E liberaci dall’insicurezza. Amen.

“Buonasera prof! Ci tenevo tanto a dirle che, dall’ultima lezione (quando ci ha fatti alzare in piedi uno ad uno, chiedendoci “Dimmi: quando ti senti veramente libero?”) io non ho fatto altro che pensare a questa domanda. Oggi, ripensando a quel giorno, credo di non aver dato la risposta “giusta”. Sa, molto spesso mi piacerebbe dire tante cose, ma poi, quando arriva il momento… mi blocco. Dimentico tutto, arrossisco e vado quasi in panico.

Avrei voluto dire che, forse, non mi sono mai sentita libera davvero. Non mi sento mai libera di essere me stessa (certe volte nemmeno con gli amici) perché ho paura. Ho paura di dire cose sbagliate, ho paura di essere giudicata, ho paura di dire quello che penso, perché ho proprio tanta insicurezza. E non so come cacciarla via. Sto cercando di lavorarci, sto cercando di cambiare il mio aspetto esteriore perché non mi piaccio e penso che, magari, sia quello il problema. Ce la sto mettendo tutta, ma mi sembra di essere sempre al punto di partenza.

Mi faccio sempre un sacco di complessi per qualunque cosa; qualunque!! Probabilmente mi sento libera solo quando sono a casa, con il pigiama, struccata, e con la mia famiglia, perché solo loro mi fanno sentire a mio agio. Mia madre non fa altro che riempirmi di complimenti (ovviamente mi fa anche notare quando sbaglio, ma senza cattiveria). Lei mi fa capire tante cose, è giusta e davvero comprensiva (non potrei desiderare di meglio). Cerca di non farmi mai sentire giù. Ma nonostante questo, quando esco fuori casa, i miei complessi chiudono la vera “me” dentro una piccola cella e buttano via le chiavi.

Quando ha detto che le persone non libere non sono in carcere, ma anche fuori, quasi non capivo. Poi ci ho pensato e mi sono detta che, forse, sono proprio io quella “in trappola”.

Mi scusi ancora, probabilmente l’avrò annoiata un po’, ma sa, lei mi piace tanto, è sempre così gentile con noi alunni e volevo condividere con lei quello che pensavo.

Ah… e volevo dirle che non vedo l’ora di andare a visitare il carcere!! Da quando ce l’aveva accennato l’anno scorso, non faccio altro che pensarci. La ringrazio per avermi dedicato un po’ del suo tempo. ????

 

Cara Giorgia, l’insicurezza è un brutto macigno che ci rallenta il cammino, pesando ingiustamente sulle nostre spalle. L’unica cosa positiva di questa sfiducia, è che ci mette addosso tanta voglia di liberarcene.

Ma perché è così difficile essere se stessi e volerci bene?

E come mai obbediamo così facilmente alle nostre paure?

Credo che il problema principale sia l’universale e maldestro tentativo di continuare a metterci addosso quelle bibliche foglie di fico (cfr. Genesi 3, 7).

Ogni creatura che mette piede sulla terra, ha paura di farsi vedere nuda. Di quella nudità si vergogna ed allora si agita, si veste di apparenza e fa finta di non essere fragile, limitata, piccola.

Naturalmente ognuno si sceglie la sua personale foglia di fico.

A volte può essere la posizione sociale, altre volte i soldi, oppure il titolo di studio, o le battute pronte, l’audacia, la grinta, il nascondimento, la simpatia esplosiva, la frase splendida, il silenzio assoluto, la camminata sicura, la vita sotto i riflettori…tutto si fa pur di apparire vincenti.

E siccome viviamo in una società di

narcisisti, le foglie di fico odierne sono anche virtuali.

Ogni post che condividiamo su Facebook ed ogni selfie che carichiamo su Instagram, possono diventare (con i relativi “mi piace”, cuoricini e retweet) altrettante foglie di fico da indossare a volontà.

In definitiva tutto si fa pur di nascondere la nostra “nudità”.

Siamo tutti un po’ prigionieri (consapevoli o meno) di una preoccupazione: ciò che gli altri pensano di noi (del nostro aspetto fisico, di ciò che possediamo, della nostra intelligenza…) e apparire è la parola d’ordine.

Quand’è che stiamo bene, quindi?

Quando possiamo stare “a casa, in pigiama, struccati e tranquilli”, perché liberi di essere noi stessi e certi di essere amati comunque.

La nostra serenità infatti, non nasce nella scelta della foglia di fico, ma nel gettarla via per vivere nudi e contenti.

Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna (Genesi 2, 25).

Questo è il paradiso: amare noi stessi ed essere amati dagli altri, per come siamo. Diceva Victor Hugo che la più grande felicità nella vita è la convinzione di essere amati per quello che siamo, o meglio, nonostante quello che siamo”.

Il paradiso terrestre è poter essere noi stessi senza vergogna. Per tutta la vita noi cerchiamo questo luogo” paradisiaco (in un’amicizia, nel compagno/a di vita, nel posto di lavoro, in vacanza, in famiglia, a casa…) per essere nudi e senza paura. Siamo sempre in viaggio, alla ricerca dei “luoghi” dove l’amore circondi ogni latitudine del nostro mondo interiore.

E il Paradiso in Cielo? Sarà l’Amore incondizionato che ci avvolgerà tutti, facendoci vivere nudi e felici.

