Domani mattina nuova sfida!

Domani mattina, alle 8.30, mi aspetta questo bel soffitto. Nell’arco di poco tempo sono arrivata all’intervento chirurgico n.3 ma questo numero mi è sempre piaciuto tanto.????
Fin da quand’ero piccola.
Quindi oso sperare che possa fermarsi qui la testardaggine del tumore che mi vorrebbe spesso in sala operatoria.????????
Da domani, quindi, per un po’ di giorni, vedrete nella pagina fb pochi post (quelli che ho messo “in memoria”).
Ma non vi preoccupate eh! Torno! ????
Intanto, in questo periodo, ho imparato …
1) che la serenità non te la puoi dare da solo (un po’ come il coraggio di cui parlava don Abbondio nel celebre capitolo dei Promessi Sposi), però puoi chiederla e fare di tutto per rincorrerla. E giuro che accadono eventi quotidiani bellissimi! Ieri per esempio, dopo aver fatto le visite di routine prima dell’intervento, ero entrata a salutare quel Gesù che fa finta di nascondersi dietro un tabernacolo, nella chiesetta dell’ospedale. E gli parlavo non esattamente con la serenità in mano. Gli chiedevo, senza mezzi termini, di rispondermi … E quando sono uscita dalla chiesetta, ho incontrato… che mi ha bloccata e mi ha detto con gli occhi lucidi…
Vabbè, nei particolari non ci entro perché poi scriverò tutto nel libro ed ora non vorrei annoiarvi, ma mi preme incoraggiare tutti coloro che stanno attraversando una valle oscura: guardiamo il Cielo che Dio ci è vicino!????????????
2) che in giro ci sono un sacco di brave persone e che spesso devi essere tu a fare il primo sorriso e la prima gentilezza. Giusto per smaltire quel nervosismo o quella routine che qualche giornata accompagna il nostro interlocutore, fin dal primo mattino. E se non sorride anche lui? Pazienza. Lo farà più tardi. Perché è impossibile che un sorriso non cambi la giornata. Più sorrisi insieme possono cambiare il mondo.☺️????
3) Non so bene perché esistono le malattie e su questo punto Dio dovrà darmi un sacco di spiegazioni quando un giorno ci incontreremo faccia a faccia. E conto sulla sua precisione affinché riesca a chiarirmi bene la cosa, perché io farò domande precise. So però che Dio non manda malattie come fossero frecce lanciata dal monte Giove sugli umani inermi e messi alla prova da Lui. E’ che proprio non le manda!
Neanche come “prova” (termine bruttissimo che racconta più di un Dio imperterrito ed esigentissimo allenatore degli uomini, che non di un Padre che protegge ed accarezza).
Io so solo che quando ci ammaliamo Dio ci è vicino più che mai. Ci ama più che mai. E ci dà anche dei segnali della sua vicinanza.
Se solo ce ne accorgessimo!
Quel medico bravo che…quell’amica affettuosa che… quella battuta scherzosa che… quella diagnosi preventiva che…
E so che anche una malattia può diventare un tempo di grazia e non di sfortuna.????????
4) La malattia è un tempo che può essere usato per capire più velocemente alcuni concetti fondamentali. Per esempio che la vita è bella, che siamo dei privilegiati ad averla e che non ci stancheremo mai di lei. Cascasse il mondo, noi continueremmo a desiderarla. Sarà che siamo fatti della stessa sostanza di Dio? Un po’ di gratitudine credo ci stia bene, ad ogni alba!????????
Buona serata a tutti e se qualcuno, domani mattina, non avendo tanto da fare, volesse parlare di me a Dio, anche solo per un secondo…così, anche di sfuggita, ma con il cuore…beh, sappia che io ho anticipato i tempi ed ho messo già di fronte Dio tutti coloro che lo faranno. Così nessuno di noi fermerà la leggera brezza dell’amore che scavalca chilometri e tempi ed arriva ovunque. Anche in un reparto chiuso agli esterni, per via del Covid.
Arrivederci a presto!????????

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Tutta la vita ci abbiamo messo, per imparare ad amarci!

