Il supereroe che è in noi (seconda parte)

Subito dopo aver pubblicato la prima parte di questo post dedicato ai supereroi, è stato scritto questo commento interessante nel blog.

“Ciao a tutti, sono una Super Eroe, diciamo Wonder Woman.

Ho iniziato presto, non ricordo quando, perchè nessuno intorno a me sembrava in grado di provvedere a se stesso ed a quelli che gli erano affidati. Mi sono detta “qui crolla tutto, che faccio? Rimbocchiamoci le mani, salviamo il salvabile”

Sono passati 40 anni e faccio ancora la Super Eroe, è il mio lavoro e, a quanto pare, mi riesce anche bene visto che tutti mi cercano!! Mi ammirano, mi guardano dal basso verso l’alto “come fai ad essere così”, “come vorrei essere come te!” …

Volete fare un regalo al Super Eroe della porta accanto? Regalategli carezze, regalategli un mazzo di rose, accarezzategli la testa, alleggeritegli il peso, anche se solo per una sera soltanto!”

Il supereroe è una formidabile risorsa, ma non va sfruttato. Anche lui/lei ha un cuore e bisogno di carezze. 

6. Super Man: voglia di giustizia!

Clark Kent ha un nome terreste da non sottovalutare: Kal-El.

I suoi due creatori, Shuster e Siegel, entrambi ebrei, gli diedero questo nome che, in lingua ebraica, significa Voce o Vascello di Dio.

El in ebraico, infatti, significa Dio.

Clark Kent è un neonato salvato dai suoi genitori che, a causa dell’imminente e drammatica esplosione del pianeta, lo rinchiudono in una navicella spaziale monoposto per proiettarlo verso la salvezza. Come un novello Mosè abbandonato tra i flutti del Nilo, sulla terra darà inizio a qualcosa di nuovo.

L’ultimo figlio di Krypton diventerà un giornalista preciso e attento ma, sotto il completo, nasconderà il famosissimo mantello per volare (con tutti i suoi poteri annessi).

Nel numero 775 di Action Comics Superman dice:

I sogni ci salvano. I sogni ci elevano e ci trasformano. E sulla mia anima, giuro, che finché il mio sogno di un mondo dove dignità, onore e giustizia diventino la realtà che noi condividiamo, non smetterò mai di combattere. Mai.”

Quanti Superman ci sono nel mondo, nascosti dietro i loro completini apparentemente normali?

Chi mai potrà farne un elenco completo?

Quante creature umane stanno fiorendo anche in inverno?

Tante!

Solo che, per assurdo, facciamo una grande fatica ad accorgerci dei “superman” che ci sfiorano.

Ed anche io, all’inizio, ho fatto fatica ad accorgermi dei superpoteri di un ragazzo italiano.

Mi sembrava così spropositatamente grande ciò che stava facendo, rispetto ai suoi 27 anni, che facevo fatica ad accettare l’idea che un ragazzo così giovane potesse davvero rivoltare il doloroso mondo dei bambini sull’isola di Samos. Continua a leggere Il supereroe che è in noi (seconda parte)

Il supereroe che è in noi! (prima parte)

Pochi giorni fa mi arriva un messaggio da una persona che si impegna in campo educativo e con cui adoro scherzare e ridere su tutto. Mi scrive:

“Cristina, giuro che questa volta sono serio. La settimana scorsa abbiamo fatto un incontro con i nostri ragazzi intitolato “Scopri il super eroe che è in te”.

Abbiamo capito che ogni super eroe nasce da un super problema.

Ti chiedo quindi una cosa che poi vorrei condividere con i ragazzi che quest’anno Dio mi ha messo davanti.

Non ti faccio muovere da casa ma ti faccio lavorare …

Mi potresti scrivere ciò che pensi a riguardo?

Cristo è o non è l’unica via per trasformarci in super eroi?

Gli imprevisti che ci capitano, le nostre debolezze, possono essere le scintille per accendere i super poteri che teniamo nascosti?

Dio che posto ha in questa dinamica?

Grazie Cri, ti prego di rispondermi (quando avrai tempo e voglia) sapendo che tutto ciò che scrivi io lo leggerò ai ragazzi (se vuoi in maniera anonima)

 

Ci ho pensato un po’ di giorni e poi ho deciso di mettere per iscritto quelle cosine che mi sono venute in mente.

Però devo fare una premessa al tutto, con le parole di Bruce Wayne (dal film “Il cavaliere oscuro – il ritorno”)

Gordon: «Non mi è mai importato sapere chi fossi.»

