Il primo sintomo della morte é la nascita. (Stanisław J. Lec)

Buongiorno. A 32 anni credevo di aver “capito” la morte… ma purtroppo non è così. Ieri ho saputo della morte di una ragazza che ho conosciuto un paio di mesi fa. In autostrada, con marito e genitori. Il pneumatico di un camion che viaggiava nella direzione opposta si è sganciato e ha colpito l’auto, uccidendo sul colpo la ragazza (incinta di pochi mesi) e ferito la madre… Dopo questo, credo di dover ripartire da zero e cercare di capire bene… una brava ragazza come poche, sposata da poco più di un anno, incinta… qual è in questo caso il disegno di Dio?

Cara Maddalena, credo che in certi casi sia giusto lasciarsi andare al dolore ed alla rabbia. Probabilmente anche Dio ci incoraggia a sfogarci. Se non capisce Lui quello che stiamo provando, chi altri può farlo?

Ma cosa proviamo?

Senso d’impotenza devastante, sofferenza dilaniante, paura soffocante, finale da incubo ed un’intensa sensazione di mancanza.

Mancanza della persona, mancanza di senso” della vita, mancanza di sicurezze per l’avvenire, mancanza di voglia di andare avanti”.

E poi voglia…tanta voglia di sfogare questo fiume di dolore, prendendosela con qualcuno. La morte di un figlio in particolare porta con sé tale e tanto dolore da travolgere i genitori nella reciproca colpevolizzazione fino (a volte) alla rottura.

Sulla morte non abbiamo potere.

Non possiamo eliminarla.

Anzi: più ci pensiamo, più i timori ci aggrediscono.

Forse è per questo che abbiamo inventato ogni sorta di gesti scaramantici.

L’angoscia, il pianto, la tristezza, il senso di abbandono, la disperazione…

No. Non si può vivere con queste cose addosso.

Ma come fare a scrollarcele?

La magia è solo nelle favole dei bambini.

E allora?

E allora l’unico modo per affrontare un atavico nemico, è ricorrere ad un atavico cammino interiore.

Non si affronta la morte senza prepararcisi. Ma ci si deve preparare con un viaggio spirituale che parte da lontano.

Bisogna meditare sul senso della vita, facendone uno stile esistenziale.

Cominciamo con un primo passosiamo provvisori. Non siamo sulla terra per sempre. Questa è l’unica cosa che accomuna tutti. La morte rammenta al nostro “Io”, che prima o poi sparirà. Non ci deve metter paura questo passo. E’ necessario farlo per concentrarci su quel che vale davvero.

Il secondo passo è che siamo (tutti e sempre) affamati di esistenza. Siano 10 o siano 100, gli anni passati in vita non ci sembrano mai abbastanza. Non ho mai sentito dire ad un moribondo: “Va bene così. In fondo, un altro mese in più, mi sarei pure annoiato”

Il terzo passo è comprendere che abbiamo armi spirituali per arrivare oltre le famose quattro fasi del lutto (stordimento e incredulità; rabbia e ricerca della persona cara; disperazione ed infine – per naturale sopravvivenza – accettazione della perdita).

In sintesi: non ci verrà mai naturale abbinare alla “vita” la parola fine .

Fine = quello che non ha alcuna cosa innanzi, ne può averne altra dopo, opposto a principio. Termine. Stop. Arresto. Basta.

Se poi il “fine corsa non arriva per naturale vecchiaia, ma per incidente, tumore, omicidio, fame, cataclisma… il senso d’impotenza assommato alla rabbia, raggiunge vertici disarmanti.

Chi potrà fermare tutta questa paura e questa impotenza?

Chi?

C’è qualcuno che sappia distrarre la morte perché non arrivi fino a noi?

C’è qualcuno che riesca ad imprigionarla affinché non giunga fino ai bambini?

Tutti gli esseri umani di ogni epoca e di ogni latitudine, si sono fatti questa domanda: “Chi” potrà aiutarci?

“Chi” potrà farci vivere per sempre, facendo lo sgambetto alla morte e dandoci il potere di vivere ancora?

Quel “chi?” ha iniziato a circolare quando ancora non c’erano cattedre universitarie di filosofia e non esistevano religioni scritte sui libri. Da sempre ogni creatura umana ha istintivamente alzato gli occhi al Cielo ed ha chiesto: “Ci sei tu? Ci sei Dio? Ci sei Signore dei cieli e della terra? Ci aiuterai a vivere ancora?”

Ancora oggi ognuno di noi continua a guardare il Cielo e a fare questa richiesta.

Dall’Homo sapiens che seppelliva i suoi cari in posizione fetale all’uomo moderno che prega od impreca, tutto è un invocare il Cielo affinché la vita continui.

Affinché lo sgomento ceda il passo ai verbi della fiducia in un “Colui” onnipotente.

Quel “Colui” ha rovesciato la pietra del suo sepolcro perché la sua risurrezione diventasse profezia di futuro per tutti noi.

Quel Gesù ci ha dato il potere di far entrare distillati di vita eterna in ciascuno di noi, pian piano, giorno dopo giorno.

Ci ha dato armi spirituali per combattere paura e disperazione con la fede e la preghiera.

Ci ha dato forza interiore per avere più paura di una vita sbagliata che non della morte.

Yehoshùa, Dio salva, è il suo nome. Salvare significa conservare. E nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere d’acqua fresca, neanche il più piccolo filo d’erba.

Per tutto e per tutti si sono aperti i battenti della porta della vita.

E nella vita saremo per sempre.

 

P.S. Mi commossero anni fa e continuano a commuovermi: sono i versi del poeta Mario Luzi nella via Crucis del 2003. Leggiti l’introduzione iniziale. La lotta interiore di Gesù di fronte alla morte imminente. Solo un grande poeta poteva trasformare in parole umane, la profonda agonia di Gesù http://www.diocesipatti.it/Via%20Crucis%202003-2.htm

Da sempre seguo (per mio interesse personale) gli studi medici e psicologici sul morire. Ti vorrei segnalare due cose: una ricerca scientifica su quel che succede in noi poco prima di morire (http://www.ilsussidiario.net/News/Scienze/2017/6/8/La-morte-e-una-esperienza-di-serenita-o-di-paura-/768096/ ) e su quel che racconta una dottoressa che ha fatto, del seguire i malati terminali, la sua vita (https://books.google.it/books/about/La_morte_e_la_vita_dopo_la_morte.html?id=e4hNkFNicZAC&redir_esc=y )

(https://books.google.it/books?id=e4hNkFNicZAC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false )

Tre piccole-grandi armi da mettere, anche oggi, nella tua faretra spirituale.

 

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