“Tra me e tuo nonno c’è stato un grande amore.????
Tutta la vita ci abbiamo messo, per imparare ad amarci.????
Ricordo perfettamente una sera estiva, seduti su una panchina ai giardini.
Il nostro amore stava facendo i primi passi,
ma quel giorno lo guardai nel buio e gli dissi entusiasta:
“Amo tanto l’idea che noi due invecchieremo insieme!”.
Lui trasalì.
Fece una battuta per sdrammatizzare il disagio per quella promessa troppo impegnativa.
Poi, negli anni, mi superò in audacia e mi amò ancora più di me.????????
Soprattutto negli ultimi anni insieme.
Quando stare con lui era come sentire zolle della mia anima
ancora irrigate e pronte alla fioritura.????????
Non è stato sempre facile.
Te lo dico perché tu sappia come si muove l’amore.
Tu credi che non ci sia più,
e invece come la cenere è pronto a riaccendersi.
Tu urli: “Vattene” e invece vorresti dire “Resta”.
Tu pensi: “E’ finita” ma se lui non ci sarà, anche tu sarai un po’ di meno.

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Il potere delle parole

Una donna offrì un tubetto di dentifricio alla figlia, invitandola a versare del prodotto su un piatto. Una volta finito le chiese di rimettere tutto il dentifricio nel tubetto.
“Ma non ci riesco!”, esclamò la figlia, “Non sarà mai come prima”.

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Buongiorno leggerezza!


Buongiorno leggerezza!????
Mi inchino di fronte alla tua voglia di farmi camminare, senza fardelli pesanti.????
Di te mi piace che mi fai sentire bella, anche se un solo soffio potrebbe cambiarmi.????
Mi attrae quell’abito delicato fatto di mille ricami conquistati con le prove della vita.????
Mi metto sulle punte, anche se i miei piedi hanno mille ferite.????
Mi faccio un bello chignon mattutino, ma lascio un capello fuori posto perché questa è la vita. ????

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Innamoratevi!

Innamoratevi!

Credo che, alla fine, sia questo l’unico antidoto per non uccidere l’anima. Innamoratevi di qualcuno o di qualcosa, ma fatelo!

Innamoratevi di un gattino, di un fiore, del cielo, di un libro, di una stanza, di un bambino, dell’acqua fresca, del latte schiumoso, di una persona, della giornata che vi attende, di un saluto affettuoso, di una lacrima improvvisa, di una risata gioviale, di un bacio appena dato…ma innamoratevi 

E quando avrete voglia di far tutto, tranne che di innamorarvi? Quando persino per voi stessi proverete fastidio? Immergetevi nella natura e lasciate che sia lei ad amarvi. E lo fa! Continua a leggere Innamoratevi!

La vita incredibile di Araminta Ross: nome in codice “Mosè”

Non sappiamo con precisione in che anno sia nata (tra il 1820 e il 1825), ma sappiamo che ha iniziato la sua vita da schiava.

La sua bisnonna materna, Modesty, era giunta bambina negli Stati Uniti, su una nave di schiavi.

Anche sua madre, Harriett Green, e suo padre, Ben Ross, erano entrambi schiavi.

Ebbero nove figli, una vita drammatica ed una lotta disperata per mantenere unita la famiglia.

Ma il padrone, Edward Brodess, gliene vendette comunque tre.

Dolori immensi per Harriet.

Pure la piccola Araminta, a sei anni, fu venduta ad una certa Miss Susan, per fare da tata al figlio appena nato. Ma la regola era chiara: se il bambino avesse pianto, lei sarebbe stata frustata.

Araminta lo cullava, gli parlava, faceva il possibile per non farlo piangere. Ma un neonato è un neonato. E così lei si trovò le prime cicatrici sulla sua pelle delicata di bambina, a causa di un pianto innocente e di una donna terribilmente colpevole.

La piccolissima Araminta cercava di difendersi dalle frustate indossando diversi strati di vestiti, ma il suo destino era quello di esser frustata quasi tutti i giorni. Un giorno venne frustata per 5 volte prima di colazione, e di quella drammatica esperienza porterà le cicatrici per tutta la vita.

A tredici anni venne mandata a lavorare nella piantagione di un certo James Cook ma la vita era durissima e lei si ammalò di morbillo. Così Cook la restituì al vecchio padrone Brodess e sua madre potè riaverla con sé, curarla e guarirla.

Un giorno fu mandata in un negozio di tessuti per sbrigare alcune commissioni, quando vide uno schiavo in fuga. Era riuscito a divincolarsi dal padrone e stava tentando il tutto per tutto per la libertà.

Lei era proprio sulla traiettoria della fuga del giovane schiavo.

