“Sinceramente sono un po’ stufo di sentir parlare di preghiera e preghiera del cuore…. ma cos’è la preghiera?
Neanche chi dovrebbe farla e insegnarla sa come si fa”
Chi scrive è Pasquale, una persona di passaggio nella pagina facebook “In te mi rifugio” ed il suo commento si riferisce ad un filmato che avevo postato poco prima con Papa Francesco (https://www.facebook.com/Tv2000it/videos/vb.117477631675280/361502517972466/?type=2&theater )
Il pontefice stava parlando della preghiera ed il filmato riporta queste sue parole: “Pensiamo a quella scena del Monte Carmelo, quando il profeta Elia scommette con i sacerdoti di Baal. Loro gridavano, ballavano, chiedevano tante cose perché il loro Dio li ascoltasse. E invece Elia stava zitto e il Signore si rivelò ad Elia. I pagani pensano che parlando, parlando, parlando, si prega. E anche io penso a tanti cristiani che pensano che pregare…scusatemi eh… sia parlare a Dio come un pappagallo. No! Pregare si fa dal cuore. Da dentro”
Avevo postato quelle parole di papa Francesco perché mi sembravano chiare, ma Pasquale, con la sua domanda-provocazione, mi aveva incuriosita.
Io gli avevo risposto: “Hai posto una bella domanda. Ma per te cosa è la preghiera?”
Mi aveva incuriosito quel suo dire “Neanche chi dovrebbe farla e insegnarla, sa come si fa”. Chi sarebbero questi “addetti ai lavori” che dovrebbero farla ed insegnarla? I preti, i monaci, i mistici… chi?
Pasquale aveva preferito rispondermi con un’altra domanda: “Per te cos’è la preghiera? Posso sapere chi mi risponde?”
Passano i giorni ed io mi dimentico di Pasquale e della sua domanda. Ma Pasquale, oggi, ha richiesto: “Aspettavo una risposta”. E dopo un po’, ancora “Aspettavo una risposta”. Ha ragione.
E così, convinta che ogni provocazione rechi in sé qualcosa di utile, cerco di dire con un post nel blog, quel che avrei dovuto scrivere obbligatoriamente in poche righe, su facebook.
Cercherò di essere vergognosamente sintetica.
Spero che, così facendo, non mandi la chiarezza a farsi friggere.
Nessuno può insegnare ad altri a pregare.
A dire le preghiere, sì.
A pregare, no.
Ognuno dialoga con Dio a modo suo.
Nel libro dell’Apocalisse, nella lettera alla chiesa di Pergamo, si legge:
«E all’angelo della chiesa in Pergamo scrivi: …Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: a chi vince io darò da mangiare della manna nascosta; e gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno conosce, se non colui che lo riceve».
Corriamo tutti verso la vittoria dunque, per prendere la manna nascosta, il cibo celeste, il Dio che si è fatto pane e che ci toglierà ogni fame ed ogni sete. Tutta la felicità dell’universo scorrerà nelle nostre vene.
Ed insieme alla “manna nascosta”, ognuno di noi riceverà anche una pietruzza bianca. Nei tempi antichi le pietruzze (o sassolini bianchi) servivano a vari usi: erano il voto d’assoluzione di un accusato, la tessera d’ingresso agli spettacoli, ai banchetti, con sopra scritto il nome dell’invitato. Ma in questa frase biblica quasi certamente si allude all’uso di dare ai vincitori delle gare olimpiche una pietruzza bianca (color della vittoria) con sopra il nome del vincitore. Una tale tessera dava al vincitore il diritto a vari onori e privilegi quando faceva ritorno alla sua città.
Dunque: mangeremo il Pane del Cielo (nelle nostre vene scorrerà Gesù e la sua vita); avremo la pietruzza bianca della vittoria (perché Dio ci tratta da guerrieri della Luce in lotta contro le tenebre) ed avremo il “nome nuovo”. Eccolo qui!
Il nome, nella bibbia, è importantissimo! Rappresenta l’essenza di una persona. Non è solo un dato anagrafico, ma una caratteristica essenziale. Quasi ontologica.
E quel nome nuovo “Nessuno lo conosce” se non colui che lo riceve.
Perchè le lotte e le vittorie di un’anima sono un’esperienza personale che solo Dio conosce.
«Vuoi tu sapere qual sarà il nuovo nome che riceverai? Vinci. Prima, tu lo chiederesti invano; dopo la vittoria, lo leggerai subito sulla pietruzza bianca» (Bengel).
Ognuno di noi ha ed avrà con Dio, un rapporto unico ed irripetibile.
Vuoi quindi che anche la preghiera non sia unica ed irripetibile?
E se è così, chi si potrà arrogare il diritto di diventare “Maestro di preghiera”? Certo: potrà dare consigli, condividere alcune esperienze personali, ma insegnare a pregare, no.
Si può insegnare ad una coppia a far l’amore?
Si potrà insegnare tecniche, si potrà condividere consigli o scoperte psicologiche e sessuali, ma ogni coppia alla fine farà l’amore a modo suo, con i suoi tempi, con i suoi sguardi e con le sue carezze intime.
Ma cos’è allora la preghiera?
Quando facevo il primo anno di teologia, ricordo una lezione con un professore molto “oltre”. Nelle sue lezioni niente era scontato e tutto era provocazione. Una sana provocazione.
Un giorno lo ricordo bene, perché il professore in questione entrò in aula e chiese con aria sorniona: “Chi mi sa dire cosa significa pregare?”
