Voglia di ricominciare

“Mi chiamo Sara ed ho ventinove anni. La mia vita è stata un calvario a causa delle innumerevoli sofferenze fisiche e psichiche che ho subito sin da piccola da parte della mia famiglia di origine. Sin da molto piccola sono stata costretta a crescere sola e a fare da genitore ai miei. Come conseguenza di tutto ciò mi sono ammalata di una grave forma di panico, ansia, angoscia, depressione, non ho voluto vedere più nessuno. Circa dieci anni fa ho assunto dei farmaci ed ho iniziato finalmente a vivere (pur con tutti i problemi).

Purtroppo le conseguenze ci sono su di me, specie nei rapporti sociali. Infatti non ho mai avuto un ragazzo, ma cerco di andare avanti. Scusa per lo sfogo, ma chissà se hai qualche parola di speranza anche per me. Grazie, con affetto. Sara.

 

Cara Sara, quant’è doloroso sentirsi feriti fin da piccoli? Tanto.

E quant’è difficile ammetterlo con sé stessi? Ugualmente tanto.

E’ talmente difficile che la maggior parte delle creature umane, invece di ammetterlo, si fissano (spesso inconsciamente) in un ingiusto Io non merito di essere amato.

E da quel momento in poi la vita diventa come una corsa ad ostacoli per avere la dose quotidiana di amore, atta a nutrire la propria anima perennemente affamata.

Ovviamente la dose non è mai abbastanza, perché si è sempre in crisi di astinenza.

O meglio: appena si riceve una dose di affetto o stima da parte di qualcuno, lì per lì ci si sente appagati e sereni.

Persino felici.

Ma poi ricomincia la corsa.

Una corsa affannata fatta sul tapis roulant della quotidianità: tanto affanno e pochi passi in avanti.

Ed ecco allora l’ansia, il panico, l’angoscia, la depressione, la chiusura… ed infine la solitudine.

Ci si sente soli anche in mezzo alla gente.

Allora ci si mette delle maschere per cercare di diventare più amabili o per nascondere il proprio dolore interiore.

E’ una vita emotiva estremamente faticosa.

E questo vale anche per chi è stato amato, ma in modo sbagliato.

Oppure è stato amato, ma troppo.

Stili relazionali sbagliati spesso derivanti da una ripetizione di errori familiari.

Ed allora chi darà uno stop a questo susseguirsi di ferite?

Colui o colei che avrà il coraggio di guardarsi allo specchio, buttare via la maschera e cambiare rotta.

C’è la maschera del dipendente affettivo, del maniaco del controllo, dell’anaffettivo, del narcisista, del recluso affettivo…

L’ultima maschera dell’elenco è micidiale perché apre la strada alla solitudine “cercata”.

Si fugge cioè dai rapporti affettivi (che sia un amore, un’amicizia o una cena tra colleghi) per evitare preventivamente qualcosa che ci potrebbe far sentire respinti.

La paura dell’abbandono è viscerale.

Spesso neanche tanto consapevole.

E’ una specie di Ti lascio prima che sia tu a lasciare me, Non vengo alla cena per evitare di … e così via.

Ci si isola in un angoletto della vita, per paura del rifiuto altrui e perché si pensa di non meritare l’affetto e la comprensione di nessuno. Il timore di non essere voluti ci fa diventare sfuggenti.

Sentirsi sempre “sbagliati” è terribile!

Si ha sempre bisogno di conferme esterne sul proprio valore.

Io valgo in quanto me lo dicono”.

In tutto questo turbinio ventoso, quale ombrello ci riparerà?

Cara Sara, ho intuito che tu hai affrontato la tua situazione con un cammino anche medico. Hai fatto bene.

Le medicine sono una spinta utile per iniziare, ma poi c’è bisogno di respirare aria pura e camminare sulle vette della libertà interiore.

Come fare?

Ognuno ha le sue chances che gli si presentano davanti.

Non è vero che la vita ci abbandona.

Mai!

Come darti una bella spinta di ottimismo e speranza?

Un po’ di anni fa stavo passando un periodo molto molto molto difficile.

Avevo scoperto una collana di libri autobiografici che raccontavano la famosa luce in fondo al tunnel.

Quasi ogni giorno ne acquistavo uno per nutrire la mia speranza.

Un giorno mi capitò tra le mani un libro me-ra-vi-glio-so!!!

Te lo vorrei consigliare.

Si intitola “Più forte dell’odio” (https://www.tealibri.it/libri/piu-forte-dellodio-9788850228508).

Rimasi incuriosita dalla breve prefazione.