Il padrone iniziò quindi ad urlarle di fermarlo e trattenerlo, ma lei si rifiutò.

Rimase immobile per lasciare allo schiavo il tempo di fuggire.

Allora il padrone, per fermare la fuga del suo schiavo gli lanciò un pezzo di metallo di quasi un chilo, ma colpì lei.

Quel chilo cambiò drammaticamente la vita della giovane Harriet.

Senza nessuna cura medica, passò solo due giorni di convalescenza e poi via! Bisognava a tornare a lavorare nei campi.

Ma da quel giorno, per tutta la vita, lei ebbe fortissime emicranie, vertigini, ipersonnia, attacchi epilettici, svenimenti improvvisi e delle visioni che lei considerava premonizioni divine.

Da queste sue premonizioni e dialoghi con Dio derivò poi l’altro suo nome: “Mosè”.

Come Mosè infatti, per tutta la sua vita, portò una moltitudine di schiavi verso la libertà.

Prima di cominciare a fare come Mosè, si sposò con John Tubman, un uomo libero, e cambiò il suo nome in Harriet Tubman. Ma il suo status di schiava non la lasciava. I suoi figli sarebbero stati schiavi come lei e proprietà dei Brodess. Questo lei non poteva accettarlo.

Intanto i suoi padroni tentarono in tutti i modi di venderla. ma le tante malattie di cui soffriva la rendevano poco appetibile sul mercato. Nel 1849 provarono pure a svenderla ad un prezzo “da saldo” e Harriet tremò all’idea.

Allora iniziò a pregare affinché l’uomo cambiasse idea. Ma Brodess si era intestardito come non mai: Harriet doveva essere venduta. Lei non voleva ed insistette con le sue preghiere, arrivando disperata a chiedere di far morire il suo padrone. Mai avrebbe pensato che quell’uomo terribile, nell’arco di una settimana, sarebbe morto per davvero.

La moglie di Brodess, Eliza Ann, una volta vedova iniziò a svendere tutti gli schiavi che aveva ereditato dal marito. Allora Harriet prese la grande decisione: fuggire.

Era arrivato il momento di liberare se stessa, innanzitutto.

Mai più schiava!

Dirà nei suoi racconti: “C’erano due cose a cui avevo diritto: la libertà o la morte; se non potevo avere l’una, avrei avuto l’altra” Continua a leggere La vita incredibile di Araminta Ross: nome in codice “Mosè”

Sollevami e consacrami ancora!

«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Geremia 1,5) 

Ripetimelo ancora Signore 

Dimmelo quando mi sembra che Tu non mi capisca.

Dimmelo quando Ti sento lontano e indifferente a me.

Dimmelo quando mi sembra di conoscermi meglio di Te, e ti spiego, ti spiego, ti spiego… Continua a leggere Sollevami e consacrami ancora!

L’incredibile storia di Hilde e Chris

Questa incredibile storia parte da un gesto anonimo di grande generosità, che è poi continuato con altri gesti, fino a creare un effetto domino pazzesco.

Avete presente quando gettate un sasso in un lago? Le onde accadono. Sia che voi vi fermiate a contarle ed osservarle, sia che voi vi allontaniate.

Ecco: questa è la storia delle onde!

 

Hilde Back è la donna della foto: ha un dolce sorriso, vero?

Oggi è un’anziana signora ebrea svedese, insegnante in pensione.

Una donna normale, gentile che ha vissuto gran parte della vita da sola.

Nel 1940 lei era una ragazzina. Era ebrea. Era in pericolo.

Ma quell’anno uno sconosciuto benefattore dona dei soldi alla sua famiglia per farla fuggire dalla persecuzione del regime nazista.

Con quel regalo insperato i genitori cercano di rifugiarsi in Svezia fuggendo attraverso il Mar Baltico, ma vengono respinti al confine e solo lei riuscirà ad entrare. Continua a leggere L’incredibile storia di Hilde e Chris

Mai più un giorno infelice

In questi giorni sto leggendo la biografia di Patch Adams.
Ieri me ne sono letta una bella parte, stando in un corridoio di ospedale ad attendere un “verdetto???? ed è stato molto piacevole alternare l’attesa con la sua storia.
Lascio la parola a lui.
“Sono nato nel 1945 e le guerre si erano prese l’anima di mio padre, uomo dell’esercito che abbiamo seguito in varie parti del mondo. Avevo 16 anni quando se n’è andato, ma non posso dire di averlo conosciuto veramente, non c’era rimasto molto di lui dopo la seconda guerra mondiale.

