Continua a leggere Il Cielo sopra di noi e quello dentro di noi
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Le ragazzine si sposavano a 12 anni e andavano nei campi a coltivare cipolle, adesso il 100% frequenta le lezioni
A Davide, il mio alunno innamorato
“Come state ragazzi? Fatemi vedere se siete belli come nel 2020!!! E come va il vostro mondo interiore? State cercando la felicità?”
E’ la prima ora: praticamente il momento in cui devi fare iniezioni di buonumore e grinta mattutina, pur di svegliarli. Anche a costo di dire battute sceme in DAD.
La parola d’ordine è: sorridere e sdrammatizzare l’impatto delle 8.10 con la prof e lo schermo.
“Siete felici? O vorreste sbattere la testa sul muro ché non ne potete più di stare a casa?”
I ragazzi ridono.
Io pure.
Oooh. Abbiamo abbattuto sul nascere il muro del suono lamentoso.
Davide (lo chiamerò così) invece, oltre a ridere, risponde. Davide: un viso dolce con atteggiamenti estremamente delicati. Mi rimase impresso nelle prime settimane del primo anno delle superiori, per quel suo modo sensibile di fare e per quel suo linguaggio forbito nell’esprimersi.
Un giorno mi mandò un vocale mentre ero alla mia decima chemio. Lo ascoltai mentre l’infermiera stava iniettandomi Taxolo a volontà ed anche lei rimase stupita.
“Ma chi è?”
“E’ un mio alunno fantastico” le risposi.
Vabbè: poi vidi il video della classe intera che mi augurava buon cammino, e mi si sciolsero le cataratte.
Ma torniamo alla questione principale: Davide e la felicità. “Prof, io lo so cosa è la felicità”
“Davideee! Allora sei felice? Ma quanto sono contenta! In questo mondo di lamento perenne, tu sei la mia luce stamattina!”
Doppiamente felice. Non posso dimenticare, infatti, lo sguardo drammaticamente triste di Davide, nei primi due mesi di scuola. “Che succede? Che c’è?” Ma anche per una persona con una spiccata intelligenza introspettiva come Davide, era difficile trovare l’alfabeto giusto per spiegare il dramma dell’angoscia interiore. A volte essere sensibili ed intelligenti insieme, è un boomerang. Davide aveva cercato di farci capire. Noi avevamo tentato di aiutarlo. Ma “se bastasse una bella canzone”, cantava Ramazzotti.
Poi ricordo l’ultima lezione insieme, prima del lockdown. Lui, il mio assistente di fiducia al pc ed io al Registro Elettronico. Gli stavo dicendo cosa caricare sulla Lim per la lezione, quando mi uscì quel “Come stai?” quasi per caso. Anzi, proprio non volevo chiederglielo per non farlo trovare in quella tediosa situazione di dover decidere se essere falso (“va meglio”) e così tagliare ogni possibile ulteriore domanda, o essere crudo (“va male”) e lasciar entrare quella malinconica frustrazione che ribadisce che la cacciata della depressione non è cosa facile. Invece quel giorno lui mi stupì con effetti speciali. “Bene prof, Sto bene. Anzi, direi senza alcun dubbio: benissimo!!!” Alzai lo sguardo dal Registro Elettronico per indagare sulla veridicità della sua risposta. Non c’erano dubbi: Davide era chiaramente felice. Gli occhi gli brillavano. Continua a leggere A Davide, il mio alunno innamorato
Vincent…c’è!
Il Logos nasce sul bordo degli inferi
Classe prima (avete presente quei quattordicenni che non s’augurano a nessuno?)
Rublëv (avete presente quel sommo iconista russo che in pochi conoscono?)
Natività (avete presente quella durissima tenzone tra Luce e Tenebre che abbiamo quasi tutti superficialmente riassunto in un semplice dolce evento?)
DAD (avete presente quelle lezioni fatte al pc che ora, però, chiamiamo DID perché ci piace più la parola “integrata” che “distanza”?)
Ecco.
Ci siamo.
Vivere la vita per intensità e non per lunghezza
“Facciamo così: vi do un minuto di tempo per trovare un oggetto che rappresenti voi in questo periodo di quarantena e poi vi darò un altro minuto per spiegarlo.
Un minuto senza pause, senza domande da parte mia, senza interruzioni, senza giudizi. Sarà il vostro minuto!”
La Didattica a Distanza ci obbliga ad inventare modi nuovi per “sfruttare” il nostro entrare nelle case dei nostri ragazzi.
Vedo i miei alunni allontanarsi velocemente dalla telecamera per cercare l’oggetto.
Io, al microfono, cronometro il minuto.
Sessanta, cinquantanove, cinquattotto…
Tre, due, uno…stoooppp!!!
Ed eccoli tutti tornare avanti alla telecamera.
“Chi inizia ragazzi?”
Loro sanno quello che sto chiedendo loro, perché poco prima abbiamo visto due minuti del film “Una settimana da Dio”.
I due minuti in cui il protagonista Bruce, dopo una settimana vissuta con i poteri di Dio, ritorna da Lui con la coda tra le gambe. In una settimana era riuscito a combinare i peggio casini.