«Sono sopravvissuto grazie a tre sogni: uscire dal riformatorio dove ero stato messo, diventare capobanda, uccidere mio padre. Sogni che ho realizzato. Tranne il terzo. Per un pelo… Per anni è stata la fiamma della vendetta a darmi la forza di vivere.»
Abbandonato a tre anni, sulla strada, dalla madre; inchiodato per due anni a un letto di ospedale, a causa delle botte ricevute dal padre: l’infanzia di Tim è un inferno di rabbia e di odio, in un alternarsi di riformatori, famiglie affidatarie e istituti. A 12 anni comincia a vivere sulla strada, e lì è una lotta quotidiana contro la fame, il freddo, i cattivi incontri. Poi il pugilato, grazie al quale riesce a emergere e ad acquistare un po’ di rispettabilità. Ma dentro di lui brucia l’odio e cresce il desiderio di vendetta contro il padre. Saranno l’incontro con un sacerdote e l’amore di una donna a cambiare radicalmente la sua vita. Un libro che contiene un grande messaggio di speranza e un forte richiamo alla forza dell’amore e del perdono.

Ricordo la leggerezza del tono ironico con cui Tim raccontava gli eventi drammatici della sua vita.

Rammento il senso di fiducia nella vita che quel libro mi ha lasciato (soprattutto nella seconda parte quando diventava palese che alcune coincidenze avevano Dio come Buon Regista).

Ed infine mi ha fatto piacere leggere come Tim dimostri una grande cosa: che l’amore può sempre entrare nella nostra vita dandoci la forza di cacciare i fantasmi passati che ci vorrebbero vedere perennemente rannicchiati negli angoli bui della nostra vita.

Te lo faccio dire da lui.

 

“La mia vita è ammaccata come il mio volto.
Solo sul naso ho ventisette fratture. Ventitré provocate dalla boxe, quattro da mio padre.
Le botte più forti le ho ricevute da colui che avrebbe dovuto prendermi per mano e dirmi “Ti amo”.
Era un irochese. Quando mia madre lo ha lasciato, il veleno dell’alcol lo ha reso folle. Mi ha picchiato a morte prima che la vita ne proseguisse il gioco al massacro.
Sono sopravvissuto grazie a tre sogni: uscire dal riformatorio dove ero stato messo – un’impresa mai riuscita fino ad allora -, diventare capobanda, uccidere mio padre.
Sogni che ho realizzato. Tranne il terzo. Per un pelo…
Per anni è stata la fiamma della vendetta a darmi la forza di vivere.
Nella prigione del mio odio sono venute a farmi visita delle persone amorevoli che mi hanno commosso. È a queste persone che la società rifiuta, i deboli, gli storpi, gli handicappati, gli “anormali”, che devo la vita. E una formidabile lezione d’amore. A loro dedico questo libro: sono loro che mi hanno permesso di rinascere.

L’incontro inatteso con l’Amore mi ha sconvolto l’esistenza.
Oggi vivo in una grande casa luminosa, sulle alture di Lourdes, con Martine, mia moglie, Églantine, Lionel, Kateri e Timothée, i nostri bambini. Più qualche persona di passaggio che si ferma da noi in attesa di riprendere il cammino.

Questa mattina ho sistemato le arnie sul versante della montagna. Domani le porterò altrove, ad altri fiori, ad altri profumi. Assaporo il silenzio delle colline che, nelle loro cavalcate mi portano verso l’orizzonte.
Un’ape mi volteggia intorno, mi ronza vicino al viso, torna sul fiore, già carica di polline. La sua vita è regolata come una partitura: essa suona le note della sua eredità, ordini secolari trasmessi dal codice genetico. L’ape, come tutti gli animali, non può cambiare alcunché di quel comportamento programmato.
L’uomo sì.
L’uomo è libero di scombinare il proprio destino, per il meglio o per il peggio.
Io, figlio di un alcolizzato, bambino abbandonato, ho deviato il colpo della fatalità. Ho fatto mentire la genetica. Questa è la mia fierezza.
Mi chiamo Philippe, ma mi chiamano Tim perché il mio nome irochese è Timidy. Significa “signore dei cavalli”. È stato più difficile addomesticare la mia memoria ferita che un purosangue selvaggio.
Il mio cognome Guénard può essere tradotto con “forte nella speranza”. Ho sempre creduto al miracolo. Quella speranza non mi è mai mancata, nemmeno nella notte più nera, oggi la auguro agli altri.
Dai miei antenati ho ereditato l’assenza di vertigini. Non temo che un abisso, il più terribile: quello dell’odio al cospetto di se stessi.
Non ho che una paura: quella di non amare abbastanza.

Per essere un uomo ci vogliono le palle. Per essere un uomo d’amore ci vogliono ancora più grosse.
Dopo anni di lotte, con mio padre, con me stesso e il mio passato, ho sotterrato l’ascia di guerra.
Ogni tanto, quando me lo chiedono, parto con il mio furgone per andare a raccontare le vicende della mia vita incasinata. Qui da noi, da qualche altra parte in Francia o all’estero, nelle scuole, nelle prigioni, nelle chiese, negli stadi, nelle piazze pubbliche…
Porto la testimonianza che il perdono è l’atto più difficile da compiere. Il più degno dell’uomo. Il mio combattimento più bello.

L’amore è il colpo finale.
Ormai cammino sul sentiero della pace.”

 

Carissima Sara, buon cammino a te ed a tutti noi, nel sentiero della pace!


P.S. Se vuoi ascoltare la sua storia, clicca qui:

Tim Guenard

 

 

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