Per fortuna mia mamma mi ha fatto

il dono più grande, quello dell’autostima, e mi ha insegnato l’importanza di amare indistintamente tutte le persone.

Vivevo nell’America razzista, mi sono reso conto dell’ipocrisia del mio paese da ragazzo, quando accanto alla fontana di un parco pubblico lessi: “Solo per i bianchi”.
Rimasi sconvolto, come potevano gli adulti accettare quell’orrore? Così a scuola facevo quel che potevo per oppormi allo scempio, e nella mia scuola di bianchi, tutte le volte che sentivo la parola con la “n”, quell’orrenda parola che non riesco nemmeno a pronunciare, iniziavo a urlare. Urlavo come un pazzo e dicevo: voi ditela pure, ma io non posso fare a meno di urlare.
Gli altri ragazzi mi aspettavano fuori da scuola, per picchiarmi.
Sono stato vittima dei bulli e questo è anche stato il motivo per cui ho iniziato a fare il clown: li facevo ridere, e i bulli non vogliono picchiare il loro buffone.
Funziona ancora, sai.
Sono 35 anni che indosso solo abiti da clown perché mi sono chiesto più volte: cosa posso fare di non violento per fermare la violenza? E allora ho capito che questi abiti colorati potevano aiutarmi.
Capita spesso di trovarsi di fronte a persone che litigano, mamme che sgridano i figli, ragazzi che fanno la voce grossa con le ragazze. Se assisto a scene del genere non faccio l’indifferente ma mi tiro su i calzoni, mi allargo la bocca con questo divaricatore (lo indossa), metto i denti finti (di plastica, galli) e attacco al naso questo moccio finto (abbastanza disgustoso) e ti assicuro che quando mi avvicino conciato così qualsiasi cosa facciano smettono di farla. Funziona.
Ho 73 anni e me ne sento 35, perché mangio bene e faccio attività fisica, ma tutto parte molto prima.
Avevo 18 anni, due ricoveri alle spalle in un ospedale psichiatrico, avevo chiesto io di essere ricoverato perché volevo di uccidermi. Ma mi ritrovai a Washington ad assistere al celebre discorso di Martin Luther King, che aveva un sogno: I have a dream. Lì ho capito quanto ero stato stupido, non dovevo morire, ma fare la rivoluzione, una rivoluzione non violenta basta sull’amore. Sono tornato in ospedale per l’ultima volta, e mi sono imposto che non avrei mai più avuto un giorno infelice.
Volevo un mestiere dove fosse facile tramettere amore. Ma all’università mi sono accorto che la maggior parte dei medici erano degli arroganti del tutto indifferenti ai loro pazienti. Mi hanno insegnato che in sette minuti dovrei essere in grado di capire quello che il paziente soffre e somministrargli una cura. Per me era inconcepibile, così ho deciso di fare a modo mio.
Sono un medico di famiglia e di solito il mio primo colloquio con un primo paziente dura quattro ore. Gli chiedo tutto, voglio conoscere tutto, alla fine diventiamo amici e solo così posso davvero aiutarlo.
Il mio sogno è aprire un ospedale con cure gratuite per tutti! In America il 70% delle bancarotte sono dovute alle spese mediche. E le spese mediche sono anche il motivo n.1 per cui si perde la casa. Inaccettabile. Qualche tempo fa mi ha scritto una famiglia: hanno perso la casa per cercare di curare il figlio, malato di leucemia, che poi è morto. È terribile, e lo è ancora di più il fatto che per sempre il ricordo di quel bambino sarà legato alla perdita della casa.
La situazione più difficile da affrontare è stata una bambina tristissima che non apriva la bocca da due mesi, né per mangiare, né per bere, né per parlare. Era stata violentata, e da allora s’era chiusa in se stessa. La prima volta che l’ho vista non c’erano espressioni sul suo volto, non sapevo che fare. Ho deciso di tornare da lei per parecchi giorni, e pian piano ha fatto dei progressi. Qualche mese dopo mi hanno mandato delle foto ed era irriconoscibile. Per il resto, come dicevo, cerco di rallegrare chi ho davanti, nulla di più.
Una volta mi hanno chiamato per fare il clown a 5 detenuti che il giorno dopo sarebbero stati uccisi, sarebbero morti impiccati. Uno non si è lasciato coinvolgere, gli altri quattro si sono divertiti tantissimo. Tu, se sapessi di morire domani, non vorresti passare il tempo che ti resta divertendoti? Che poi dovrebbe valere per tutti. Dato che tutti moriremo dovremmo goderci la vita, e divertirci.