Ma intanto, in questi giorni che ci sono stati regalati sulla terra, ricoltiviamo il più possibile il paradiso terrestre.

Abbelliamo il più possibile questa vita che ci circonda, non obbedendo più alle nostre paure.

Guardiamole in faccia le nostre insicurezze e domandiamoci: “Ma siamo proprio sicuri che l’insicurezza sia il male assoluto?” Essere insicuri non significa per forza essere privi di autostima. Solo chi è disposto a mettersi in dubbio (ogni tanto) può camminare a braccetto con l’umiltà.

Poi scriviamo su dei bigliettini le cose che ogni giorno facciamo bene.

Ti sembra inutile?

Non tanto.

Giorgio Nardone diceva che “Per le persone che non si stimano, il successo vale zero, l’insuccesso vale doppio”.

Andiamoli a leggere ogni tanto quei foglietti, indicatori delle cose belle che ci accarezzano l’anima quotidianamente.

Un complimento che riceviamo, un sorriso che ci è arrivato, un’interrogazione andata bene, un fiore coltivato e spuntato, una foto con la quale abbiamo lasciato il segno, un consiglio giusto che ha raddrizzato la via a qualcun altro…

Ogni giorno possiamo raddrizzare la nostra immagine “storta”, appuntandoci le carezze che riceviamo e doniamo.

Per esempio, lo scorso anno, tu hai accarezzato l’anima di almeno 300 ragazzi, dandomi il consiglio giusto. Ricordi il film che mi consigliasti sul bullismo?

Nell’altra scuola ci hanno fatto un’assemblea generale e tutti erano in commosso silenzio. Poi mi hanno ringraziato in tanti per quel film che io avevo suggerito.

Ma io non avevo fatto nient’altro se non seguire il tuo consiglio.

E l’avevo seguito perché mi hai ispirato, fin dall’inizio, fiducia e stima.

Anzi, a dir la verità: tanta stima e tanta fiducia!

Buttiamo all’aria quella vocina malefica che fa dire a noi stessi: “Non ce la posso fare… sono proprio stupido… non ne sono capace… chissà cosa penseranno di me…”.

E poi, ti dirò un segreto: la maggior parte delle persone sono troppo occupate a nascondere le proprie insicurezze, per potersi accorgere anche delle nostre.

Tanto vale che ci tranquillizziamo tutti quanti e viviamo più sereni. 

I più “grandi” della storia, sono stati pieni di paure, ansie, depressioni e persino fobie.

Ma sono diventati “grandi” nonostante le loro fragilità.

Potrei anche dire grazie” alle loro fragilità ed insicurezze.

Non è che sia bello essere insicuri; è che tale condizione ti obbliga a guardarti dentro e scoprire in te una parte ancora sconosciuta

Voglio scriverti le parole che Yves Saint Laurent pronunciò nella sua ultima conferenza stampa prima di ritirarsi definitivamente dal mondo della moda.

Entrò nella sala in giacca e cravatta nera, teso. Un discorso di dieci minuti. Sembrava timido come un ragazzino alle prime armi.

«Signore e signori, vi ho convocati oggi con molta emozione per annunciarvi una notizia importante che riguarda la mia vita privata e il mio lavoro.  Ho avuto la fortuna di diventare assistente di Christian Dior a 18 anni, di succedergli a 21 anni e di conoscere il successo con la mia prima collezione nel 1958 (44 anni fa tra pochi giorni). Da allora ho vissuto per il mio mestiere e grazie al mio mestiere. E sono molto fiero che le donne di tutto il mondo portino tailleur pantalone, smoking, caban e trench. Mi dico che ho creato il guardaroba della donna contemporanea, che ho partecipato alla trasformazione della mia epoca. Mi si perdonerà di farne un vanto perché ho creduto da sempre che la moda non servisse solo a rendere più belle le donne, ma anche a rassicurarle, a dar loro fiducia, a permettere loro di essere consapevoli. Ogni uomo per vivere ha bisogno di fantasmi estetici. Io li ho inseguiti, cercati, braccati. Ho sperimentato molte forme di angoscia, molte forme di inferno. Ho conosciuto la paura e la terribile solitudine, la falsa amicizia dei tranquillanti e degli stupefacenti, la prigione della depressione e quella delle case di cura. Da tutto questo un giorno sono uscito, stordito ma nuovamente in me. Marcel Proust mi aveva insegnato che la lamentosa e magnifica e famiglia dei nevrotici è il sale della terra. Non ho scelto questa fatale discendenza , ma è grazie a lei che mi sono innalzato nel cielo della creazione, che ho frequentato i “ladri di fuoco” di cui parla Rimbaud, che ho trovato me stesso, che ho compreso che l’incontro più importante della vita è quello con se stessi. Nonostante questo oggi ho deciso di dire addio a questo mestiere che ho tanto amato».

La platea lo ascoltò in silenzioso rispetto. Le sue collaboratrici avevano le lacrime agli occhi. Con la voce rotta dall’emozione, Yves Saint Laurent finì con «Voglio ringraziarvi per avermi sostenuto, compreso, amato. Non vi dimenticherò». 

Cara Giorgia, non aver paura delle tue insicurezze.

Le abbiamo tutti.

Pian piano le supererai.

Un domani le racconterai.

Ed un giorno ne parlerai persino con serenità e saggezza, per passare ad altri il tuo testimone.

 

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