Qualcuno provò a sussurrare (pur col dubbio che quel che stava per dire fosse troppo facile e scontato): “Significa dialogare con Dio”
Il professore sorrise come il gatto che sta giocando con il topolino di turno. Ci voleva molto bene, ma credo fosse proprio per questo che ci provocava. Voleva tenerci lontani dalle risposte troppo semplicistiche.
Si rivolse alla studentessa che aveva appena fatto quell’affermazione e le disse: “Bene, bene bene. Dunque per pregare…o per “dialogare” con Dio, tanto per usare lo stesso suo termine… basterebbe parlare. Il dialogo si fa parlando. Dialogando. Ma dunque Dio è più piccolo di noi se, per parlare con Lui, basta mettere in atto solo una piccola parte di noi: il parlare”
Ovviamente subito la studentessa rettificò sorridendo: “Ma no, è logico che io intendevo dire che per dialogare con Dio dobbiamo mettere in azione non solo la lingua, ma il cuore ed il pensiero! AscoltarLo insomma.”
Ma il professore incalzò: “Bene, bene, bene. Dunque per pregare Dio basta usare il nostro mondo interiore. Quindi Dio è più piccolo di noi se, per entrare in dialogo con Lui, basta usare solo quella parte di noi”
A quel punto avevamo capito il suo gioco e molti si affrettarono a dire: “Ma è logico che per pregare dobbiamo mettere in gioco tutto noi stessi. Anche il corpo. Il mettersi in ginocchio, il cantare, il danzare, il suonare… Tutto di noi entra in gioco quando si tratta di pregare!”
Però il professore non si arrese ed alzò ancora la posta in gioco: “Bene, bene, bene. Dunque Dio è uguale ad ognuno di noi. Se per entrare in contatto con Lui basta mettere in gioco tutto di noi, Dio è uguale a noi”.
Silenzio.
I cervelli pensavano.
I cuori rimbalzavano tra un dubbio e l’altro, alla ricerca della risposta giusta.
Ed è stato in quel silenzio, quando oramai avevamo finito il repertorio delle risposte già imparate, che il professore, con fine intelligenza e con l’anima sua che giocava con le nostre, ci ha detto:
“Nessuno di noi è in grado di pregare con le proprie forze. Nessuno, da solo, può riuscire a dialogare con Dio. Dobbiamo capirlo questo. E allora? Allora pregare significa farci aiutare da Dio ad entrare nel dialogo che Lui ha in sé stesso. E’ ascoltare ciò che la Trinità si dice e lasciarsi cambiare da quel dialogo divino che abbiamo toccato”
Dietrich Bonhoeffer diceva: “Pregare è prendere fiato presso Dio”
Si può prendere fiato cantando, parlando, danzando, ascoltando, urlando, piangendo, ridendo e, perfino, stando in silenzio.
Un po’ di giorni fa, in una camera di un uomo immobilizzato a letto, ho visto una preghiera attaccata sullo specchio del comò.
La moglie l’aveva attaccata lì.
Diceva:
“Signore, è bello parlare con te senza dir niente.
Anche se sto zitta lo so che mi senti.
Le tante cose che avrei da dirti lo so che le conosci meglio di me.
Tu sai che nei momenti difficili Ti ho pregato e nei momenti di gioia ti ho dimenticato.
Dinanzi a te c’è niente da nascondere.
Tu conosci uno per uno i miei pensieri.
Tu conosci le mie mancanze,
le mie gioie,
le mie miserie,
le speranze.
Non posso che dirti,
Signore, stai con me”
La preghiera non cambia Dio, ma cambia colui che prega.
Credo che Papa Francesco, in quel video, abbia spiegato semplicemente questa frase di Søren Kierkegaard.
Quando si bussa alla porta di Dio Egli sempre apre.
E lì, su quella soglia, più sbirci dentro e più hai voglia di addentrartici.
E proprio come il sommo poeta, si diventa più arditi e desiderosi di andare oltre la porta.
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito.
Lo senti Dante?
Ci dice: Andai sempre più dentro a questa Luce, perché il desiderio è talmente forte che non si può guardare da un’altra parte, bisogna buttarcisi il più possibile.
Può accadere a tutti questa esperienza, quando si prega non più parlando, parlando, parlando (come i sacerdoti di Baal) ma semplicemente desiderando.
Il desiderio diventa godimento.
Anche Dante ad un certo punto ammette:
“… perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo”
Proprio come tanti mistici, anche Dante dice che al solo raccontare di Dio, lui gioisce.
E’ in estasi.
Solo al ricordare quel che vide, gli torna una piccolissima parte di quell’estasi.
E parla di godimento.
Proprio come la nostra santa Teresa d’Avila che parlava di godimento per descrivere i suoi momenti di unione con Dio… ed a lei si è poi ispirato il Bernini per fare la sua “Estasi” piena di sensualità.
All’epoca molti si scandalizzarono, dicendo che il Bernini aveva scolpito una donna avente l’orgasmo.
Ma come si fa a parlare di Dio, se non così? Un surplus di inesprimibile amore!
“A quella luce cotal si diventa”
Più si sta dentro la Luce, e più noi diventiamo come Lei: guerrieri della Luce.
E poi la meravigliosa scoperta del poeta.
“dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
Dante ha visto ciascuno noi!
Ha visto il suo viso, il mio, il tuo, il nostro viso!
Ognuno con una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo; quello che Dio ci ha dato. La nostra essenza unica.
La nostra felicità, unica.
Il nostro rapporto con Dio, unico.
La nostra preghiera, unica!
Il credente perfetto prega così bene che ignora di pregare.
(Jacques Maritain)
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