Fa un freddo tremendo. Tira pure un vento gelido. Il cielo è grigio intenso.
Io sono arrivata a Dachau con 50 studenti del quinto anno.
Prima di scendere dico loro: “Se riuscite, fate in modo di girare nell’orrore immaginandovi lì dentro. Meglio; immaginate lì dentro qualcuno che voi amate tanto. Rifuggite il più possibile, se ci riuscite, dalla sensazione di fare un tuffo in una specie di film horror. Una carrellata storica di sadismo macabro. Ogni foto che vedrete, fissatevi sugli occhi. Fermatevi. Immaginate i suoi sogni ed il suo terrore. Sgrullatevi di dosso anche la sensazione di fare semplicemente uno studio sul passato. Il male non è qui o là. Ieri o un anno fa. E’ dentro di noi, sempre pronto a risorgere dalle ceneri. Proprio per questo non dovete illudervi che una visita in un campo di concentramento, potrà cambiare il futuro. Conoscere non è sinonimo di cambiamento. E’ solo un primissimo passo. Niente più. Se bastasse conoscere le cose per cambiare, avremmo già rivoltato il mondo verso il bene. Invece non è così. Dovrete partire da voi stessi. Buon lavoro al vostro cuore ragazzi.”
Scendono in silenzio. Cercando di coprirsi il più possibile dalle sferzate del vento gelido.
Meglio che ci sia quel freddo assolutamente inaspettato.
Meglio che il nostro corpo sia gelido perché coperto solo da abiti primaverili.
Meglio che niente ci aiuti a rendere un po’ più leggera quella visita.
Quell’orrore non iniziò con le camere a gas. Iniziò con i politici che dividevano le persone con “noi e voi”. Iniziò con l’intolleranza e l’odio verbale. Poi il disinteresse e l’indifferenza. Infine arrivarono gli occhi chiusi davanti all’orrore.
Io mi aggiro da sola in quella landa fredda che ha raccolto le grida ed il pianto di tanti. Davanti ai forni crematori, dietro un cespuglio, vedo una mia alunna che sta piangendo sommessamente. Bene. Significa che il suo cuore ancora funziona. Mi avvicino. Le faccio solo una carezza sulla testa e proseguo. La lascio piangere che è l’atto migliore da fare lì.
All’uscita mi reco nella piccola libreria per acquistare un libro. Attira il mio sguardo un volumetto piccolo, con la copertina in bianco e nero. Per niente accattivante dal punto di vista commerciale. Ma il titolo mi attrae.
“Cosa avvenne a Dachau? Un tentativo di avvicinarsi alla verità”.
Lo sfoglio e leggo l’introduzione.
“Se per miracolo uscirete vivi, scrivete, raccontate, ciò che hanno fatto di noi…”
“Ecco il testamento sacro dei compagni che morirono tra le nostre braccia o furono condotti a morire nelle camere a gas. Ecco il testamento dei fratelli, degli amici provati dal destino, degli uomini-numero, le cui ceneri si dileguavano lungo le canne dei camini…”
“In gran segreto ho preso degli appunti, benchè sentissi già la corda a collo perché colui che era sorpreso a raccogliere documentazioni contro i nazisti, era perduto” (Franz Goldschmitt, parroco e prigioniero a Dachau dal 16/12/’42 fino alla fine di maggio del ’45). Continua a leggere La luce nel campo di Dachau