Bruce Wayne: «E hai fatto bene!»

Gordon: «Ma Gotham dovrebbe conoscere l’eroe che l’ha salvata dalla morte.»

Bruce Wayne: «Chiunque può essere un eroe, anche un uomo che fa una cosa semplice e rassicurante come mettere un cappotto sulle spalle di un bambino per fargli capire che il mondo non è finito!»

Di supereroi è pieno il mondo!

Li incontriamo ogni mattina andando al lavoro, a scuola, negli ospedali, al bar, nel pianerottolo del palazzo, in una stanza della nostra stessa casa… e anche noi stessi possiamo esserlo.

Ecco di seguito 10 supereroi vicini a noi.

Vicinissimi!

 

1. Capitan America: quando il mondo dice “Rinuncia”, la speranza sussurra “Prova ancora una volta.”

Un personaggio creato per tenere alto l’umore delle truppe americane in guerra contro i nazisti.

Capitan America è il giovane Steve Rogers che, scartato alla visita di leva per il suo fisico gracile, decide di partecipare a un esperimento segreto chiamato “Operazione Rinascita” che vorrebbe creare dei supersoldati. E’ così che Steve si ritrova nei panni di Capitano.

Chi sono i Capitan America di tutte le latitudini? Sono tutti coloro che si allenano quotidianamente per sbirciare il positivo che c’è in ogni situazione.

Fateci caso: la positività e la negatività influenzano tantissimo l’ambiente in cui ci troviamo.

Prendiamo i disfattisti.

Nessun pessimista ha mai scoperto il segreto delle stelle o dato la speranza a un altro essere umano” diceva Hellen Keller.

Quelli che “E peggio verrà” non hanno mai aiutato nessuno.

I super poteri di capitan America oggi li tirano fuori coloro che rimangono positivi rimboccandosi le maniche, usando lo scudo della speranza per ripararsi dalle ondate di negatività e per non rimanere bloccati dalle frustrazioni altrui.

La paura può farti prigioniero, ma la speranza può renderti libero.

Per esempio, quanti super poteri positivi avranno gli operai che salvano la propria azienda dal fallimento?

Racconto solo un caso. Continua a leggere Il supereroe che è in noi! (prima parte)

Da Dante fino a noi: un passa-parola di Luce!

Premessa: siamo Figli della Luce.

La cerchiamo, la amiamo, ci nutriamo di Lei. Anche quando non ne siamo consapevoli.

Quel E Luce fu! riecheggia dappertutto, ad iniziare dal nostro mondo interiore.

Ci alziamo presto per vedere l’alba, ci sbizzarriamo con le lampade colorate per sconfiggere il buio, ci fissiamo sul cielo incantati dalle stelle, fotografiamo i paesaggi illuminati, amiamo perderci nello scintillio del mare, acquistiamo una casa in base alla sua illuminazione, abbracciamo l’arcobaleno appena possiamo …e pian piano, man mano che raffiniamo il nostro sguardo, percepiamo la Luce anche nelle persone.

 

E siamo attratti da tali creature.

Le cerchiamo e la loro presenza ci apre un mondo.

 

Un po’ di estati fa ero in una farmacia. Era strapiena perché, in pieno agosto, le altre farmacie erano chiuse per ferie. Avanti a me c’era un signore. Anziano. Mite. Paziente.

In mezzo alla fretta dei più, la sua calma serafica svettava come una bella luce rasserenante.

Arriva il suo turno. Chiede. La farmacista gli porta tutto quello che era indicato nelle ricette e lo incoraggia gentilmente: Vedrà che con questi medicinali starà meglio

IL signore le risponde calmo e sorridente: E va beh, se poi non starò meglio va bene lo stesso. Tanto mica ho paura di morire!”

La farmacista, cercando di emergere dall’imbarazzo di quella risposta inaspettata, butta là un esorcizzante:Ma che dice! Avoglia quanti anni ha ancora da vivere!”

Il vecchietto apprezza il tentativo ma le risponde su un altro livello: Ma guardi; io sono già morto una volta e so che non c’è da aver paura!”

La farmacista è un po’ imbarazzata. Sorride comunque.

Io, da dietro, ho inevitabilmente sentito tutto. Mi chiedo se questo vecchietto abbia fatto un’esperienza di NDE (Near Death Experience) senza saperlo.

Sono anni che leggo libri sull’argomento e la mia curiosità verso le parole di quella persona anziana è enorme.

Vorrei fermarlo. Chiedergli. Temo di essere invadente.