Il primo giorno era entusiasta all’idea…
L’ultimo giorno era angosciato per quello che aveva combinato e le conseguenze che aveva provocato.
E’ in quel momento che Dio (alias Morgan Freeman) gli mette un braccio sulle spalle e, come un padre paziente, gli spiega. Continua a leggere Vivere la vita per intensità e non per lunghezza
Voglia di felicità… e quel cromosoma in più che ce l’ha!
E’ l’ultima lezione di religione nella 2B del Liceo Artistico ed abbiamo voluto finire l’anno scolastico facendo il gioco della “sedia che scotta”.
I ragazzi se lo aspettano; sono contenti ed agitati, entusiasti ed emozionati. Vogliono fare il gioco, ma lo temono anche. Per questo ci siamo dati una regola-base: nessuno è obbligato a farlo.
La seconda regola è che chi si siede sulla “sedia che scotta”, dovrà essere schietto, vero, leale, sincero.
La terza regola è che tutte le rivelazioni, gli sfoghi, le risate, i pianti, le emozioni e gli abbracci che nasceranno in quei cinque minuti (tale è la durata del gioco per ciascuno), dovranno restare lì! Nessuno dovrà trasformare quei cinque minuti di “verità estrema” in un “pettegolezzo ignobile”.
Tutti pronti?
Ragazzi seduti in cerchio intorno alla cattedra; si parte!
A turno, ogni cinque minuti, ognuno si siede al posto dell’insegnante e l’avventura inizia.
“Cosa hai sul comodino in camera tua?”
“Hai vinto un viaggio e puoi portare solo cinque compagni di classe: chi scegli?”
“Sei innamorato?”
“Dicci tre caratteristiche del tuo carattere che vorresti cambiare e tre che, invece, ti piacciono”
“Quando hai pianto l’ultima volta?”
“Sei mai stata tradita?”
“Ti sei mai ubriacato?”
“Da 1 a 10, secondo te quanto è unita la tua classe?”
“Immaginati tra dieci anni: cosa vedi? O comunque, cosa speri?”
“Se fossi la Dirigente Scolastica di questa scuola, cosa cambieresti?”
“Hai mai fatto a botte con qualcuno?”
“Scegli tre persone della tua classe che dovranno dire una tua caratteristica positiva (che pensano davvero, ovviamente)”
“Tu credi che l’amore per sempre, possa esistere?
“Quanti amici veri hai nella tua vita?”
Ed il gioco va avanti. Continua a leggere Voglia di felicità… e quel cromosoma in più che ce l’ha!
Storia di un esperimento scolastico (finito bene!)
Lo vedete questo momento?
Li vedete questi volti?
E’ l’ultima lezione in una quinta classe.
E’ una foto che rappresenta la fine di un esperimento durato cinque anni.
Dai loro quattordici anni, quei visi hanno litigato e fatto pace.
Riso e pianto.
Si sono abbracciati e si sono respinti.
Li ho visti ostinatamente silenziosi e provocatoriamente eloquenti.
Ed ora?
Racconto solo un aneddoto.
Nella penultima lezione una ragazza, ad un certo punto, si è alzata ed è uscita velocemente con le lacrime agli occhi (a volte capita di raccontare o spiegare eventi, che entrano nel cuore altrui con troppa foga). In pochissimi secondi ho visto la classe organizzarsi per aiutarla, senza darlo a vedere. Nessuno ha fatto commenti. Nessun gossip da quattro soldi si è intrufolato nella lezione. Nel silenzio raccolto, si sono fatti avanti sguardi d’intesa; un paio di studenti sono usciti in punta di piedi per andare a prendersi cura di quelle lacrime e la lezione è continuata, sotto il controllo di tutti.
Unitissimi.
Negli anni passati non è stato sempre così. Continua a leggere Storia di un esperimento scolastico (finito bene!)
“La libertà è amarci, mentre impariamo dagli errori
Carissima M. Cristina, perdonami se ti do del tu senza nemmeno conoscerti, ma da qualche tempo ormai la tua pagina mi è più familiare di tante presenze geograficamente vicine nella mia esistenza. Cercare il tuo blog e scorrere i tuoi post è divenuta un’abitudine ormai consolidata, una routine come quella della sana colazione che ricarica il corpo mentre la tua pagina ricarica lo spirito. Non solo per una mera condivisione e ricevere quei tanti like che piacciono al giorno d’oggi, ma per sentire vibrare quella corda del cuore, quella un po’ risentita, un po’ vulnerabile che tu sembri conoscere in molti di noi, tuoi accaniti lettori. La mia felicità è doppia quest’oggi nello scriverti, perchè rigiro tra le tue mani il tuo libro, ieri giunto a me in un bellissimo pacco regalo. Dunque mi sembrava naturale scriverti per ringraziarti, perchè in un momento tanto precario della storia e in cui noi giovani siamo tanto “orfani” spiritualmente, leggere le tue perdonarsi, mettendo quasi in discussione la bontà di Dio nell’avermi creata.