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Questo volo è iniziato tanto tempo fa

Questo volo è iniziato un po’ di anni fa. ❤
Io me la ricordo quando faceva il primo anno delle superiori.
Bella e impossibile da sopportare.
Era arrabbiata col mondo intero.
Con i suoi capelli lunghi ed il suo sguardo da cerbiatta, sembrava un fiore delicato in balìa dei pesi della vita.
Ed in effetti la vita aveva picchiato duro su di lei.
Ma dopo un po’, a scuola abbiamo iniziato a capire che dietro tutta quell’aggressività che si scatenava con troppa facilità, c’era una vita personale difficilissima.
A quel punto l’avevamo scoperta ed il suo gioco aveva iniziato a perdere forza.
Si era smorzato.
Ci sono voluti anni.
Non è stato facile.
Ma pian piano, Sara (la chiamerò così) ha iniziato prima a chiedere aiuto e poi a sorridere sempre più spesso.
Insieme ai sorrisi, mischiava le lacrime.
Non è stato facile.
Ma almeno comunicava.
Con le parole, con gli occhi e con i messaggi.
Infine, dopo circa tre anni di cammino, ha iniziato ad andar finalmente bene a scuola.
Quest’anno?
Quest’anno va BENISSIMO!!!
Sorride alla vita (anche se avrebbe potuto voltarle le spalle) e ringrazia tutti noi che abbiamo fatto il tifo per lei (anche se dovrebbe ringraziare per primo lei stessa).
E ieri mattina il finale.
Lei aveva un grande desiderio: finire il percorso scolastico con un passaggio fatto “alla grande” (più di questo non posso dire per non entrare nella sua privacy).
Noi insegnanti l’abbiamo incoraggiata ed aiutata in tutti i modi, ma poi…
Poi è arrivato l’alt!
E’ arrivato dall’elefantiaca burocrazia e dal timbro insensibile di un ufficio.
Ma a questo punto si è mossa la grinta della scuola in cui insegno.
Come una madre agguerrita, non si è arresa.
E mentre la ragazza aveva l’animo accasciato al suolo per la delusione insopportabile di quell’”ALT“, la scuola si muoveva.
Ha usato il telefono, gli scritti, le spiegazioni, la grinta, il cuore, l’amore e la testardaggine.
Ieri mattina, mentre Sara non vedeva più il suo futuro a causa di quell'”ALT” e le sue parole erano solo colorate di nero, la scuola attendeva la risposta all’ulteriore sua insistenza.
Ed è stato allora che è accaduto.
Avevo un’ora buca ed ero uscita per fare fotografie.
C’era un cielo che mi piaceva.
Mentre scattavo foto mi sono fermata: ero affascinata da un volo di uccelli che mi raccontava libertà ed entusiasmo.
Mi volavano intorno.
Scendevano.
Si rialzavano in volo.
Si avvicinavano di nuovo.
Riprendevano quota.
Io scattavo foto e sentivo che quel volo mi stava dicendo qualcosa.
In quell’istante ho sentito un “E che palle!” detto con tutto il cuore.
Mi volto.
Era la mia collega che aveva messo per giorni la sua anima nel cercare di portare a buon fine il sogno di Sara.
Stava parlando a telefono.
Ci incrociamo.
Lei sorride nel vedermi.
Io pure.
Mi fa capire che è al telefono per regalare a Sara il lieto fine sulla sua vicenda.
Io continuo a fotografare mentre la mia grintosa collega si allontana stando al telefono con un’altra persona che ha preso a cuore il futuro di Sara.
Io guardo quel volo e mi sembra così di buon auspicio.
Sara piange.
Tutta la scuola combatte.
E nel cielo c’è un volo armonico e testardo.
Passa pochissimo tempo ed arriva il messaggio: “Ce l’abbiamo fatta! La richiesta per Sara è stata accettata!”
La collega ci manda questa immagine di Mafalda per annunciarcelo.
La felicità?
E’ vedere una giovane donna volare alto!
Buon viaggio Sara!❤

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