Lui esce. E’ il mio turno. Faccio superveloce. Esco di corsa. Lo raggiungo che è ancora fermo sul marciapiede. Sta aspettando un familiare.

Faccio la sfacciata. Ora o mai più. Sono imbarazzata ma mi avvicino lo stesso e gli chiedo: “Scusi, ho sentito la sua risposta prima alla farmacista. Forse la sto importunando. Vorrei, se possibile, saperne un po’ di più su quello che ha detto prima. Sempre che non le dia fastidio parlarne…”

Il vecchietto mi sorride tranquillo. Ha due occhi azzurri da paura. Un sacco di rughe tipiche di chi ha passato la vita sotto il sole dei campi.

Mi dice: Ma no, non ci sono problemi, Le racconto volentieri quello che mi è successo”

Racconta di un campo di alberi da frutta che lui aveva vent’anni prima.

Di un albero su cui lui era salito, per raccogliere e poi, all’improvviso, un piede aveva ceduto, il ramo non aveva tenuto come avrebbe dovuto e lui era caduto di testa. Boom!

Una botta enorme. Un grande dolore. E poi eccolo lì…una specie di sole…una Luce splendida e molto più luminosa di quelle che noi conosciamo sulla terra…una Luce che lo amava e gli parlava…e in quella Luce lui aveva visto i suoi cari…e si sentiva amato…e tutto era meravigliosamente bello!

Io lo ascolto nel suo parlare semplice. Non ha la dialettica di chi vuol convincere.

Anzi. Non gliene importa proprio niente di convincermi.

Semplicemente mi sta facendo un regalo: mi sta dando la sua esperienza.

Io lo ringrazio tanto.

Non mi fermo a spiegargli le NDE. Cosa gli dico? Gli spiego io la teoria, quando lui ha già fatto la pratica?

Però sento una grande gioia in me.

Ancora una volta ho avuto in regalo l’ennesima prova che dopo questa vita La Luce ci aspetta per baciarci teneramente e renderci felici.

E così eccoci al Giardino della Vita voluto da don Umberto.

La luce.

Tre cerchi.

Il trentatreesimo canto del Paradiso del sommo Poeta.

Ne aveva fatta di strada Dante prima di arrivare faccia a faccia con Dio.

Ma ora era lì.

Davanti a Lui.

Per un momento era riuscito a guardarLo “dentro”, e poi è tornato per raccontarci quel che ha visto. Continua a leggere Da Dante fino a noi: un passa-parola di Luce!

La luce nel campo di Dachau

Fa un freddo tremendo. Tira pure un vento gelido. Il cielo è grigio intenso.

Io sono arrivata a Dachau con 50 studenti del quinto anno.

Prima di scendere dico loro: “Se riuscite, fate in modo di girare nell’orrore immaginandovi lì dentro. Meglio; immaginate lì dentro qualcuno che voi amate tanto. Rifuggite il più possibile, se ci riuscite, dalla sensazione di fare un tuffo in una specie di film horror. Una carrellata storica di sadismo macabro. Ogni foto che vedrete, fissatevi sugli occhi. Fermatevi. Immaginate i suoi sogni ed il suo terrore. Sgrullatevi di dosso anche la sensazione di fare semplicemente uno studio sul passato. Il male non è qui o là. Ieri o un anno fa. E’ dentro di noi, sempre pronto a risorgere dalle ceneri. Proprio per questo non dovete illudervi che una visita in un campo di concentramento, potrà cambiare il futuro. Conoscere non è sinonimo di cambiamento. E’ solo un primissimo passo. Niente più. Se bastasse conoscere le cose per cambiare, avremmo già rivoltato il mondo verso il bene. Invece non è così. Dovrete partire da voi stessi. Buon lavoro al vostro cuore ragazzi.”

Scendono in silenzio. Cercando di coprirsi il più possibile dalle sferzate del vento gelido.

Meglio che ci sia quel freddo assolutamente inaspettato.

Meglio che il nostro corpo sia gelido perché coperto solo da abiti primaverili.

Meglio che niente ci aiuti a rendere un po’ più leggera quella visita.

Quell’orrore non iniziò con le camere a gas. Iniziò con i politici che dividevano le persone con “noi e voi”. Iniziò con l’intolleranza e l’odio verbale. Poi il disinteresse e l’indifferenza. Infine arrivarono gli occhi chiusi davanti all’orrore.

Io mi aggiro da sola in quella landa fredda che ha raccolto le grida ed il pianto di tanti. Davanti ai forni crematori, dietro un cespuglio, vedo una mia alunna che sta piangendo sommessamente. Bene. Significa che il suo cuore ancora funziona. Mi avvicino. Le faccio solo una carezza sulla testa e proseguo. La lascio piangere che è l’atto migliore da fare lì.