So che se dentro di me c’è qualcosa di Lui e dunque qualcosa di bello deve esserci da rendere prezioso, custodire e offrire al
mondo. Eppure quanto è difficile spogliarsi di quel lenzuolo di paure, insicurezze e senso di inadeguatezza che ci fa rimanere nel sepolcro, facendo perdere di vista la resurrezione di Gesù Cristo. Quanta superbia nel nostro cuore nel non accettare i limiti della nostra condizione umana. Eppure potremmo scoprirli come punti di forza, attraverso i quali poterci riconoscere fratelli e figli. Fratelli nell’infinito bisogno di amore, nel desiderio di essere autentici e camminare con Lui.Cara M.Cristina, la strada è lunga ed è un continuo camminare… ma grazie a persone come te il percorso si fa più luminoso e i passi più certi, anche se non ci conosciamo. Mantieni viva la tua fiamma di speranza e di amore e aiuterai tanti giovani a fare luce dentro di sé, nonostante le proprie ombre. Grazie, con affetto Miriam
Carissima Miriam, in quest’ultimo mese, sono stata più in carcere che fuori. Ed ho imparato tanto. Ma soprattutto, parlando con i detenuti, ho capito che il carcere più duro da vivere, è quello della continua condanna verso noi stessi.
E’ un po’ come vivere sempre nella tomba, senza arrivare mai alla resurrezione. Continua a leggere “La libertà è amarci, mentre impariamo dagli errori
Il bullismo raccontato da una fragilissima e tosta quattordicenne
Si chiama Alice, ha 14 anni, un aspetto bellissimo (particolare da tenere bene in mente quando leggerete il suo scritto) ed alcune fragilità che l’hanno resa speciale.
Un giorno mi si è avvicinata con un bigliettino scritto a mano.
Me l’ha dato quasi sottobanco dicendomi: “Qui prof ho scritto alcune cose che non sono riuscita a dirle a voce. Vorrei che le leggesse!”
Mi sono portata a casa quel bigliettino prezioso e per alcuni giorni non sono riuscita neanche ad aprirlo per le tante corse che sempre mi accompagnano nelle mie giornate.
Poi oggi l’ho aperto e l’ho letto.
Sono rimasta a bocca aperta per quel che mi diceva e per come me lo diceva. Con il suo permesso, farò diventare questo bigliettino, ricchezza per tanti!
“Buonasera prof, le vorrei raccontare una cosa che non ho fatto in tempo a dirle la scorsa lezione, quando abbiamo parlato del bullismo.
Io dalle persone non sono mai stata accettata. Per la mia timidezza. Quando sono con le persone non so mai cosa dire.
Ecco perché ho sempre cercato di legarmi con persone molto
estroverse. Ho cercato, perché in realtà non ci sono mai riuscita.Osservandomi da cima a fondo, vedendo il mio abbigliamento, il mio silenzio…le ragazze della mia ex scuola (parlo delle medie inferiori prof) mi hanno sempre presa di mira, parlando male di me tra di loro. E siccome in gruppo io non parlavo, loro non mi rivolgevano parola e mi trattavano come fossi un essere invisibile.
I ragazzi, beh…ancora peggio. Mi facevano sentire male per il mio aspetto fisico, facendomi sentire più brutta di quanto io non lo fossi già.
Lo scorso anno, in terza media, tutto è iniziato in un modo che mai mi sarei aspettata. Mi sembrava di vivere un bruttissimo film. Scotch nei capelli, sempre presa di mira nel peggiore dei modi, facevano volare i miei oggetti…arrivai ad un punto tale che piangevo come una bambina e desideravo cambiare scuola. Alla fine dissi qualcosa ai prof e loro presero provvedimenti.
Tutti mi consideravano la più debole, ma ero la più forte.
Lì poche persone mi sostenevano e quelli che si
consideravano forti, si sono poi rivelati deboli e pieni di paura. Avevano paura persino di dire al prof: “E’ stato quel tipo a rubare i libri dagli zaini, per copiare”. Io sono stata l’unica a dirlo. Tutti gli altri avevano paura di quello lì. Stavamo rischiando una nota di classe ed io sono stata l’unica ad ammettere chi fosse il ladro dei libri.Per me la cattiveria non ha lo scopo di indebolirci ma di fortificarci. Ecco perché non può essere eliminata.
Io quest’anno mi sto trovando bene. La classe è parecchio vivace ma anche divertente e in molti mi hanno accettata. Ho anche più amici. E se io, che in genere ho molta pazienza, arrivo al limite, uso il mio carattere. E’ morta quell’“Alice” che stava
zitta e buona buona.E non vale la pena uccidersi per quelle persone super deboli. Anzi, rispondete, parlate con i migliori amici, con i genitori, gli psicologi, i professori, i presidi…
Uccidermi, mai e poi mai! Siamo giovani ed abbiamo tutta la vita davanti.
Scusi per gli errori grammaticali; l’ho scritto di fretta. Arrivederci prof e grazie per avermi ascoltata. Alice”
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