche di “senso” fatte col fiato corto, i libri letti con desiderio, l’alternarsi di sentimenti contraddittori…tutto è occasione e grazia.

Tutto è spinta divina per andare più in là ed avere vita in abbondanza. Continua a leggere I drammi più commoventi e più strani non si svolgono nei teatri, ma nel cuore degli uomini (Jung)

Siamo tutti custodi di una “Presenza”. Qualcuno la chiama “Dio”.

“Non è possibile alla logica matematica arrivare a dimostrare il teorema dell’esistenza di Dio, in quanto, se così fosse, Dio potrebbe essere solo matematica. DIO INVECE È TUTTO”  (Antonino Zichichi) 

Cara Maria Cristina, questa frase l’ho appena letta sul libro di religione di mio figlio, mi è piaciuta tanto e l’ho voluta condividere con te.

 

Cara Luisa, quel Dio è tutto contiene in sé tutta la musica del mondo, tutti i profumi esistenti e tutti i passi viventi… contiene ogni acqua ed ogni minuto …. contiene tutti i pensieri fatti dal big bang ad oggi… contiene tutte le altezze e le lunghezze e le profondità dell’intero creato… contiene ognidove” ed ognicome”… contiene il totale, l’universale ed il completo!

Dio è tutto!

 

 

E quando dico “tutto” voglio dire che è impossibile rinchiuderlo in un concetto, in una formula matematica e perfino in una religione.

Se avessimo l’entusiasmo ed il coraggio di entrare nei meandri di quel “TUTTO”, potremmo prenderci le ferie da qualsiasi paura e chiusura mentale.

Non rischieremmo più di farci un Dio a nostra immagine.

Contempleremmo di più  e parleremmo di meno.

Quando pensi che Dio è tutto, ti viene anche voglia di non usare più il nome “Dio”, perché anche quello ti sta stretto. Continua a leggere Siamo tutti custodi di una “Presenza”. Qualcuno la chiama “Dio”.

La malattia reca con sé sguardi nuovi sulla vita

“La parola di Dio per me è fonte presso cui mi disseto. Leggevo il blog ed ho condiviso il post che afferma che tutto è guidato da Dio secondo i suoi piani. Mi chiedo se anche una malattia possa essere voluta da Lui. Soffro da mesi a causa di un tumore che ha colpito mio padre, in un momento in cui avrebbe voluto vedere noi figlie più realizzate. Prima che si ammalasse aveva pensieri di forte scoraggiamento riguardo al nostro futuro, vedeva tutto in senso negativo. Si era allontanato già da parecchio dalla fede, covando rancori e custodendo in sè qualche suo peccato che mi sembrava lo stesse divorando. Costantemente mi chiedo il perchè della sua malattia e soffro nel vederlo impotente. Giulia”

Carissima Giulia, non so cosa rispondere al tuo “perché” riguardante la malattia di tuo padre.

D’altra parte chi, se non il Creatore, saprebbe darci una risposta certa e chiara in proposito?

E chi, se non Gesù stesso, saprebbe poi convincerci in modo indubitabile che Dio non ci vuole infermi? Le sue guarigioni regalate in ogni angolo della Palestina, parlano chiaro.

Dio quindi, non ci vuole né ammalati e né deboli.

Questa è una certezza che Gesù ci ha lasciato in eredità.

Eppure, nonostante questa chiarezza teologica, il dubbio che dietro ogni malattia ci sia lo zampino di Dio, ci rimane sempre.

Sarà l’inconscio…

Sarà il bisogno di trovare un capro espiatorio

Sarà la rabbia di sentirci senza futuro…

Sarà la tentazione di farci un Dio a nostra immagine e somiglianza

Sarà che l’infermità debilita il corpo e schiaccia l’anima…

Certo è che quando la malattia inizia a camminarci accanto, ci vuole un surplus di fiducia nella vita per continuare ad esserle grati.

E la fiducia nella vita viene soltanto trovandole un senso.

Io non conosco altro modo per sentirla appiccicata a noi anche quando la malattia ci vorrebbe isolati e già morti. Continua a leggere La malattia reca con sé sguardi nuovi sulla vita