All’uscita mi reco nella piccola libreria per acquistare un libro. Attira il mio sguardo un volumetto piccolo, con la copertina in bianco e nero. Per niente accattivante dal punto di vista commerciale. Ma il titolo mi attrae.

Cosa avvenne a Dachau? Un tentativo di avvicinarsi alla verità”.

Lo sfoglio e leggo l’introduzione.

“Se per miracolo uscirete vivi, scrivete, raccontate, ciò che hanno fatto di noi…”

Ecco il testamento sacro dei compagni che morirono tra le nostre braccia o furono condotti a morire nelle camere a gas. Ecco il testamento dei fratelli, degli amici provati dal destino, degli uomini-numero, le cui ceneri si dileguavano lungo le canne dei camini…”

In gran segreto ho preso degli appunti, benchè sentissi già la corda a collo perché colui che era sorpreso a raccogliere documentazioni contro i nazisti, era perduto(Franz Goldschmitt, parroco e prigioniero a Dachau dal 16/12/’42 fino alla fine di maggio del ’45). Continua a leggere La luce nel campo di Dachau

Dicendo “grazie” tu crei amore. (Daphne Rose Kingma)

Mi capita quasi sempre così.

Non so perché.

Non capisco se sia semplicemente un caso o se ci sia di mezzo un collegamento poetico creato dalla vita.

Fatto sta che ogni volta che sono in ospedale per le mie avventure settimanali, ricevo dei messaggi belli.

Anche giovedì è accaduto.

Ma questa volta ho chiesto il permesso alla scrivente, di pubblicarlo.

Io l’ho letto tutto d’un fiato.

Chi mi scrive è una mia ex alunna.

L’ho vista crescere come un fiore timido e poi sbocciare come una donna dolce e grintosa insieme.

E’ un messaggio su WhatsApp.  Con le sue abbreviazioni e la punteggiatura frettolosa. Ma mi sembrava bello porgervelo proprio così come io l’ho visto. Vero in ogni minimo dettaglio. Autentico come l’originale.

Buona lettura!

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Partorite dal Padre

Carissima Cristina, io sono una povera donna che ha sempre sofferto. Non c’è un campo che mi sia stato risparmiato. In tutto questo, tuttavia, ho sempre cercato Dio ed è Lui che mi dà la forza, anche se spesso mi lascio andare allo sconforto. Tra i tanti problemi, il più grande è quello di non essermi sentita mai amata. Provengo da una famiglia che, dire che sia arida, è poco.

Le cose si sono complicate quando ho sposato un uomo che non ritenevano alla mia altezza, e me l’hanno sempre fatta pagare. Anche ora che l’ho perso.

Mi hanno allontanato i figli. Hanno fatto in modo che io non potessi vedere crescere il mio nipotino, perché hanno instillato in loro l’idea che io e mio marito siamo dei falliti.

Ho fatto un lavoro immane per riportarli un po’ a me. Con uno ci sono riuscita poco, con l’altro meno e questo mi fa soffrire moltissimo.

Non è bello vederlo trattare i suoi suoceri come se fossero i suoi genitori solo perché sono benestanti e sentirsi mettere ogni volta sulla bilancia perché non ho niente. Il mio atteggiamento è quello del silenzio, ma, credimi, ho proprio bisogno di sentirmi amata.

Ora sto per dirti una cosa che forse ti amareggerà: a volte desidero ammalarmi per vedere nei loro occhi un po’ di amore. Perdonami, non so neanche perché ti ho scritto. Mi mancano intorno persone come te. Che Dio ti benedica e ti dia quello che il tuo cuore desidera più di ogni altra cosa. Paola.

Carissima Paola, non mi hai amareggiata con le ultime tue tre righe. Non mi hai delusa. Mi hai piuttosto stupita per la tua trasparente ed ammirevole sincerità.

Tanto abbiamo tutti la nostra personale fame d’amore ed è per questo che tanti poeti ed artisti l’hanno descritta.

Il 5 luglio 1828 Giacomo Leopardi scriveva ad Antonietta Tommassini: “Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né di altre cose simili; ma ho bisogno d’amore”

Erich Fromm diceva che senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno“.

Nella piramide dei bisogni di Maslow, l’amore è compreso nel bisogno di appartenenza e accoglienza che precede (e quindi è più urgente) del bisogno di stima e di autorealizzazione.

