“La mia grande tristezza si deve al fatto che, ormai da tempo, sto sperimentando due forme di amore: una per la mia famiglia e l’altra per una persona con cui condivido un progetto di vita futura insieme.
Il problema? Che purtroppo non è la situazione più facile del mondo, dal momento che a dividerci c’è l’oceano e la mia famiglia si è sempre opposta facendomi sentire una figlia irriconoscente a cui non interessano i propri genitori (il dolore più grande che come figlia avrei mai potuto sentire, soprattutto per il mio carattere sensibile alle sofferenze degli altri )
Ho passato un anno lontana da casa con il coraggio di costruire, passo dopo passo, la mia vita. Ho affrontato difficoltà ed ho vissuto momenti di felicità che mai avrei potuto immaginare. Però purtroppo non ho potuto condividerli con i miei cari, anche se il mio desiderio più grande sarebbe di includerli in questa mia gioia… è che però a loro non interessa.
Vorrei cercare di capire qual è la volontà di Dio. Vorrei capire se la mia felicità a migliaia di km di distanza, è stata egoista perché dolorosa per i miei genitori o se, invece, Dio mi sta mettendo alla prova e devo continuare malgrado la paura.
La mia sensibilità è un grande freno e nel giro di due mesi sono passata dalla vetta della pace e della serenità con me stessa, all’angoscia più cupa nel rendermi conto di non avere la famiglia “dalla mia parte”. E questo nonostante gli incredibili risultati di crescita personale (ma anche professionale) che ho fatto lontana dal nido e che, purtroppo, in questo mio stato di tristezza, potrei dire di averli già perduti. Mi scuso per le lungaggini!
Il fulcro di tutto è: come riconoscere ciò che Dio vuole da me, per potermici affidare ciecamente, senza paura del futuro, del dolore, della distanza e delle delusioni altrui.”
Carissima Emma, se solo tu potessi vederti dal di fuori…dall’alto…con un po’ di sereno distacco…ti daresti subito le “dritte” giuste per camminare spedita verso la felicità e la tua realizzazione personale.
Invece sei vicinissima a te stessa. Sei dentro te stessa. Sei intrisa di sensibilità, di insicurezza e di sensi di colpa. I tuoi occhi vedono solo a pochi centimetri da te, perché l’orizzonte è offuscato da tanti dilemmi.
Che decisione devo prendere?
Ed i miei genitori?
Qual è la cosa giusta?
Cosa vuole Dio che io faccia?
Mi sta mettendo alla prova?
Se solo potessi guardarti dall’alto, vedresti che, oltre la nebbia che ti circonda, c’è aria limpida.
Vola. Vai in alto. Come una freccia. Come la freccia di cui poetizza Gibran.
I tuoi figli non sono figli tuoi,
sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo,
ma non li crei.
Sono vicino a te,
ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore,
ma non le tue idee.
Tu puoi dare dimora al loro corpo,
ma non alla loro anima,
perché la loro anima abita
nella casa dell’avvenire
dove a te non è dato entrare
neppure con il sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro,
ma non volere che essi assomiglino a te,
perché la loro vita non ritorna
indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.
Tu sei quella freccia.
Se tu che abiti nell’avvenire.
E se un amore entra nella tua vita, lì c’è anche il tuo avvenire.
E se una bella professione ti spalanca la sua porta, lì ci sono i tuoi sogni di realizzazione personale.
E se …
Quanti “e se…” possono farsi largo nei nostri giorni?
Tanti.
Ed ogni volta sta a noi scegliere se sperimentarli o abbandonarli. Se rilanciare o rinunciare.
Qual è la volontà di Dio? Che noi viviamo liberi, felici di scegliere per il nostro bene. È esercitando la nostra “autodeterminazione” che ci avviciniamo alla serenità profonda.
I sensi di colpa e le inquietudini, invece, sono una trappola per il nostro mondo interiore. “Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore” diceva Bill Watterson.
E a volte è tristemente vero.
Lo so Emma che non è facile vivere liberi come frecce. Però tu hai l’età in cui si costruisce il futuro, acchiappando al volo le occasioni della vita. Della tua vita. Tua vita. Tua.
Mi dispiace tanto che i tuoi genitori non riescano ad essere l’arco della poesia di Gibran. Ma tu, freccia rimani!
Una settimana fa, per una serie di coincidenze professionali, mi sono ritrovata a fare una lunga chiacchierata con un bravo psichiatra. L’argomento era proprio il rapporto tra genitori e figli. Rapporto complesso.
Fin dalla nascita, la prima grande paura che viviamo è l’angoscia della separazione. È un istinto naturale: ci attacchiamo subito ad un essere umano che ci possa salvare la vita, dandoci cibo, vestiti ed abbracci.
Crescendo, dovremmo tutti vivere in avanti, attraverso un salutare processo di indipendenza.
Ma poi non è mai facile lasciare il nido (non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente) perché seguire la nostra strada, diventare sé stessi, scegliere in modo incondizionato… richiede una bella dose di maturità affettiva. Non si tratta, infatti, di tagliare i ponti con la famiglia d’origine o di non volerle più bene. È evidente. Qui stiamo parlando di “andare ad abitare nella casa del nostro avvenire”!
Eppure è nella famiglia d’origine che impariamo il gusto di essere lanciati lontano. Accade allora che ci buttiamo con entusiasmo in nuovi paesaggi, apprendendo da tutto e senza il timore di sbagliare, perché l’abbraccio dei genitori è lì, sia quando paghiamo il prezzo delle lacrime che quando gioiamo per le nuove esplorazioni.
Ma tutto questo presuppone due genitori che siano arcieri abili a lanciare i figli verso il loro futuro.
Se i genitori per primi non hanno fatto questo salto nel buio e hanno scoperto chi sono veramente, a loro volta i figli avranno più difficoltà a farlo.
Della chiacchierata fatta con lo psichiatra, voglio condividere con te una considerazione che lui faceva da professionista: i genitori che hanno fatto sempre e solo i genitori non sono abili arcieri. Sono adulti che si sono scordati di essere uomini e donne, con propri interessi e hobby, passioni ed amicizie…
Pian piano si sono dimenticati di loro ed hanno gettato sui loro figli, speranze, sogni e frustrazioni in abbondanza. Hanno tagliato il tempo da dedicare a loro per darlo tutto ai figli, richiedendo in cambio gratitudine ed obbedienza totale. In questo cortocircuito affettivo, il senso
di colpa appesantisce facilmente il passo dei figli. A volte fare i figli “dipendenti” è addirittura più comodo e facile. L’indipendenza infatti, ha un prezzo da pagare che è il senso di responsabilità.
Tu, Emma, tieni a mente che non sei tu che rendi felici gli altri, sono gli altri che si rendono felici.
Io sono certa che se prendi in considerazione le persone che consideri indipendenti, i tuoi sentimenti sono di stima e di ammirazione.
Vola Emma!
Sei una freccia anche per Dio.
“Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,24).
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