Tutti cerchiamo l’amore con il lanternino e, consapevoli o meno, ci avviciniamo ad ogni sua possibile forma.

Talvolta prendiamo delle fregature perché lo cerchiamo nei surrogati, ma non sempre si riesce a resistere alla tentazione di trovarlo lì. I surrogati possono essere tanti. Fama, potere, denaro, posizione sociale… ed anche la malattia.

Sembra assurdo, ma si fa di tutto pur di sentirsi un po’ amati.

Di tutto!

Tu almeno hai avuto il coraggio di guardarti dentro.

Ora però c’è da fare la seconda parte: guardarti intorno.

Perché c’è sempre, intorno a noi, una soluzione per superare le nostre difficoltà.

Altrimenti rischieremmo di implodere in una bolla di pessimismo cosmico. Continua a leggere Partorite dal Padre

Mi puoi fare da madre?

Il pianto di una nascita: è il mio.

Maria, Madre di Dio, mi puoi fare da madre?

Tu che hai assistito alla mia nascita, raccogli tutte le lacrime che ho versato nella vita quando soffrivo perché ero costretta a partorirmi di nuovo, e illuminale con un “senso”.

Guarisci la mia anima sfiorata dai sensi di colpa per gli errori fatti nel passato e fammi toccare il cielo con il perdono dato a me stessa.

Ora (propria ora, ne ieri e né domani; ora!) coprimi con il manto protettivo del tuo amore ed io, per fede, chiuderò gli occhi e mi riposerò dalle paure del futuro. Continua a leggere Mi puoi fare da madre?

Dio è un bacio caduto sulla terra a Natale

Salve professoressa Cristina, io non sono una sua alunna. Non so se questo è il modo migliore per contattarla, ma sentivo il bisogno di scriverle. E spero che un giorno lei potrà leggere la mia lettera.

Sono una ragazza un po’ cresciuta (ho 25 anni) anche se non me li sento per niente. Dentro di me mi sento molto piccola, insicura e fragile. Ho intrapreso da un anno il corso per diventare OSS ed adesso sto svolgendo il tirocinio in ospedale da due mesi. Il lavoro mi piace e credo davvero di aver trovato la mia vocazione. L’ostacolo più grande non è però il lavoro, la pratica, quanto lo studio.

Mi spiego meglio e le accenno qualcosa sul mio passato.

Da piccola ho sofferto di epilessia: Ho un buco di memoria che parte dalla mia giovinezza fino ai 14 anni. In quegli anni prendevo un farmaco che mi stordiva e non mi rendeva efficiente a scuola.

Sono cresciuta con un profondo senso di smarrimento interiore e mi sentivo diversa perchè non andavo mai bene a scuola. Non riuscivo a memorizzare nulla, né a imparare. Negli anni i miei mi mandavano al dopo scuola tutti i pomeriggi, ma io non memorizzavo nulla e mi portavo dentro un disperato senso di angoscia perché mi rendevo conto di non apprendere. Ci sono traumi dentro di me che non sono forse riuscita mai a superare. Ricordo che i miei erano molto scossi per questa situazione.

A scuola le maestre mi mettevano sempre non sufficiente ad ogni pagella. Non ricordo che questi momenti brutti. Ricordo di aver strappato quasi tutte le pagelle di quegli anni. Un giorno sentii i miei parlare in modo abbattuto della mia situazione. ma quello che più mi ribolle è che non comprendo perchè le maestre, anziché aiutarmi a credere in me stessa, mi mettevano non sufficiente. Cosi sono cresciuta odiando me stessa…

Ho fatto molti errori nella mia adolescenza. Non volevo finire la scuola così, al quarto anno, abbandonai tutto. Mi sono fatta usare dai ragazzi, perchè mi reputavo stupida.

Nel buio totale dei miei 18 anni Dio mi venne a prendere. Ricordo la rinascita. Ricordo gli aiuti che Lui mi mandò in quel periodo ed io mi allontanai da tante persone. La malattia che avevo però l’ho scoperta mesi fa. Nessuno mi aveva detto mai nulla. Se l’avessi saputo forse non mi sarei odiata come facevo ai tempi delle scuole. Tempi in cui mi sentivo molto stupida e non capivo perché ero l’unica ad avere problemi con la scuola. Ora facendo questo corso OSS e sento di aver trovato la mia strada. Il lavoro mi piace molto. Eppure non ho la forza x studiare. Ho la fobia dello studio, leggo ma non imparo nulla. Studio poco perché mi scoraggio. Non ho un metodo di studio e non so nemmeno come si fa. L’unico che ha creduto in me è stato il mio ragazzo. Fin dall’inizio. Adesso siamo insieme da un anno eppure io, per le mie insicurezze con lo studio, sto diventando molto insicura e fragile.

E non vorrei questo, perchè amo Andrea e vorrei creare qualcosa di importante con lui.

Lui è la persona che Dio mi ha mandato per aiutarmi a crescere ed a migliorare. Lo sento. Lui non ha smesso un attimo di credere in me. Cara professoressa, mi sento in uno stato di tristezza perché ho tanto da studiare e sto lasciando scorrere tutti questi mesi senza aver avuto la forza di farlo.

A fine gennaio dovrei dare gli esami. E io cosa faccio? Sono qui a lasciarmi prendere dall’ansia e dallo scoraggiamento.

Credo che questo mio problema abbia influito negativamente in tutto. Perché anziché credere in me stessa e in Dio che tutto può, mi lascio ingannare dalla paura di non sentirmi accettata da nessuno.

La paura di deludere tutti ecc ecc.

Come ad esempio anche il fatto di sentirmi a disagio davanti alla madre del mio ragazzo, sempre per il fatto che non sono brava a studiare. Mentre lei ha grandi aspettative per il figlio che studia all’università per diventare infermiere.

Grazie x aver letto la mia storia. Adesso mi preparo per andare a messa con Andrea.

 

Carissima Elisabetta, quanto potere può avere la nostra paura su di noi?

Tanta.

E più gliene diamo, e più se ne prende.

Non si sazia mai.

Ogni problema non nasce quasi mai dal problema stesso ma dalla paura. Continua a leggere Dio è un bacio caduto sulla terra a Natale

Il lamento continuo fa male!

IL LAMENTO CONTINUO E’ UNO DEGLI SPIFFERI PIU’ PERICOLOSI!
Buongiorno a tutti! 
Siete felici?
No?
Sì?
Beh, allora iniziate la giornata facendovi del bene: via i lamenti! 
Via i lamenti dalla vostra mente e via l’ascolto dei lamenti degli altri!
Per carità, non voglio essere fraintesa. Ci sono momenti e giornate in cui un sano “Vaffa…” ci sta bene ! 
 Io parlo di tutti coloro che si fanno del male (e lo fanno agli altri) lamentandosi sempre e comunque.
 Quelli che se gli chiedi come va, ti rispondo sempre e comunque con un malinconico, angosciato e sospirato: “Eeeehhhh…si va avanti”.
 Quelli che se ti chiedono “Come stai?” e tu provi a dire per una volta: “Beh, oggi è stata un po’ dura perchè…” loro ti rincarano con la loro dose personale, raccontandoti subito la loro sfiga con un: “Eeeeehhhh, sapessi a me quante volte mi succede!” senza neanche farti finire.
Perchè non sia mai che al mondo ci sia qualcuno più sfortunato di loro.
 Quelli che se vedono qualcuno che fa qualcosa di bello, hanno sempre pronto quel “Sì, però ….” e giù una lista di motivazioni terribili atte a dimostrare che quell’azione costruttiva, tanto costruttiva poi non è. Sono gli amanti della distruzione, sempre e comunque.
 Quelli che si lamentano di tutto e tutto il giorno. In ufficio, per la strada, con i vicini…
Il clima, la vita, il lavoro, la cena: tutto può essere una ragione per applicare il “lamento h24”
 Qualcuno ha proprio come sport personale quello di riempire la propria e l’altri giornata con parole di negatività o di odio.
E’ stato condotto uno studio da alcuni neuroscienziati, che hanno misurato l’attività cerebrale nelle situazioni un cui una persona si trova a dover affrontare degli stimoli specifici, come ascoltare parenti o amici che si lamentano costantemente. I risultati hanno evidenziato che stare sempre a contatto con persone negative fa sì che i neuroni del cervello si “disconnettano”, non permettendo di essere lucidi e di risolvere efficientemente i problemi.
Ebbene, quindi entrare in contatto con una persona negativa per più di 30 minuti causa una disconnessione dei neuroni dell’ippocampo del cervello ed è proprio questa parte del cervello necessaria per risolvere i problemi della giornata.
Continua a leggere Il lamento continuo fa male!

“Sappi che il mondo si regge sulla tua gioia più che sulle tue lacrime” (F. Erminio)

“Salve, mi chiamo Federica e sono una ragazza di 22 anni. Io non so cosa si scrive in queste occasioni. Non so come rendere davvero l’idea di quello che avrei voglia di dire. Ma ci provo perché è da un po’ che lo prometto a me stessa.

La cosa che più mi preme è dirle che la stimo. Io la stimo, tanto. La stimo per la persona che é e che, anche solo dietro uno schermo di un telefono, traspare. La stimo per le cose che fa, che dice e che scrive. Per l’amore e la speranza che trasmette.

Io ho 22 anni, sono una ragazza, ma mai ho avvertito così tanta speranza come quando leggo le sue parole.

Se solo ne esistessero di più di persone come lei nel mondo… Forse tutto avrebbe un pochino più di senso. Almeno un po’.

Comunque, oltre a questo vorrei dirle altre cose.

Io ho tanti anni ancora avanti ma tanti e tanti alle spalle che pesano come macigni. Questo forse é un periodo, se così posso descriverlo, più “tranquillo”. Eppure ci sono alcune sere in cui, la mente e il cuore, non fanno altro che torturarmi e ricordarmi ogni mia condanna. Tra un po’ compirò 23 anni e questi giorni mi stanno tormentando. La notte non riesco a dormire, neanche mezzo secondo. Mi sento come se la vita mi scivolasse da sotto i piedi senza neanche accorgermene.

Sa cos’è? È che io il mondo, già a sei anni, lo guardavo con gli occhi da grande. A sei anni ero già grande. E tante cose non ho vissuto, tante cose non ho avuto. Ma non materiali, di quelle me ne faccio ben poco. Non ho avuto l’amore, non un “ti voglio bene”, non un “come stai” dalle persone che forse avrebbero dovuto. Avevo una tempesta dentro ma nessuno doveva vederla, perché io dovevo rendermi forte per tirare su mia madre caduta in depressione. Dovevo rendermi forte e responsabile per crescere mia sorella e non lasciarla andare ad un destino che si sarebbe rivelato incontrollabile. Dovevo nascondere la tempesta, perché non potevo crollare. Non potevo. Se fossi crollata io, sarebbe crollata tutta la famiglia. E quindi, con dolori e responsabilità sulle spalle, sono partita per il viaggio che ha segnato la mia vita: crescere. Non l’ho mai voluto. Non ho mai voluto le improvvise ed eccessive “attenzioni” di mio padre. Non ho mai voluto essere toccata in quel mondo. A me, bastava un abbraccio. A me, bastava uno sguardo. Sono cresciuta così, con questa tempesta nel cuore e con un macigno sulle spalle. Sorridere sempre e non far capire mai agli altri cosa stava realmente accadendo. Non sia mai. Doveva filare tutto liscio. Oggi ho 22 anni e sento di non appartenere a nessun posto nel mondo. Sento di non star andando in nessuna direzione e che la mia vita sia in realtà tutta già scritta. Non so se riuscirò mai ad andare oltre, non so se mi innamorerò, non so se diventerò quella che ho sempre sognato.

Oggi ho 22 anni, studio per riuscire a realizzare almeno uno dei miei sogni. Studio per andare via. Per riuscire a crearmi una vita come l’ho sempre sognata. Studio, per riuscire, anche io come lei, a diventare insegnante. Per cercare e salvare tanti occhi dispersi, come lo ero io.

Oggi ho 22 anni e per così tanti anni mi sono sentita solo un pezzetto di carta strappato e calpestato dal primo che passava. Per così tanti anni i sensi di colpa e la rabbia hanno abitato dentro la mia anima. Per così tanti anni l’unica cosa a cui ambivo era salvare mia madre e mia sorella. Io, potevo aspettare. Oggi, mi penso un po’ di più. Oggi, ogni tanto mi abbraccio. Non ho mai avuto un abbraccio quindi lo faccio io. Oggi ho 22 anni, ho aiutato mia madre a salvarsi dalla depressione ben due volte. Ho cercato di portare mia sorella verso le strade giuste, mai compito più difficile. Mi fa dannare, disperare e piangere tanto. Spero per lei un futuro e una vita diversa dalla mia. Sarà l’adolescenza, ma proprio non troviamo un punto d’incontro. Eppure lei aspetta me, sempre. Di notte la ritrovo sul mio letto quando tardo ad arrivare, con la paura che anche io la possa abbandonare. Lei non lo sa, ma non ne sarei mai capace. Oggi ho 22 anni e ho perso la persona più importante della mia vita, mio nonno. Ho camminato nel buio per mesi ed anni. Forse vedo uno spiraglio, forse. Ho attutito i colpi lanciati e scagliati con una violenza inaudita. Ho sofferto e sopportato il peso di essere me. Ho cercato una strada per arrivare al cuore di mia sorella quando anche lei era esausta di questa vita e voleva farla finita. Ho battuto la testa e il cuore contro mia madre per cercare da lei un po’ di amore. Ma oggi, ho 22 anni. 100 anni alle spalle e 100 ancora da vivere. Questa vita mi pesa, tanto. Il dolore che ho dentro ancora mi urla e mi lacera l’anima. Mi dico che vorrei fare tante cose nella vita, ma poi resto ferma al punto di partenza. Tutti mi dicono che sono “rara” perché metto sempre gli altri avanti per salvarli o aiutarli almeno un pochino. Di questo, forse un po’ ne vado fiera. Aiutare gli altri è sempre stato il mio forte.

Per caso, verso maggio, in piazza tutte le domeniche c’erano le lodi. Una signora mi si avvicinò, si presentò e mi disse “Gesù ti ama”. Lì per lì mi uscì un sorriso spontaneo ma non per dire “lo so grazie” ma per dire “si come no”. Lei si fermò accanto a me per più di due ore credo a raccontarmi la sua storia e di come Dio l’avesse salvata. Mi lasciò con un magone in gola per il resto dei giorni a venire e non potevo fare a meno di pensarci. Però dentro di me continuavo a pensare a tutto quello che ho sopportato e di quanto quella sia la dimostrazione che forse Dio qualcuno di noi se lo dimentica. Comunque per le domeniche restanti continuai ad andare in piazza, con la scusa del cane, per non ammettere a me stessa che ero interessata e che parlare con quella signora mi dava un po’ di speranza ed era ciò di cui avevo bisogno. Finite le lodi, mi restò un po’ d’amaro in bocca, come se qualcosa volesse uscire dal mio corpo ma non sapevo cosa. Mi vidi con quella signora per un caffè e li capii che dovevo raccontarle la mia storia, non le dissi tutto perché ricordare tante cose mi devasta, ma avevo bisogno di sentire che potevo andare avanti e sorvolare quell’enorme muro che mi si era creato avanti. Iniziai a leggere un po’ la bibbia, a pregare non prestando mai particolare attenzione alle preghiere ma cercando di dire ciò che il cuore chiedeva. Tutte le sere, quando il buio calava, uscivo di casa e mi andavo a sedere sulle scale della chiesa e cercavo dentro di me risposte. In quel periodo diedi tre esami universitari senza un accenno d’ansia, dato che solitamente ho crisi di vario genere. Poi sono partita per tutto il mese d’agosto. Lì le distrazioni sono state tante, ma ogni mattina, anche se magari facevo la nottata con gli amici, alle sei andavo in spiaggia per parlare con Dio. Quando sono tornata a Napoli non ero più la stessa: Sentivo di essere cambiata nei miei confronti e in quelli degli altri. E mi sentivo bene. Ma oggi, io non credo di stare veramente bene. Perché oggi non riesco di nuovo a fidarmi di tutto quello che ho provato nei mesi precedenti. Non ci riesco più. Il pensiero anche solo di pregare mi fa stare male. Ed io il motivo preciso non lo so. Mi sento persa, confusa e anche molto vuota. So che forse mi potrà dire “torna da Dio”, ma io non ci riesco. Soprattutto in questo periodo vedo il nulla attorno a me ed i fantasmi del passato stanno tornando a farmi visita. Ma poi leggo le sue parole, così consapevoli. Mi lascia sperare, mi danno speranza. E non sa quanto questo sia importante per me. Per me, che non credevo neanche più di esistere. E quindi, anche se non mi conosce, io la ringrazio perché c’è e si fa sentire forte. Anche io posso sentirla, credevo di no. Invece posso, grazie

Carissima Federica, è stato davvero molto molto bello leggere la tua autoanalisi strapiena di cado ma non mi arrendo.

Succede a tanti di camminare faticosamente in salita, solo che tu hai il dono della scrittura.

Ora credo sia inutile parlarti delle dolorose ferite che la mancanza di amore ci lascia dentro. Purtroppo lo impariamo benissimo a nostre spese, senza bisogno di una laurea in psicologia.

E credo sia superfluo parlarti della perseveranza nella preghiera. Anche questa è una cosa che comprendiamo subito. Non occorre essere dei geni per intuire che l’acqua vince sulla roccia non per la sua forza ma per la sua perseveranza.

Allora che cosa diremo?

Come li passeremo i prossimi tre o quattro minuti insieme?

Li passeremo navigando a vista tra poesia e fiducia. Continua a leggere “Sappi che il mondo si regge sulla tua gioia più che sulle tue lacrime” (F. Erminio)