Come si salvarono centinaia di ebrei grazie ad un colonnello tedesco, un vescovo, dei frati, un ciclista, delle monache di clausura e una città intera: Assisi.

Sono le 19.30 dell’8 settembre 1943 quando il maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo italiano, entra nella sede dell’EIAR, la radio di stato italiana.

Al posto dell’uniforme indossa un abito grigio e un cappello floscio.

In pochi minuti registra un messaggio breve e volutamente ambiguo riguardo l’atteggiamento da tenere verso gli ex alleati tedeschi.

“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.

Da quel momento tutto precipita.

Durante la notte re, governo e comando supremo fuggono da Roma lasciando alle forze armate, come unica direttiva, quelle oscure parole lette alla radio.

Chi sono ora i nemici? Gli americani o i tedeschi?

Chi bisogna combattere?

E, soprattutto, come bisogna procedere?

Soltanto alle 0:50, in seguito a valanghe di richieste di istruzioni, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Roatta fa trasmettere il seguente fonogramma Ad atti di forza reagire con atti di forza”.

Una confusione totale!

La popolazione è nel panico.

Roma è abbandonata e nessuno ne ha organizzato la difesa.

Una parte dei militari ed alcuni coraggiosi cittadini si mettono subito insieme per difendere Roma dall’avanzata nazista, ritrovandosi lungo le mura di Porta S. Paolo, innalzando barricate e facendosi scudo con vetture e tram rovesciati. Ma nel primo pomeriggio del 10 settembre 1043 questa resistenza spontanea è travolta dai mezzi corazzati tedeschi e il capo di Stato Maggiore della Divisione “Centauro” Leandro Giaccone firma la resa a Frascati, presso il quartier generale tedesco, accettando la richiesta tedesca di cessare il fuoco e di trasformare Roma in città aperta.

Poco dopo i tedeschi rinnegheranno l’accordo e prenderanno il controllo della città

In quei terribili momenti, alcune famiglie ebree decidono di partire alla volta di Assisi.

 

In quella città sperano di trovare qualcuno disposto a difenderli dalla morte.

 

Assisi…San Francesco…

Non immaginano che lì davvero cammineranno sulla “Via della salvezza”.

Vi sto per raccontare una storia che, se volete, potrete conoscere da vicino.

Molto vicino.

Semplicemente andando al Palazzo del Vescovado di Assisi.

Ma andiamo per ordine.

 

E’ all’incirca mezzanotte quando il giovane frate padre Rufino Niccacci, viene svegliato.

Lui è il padre guardiano di san Damiano.

E’ un giovane trentaduenne e non sa che i fatti di Roma accaduti poche ore prima, stanno per scaraventarsi sulla sua vita e su tutta Assisi.

Padre Guardiano! Padre Guardiano!!!”

Chi sta urlando e bussando alla porta della sua camera è padre Aureliano Van Dyke, un olandese alto e barbuto che, ogni notte, si alza verso mezzanotte per pregare per la sua patria occupata dai nazisti.

Padre Guardiano, deve andare subito dal Vescovo! E’ urgente!”

Padre Rufino balza dal letto, s‘infila di corsa la tonaca sulla maglietta con cui stava dormendo e corre.

Corre nel buio.

Corre verso il Palazzo Vescovile.

Corre su per le scale.

Ed eccolo lì, mons. Placido Nicolini, il vescovo di Assisi. Un uomo calmo, amabile, sorridente. Ha 65 anni e per trentasette è stato un monaco benedettino. Gli è rimasto addosso uno stile di vita ascetico ed essenziale. Non ha mai voluto né un segretario, né una domestica. La sorella Maria Cagol, vedova, insieme a sua figlia Irma, lo aiutano un po’ in casa.

Mons. Nicolini sorride a Fra Rufino e gli dice con calma: Ciò che le sto per dire, padre, deve restare un segreto tra noi”.

Naturalmente eccellenza!”

Vorrei che lei si prendesse cura di alcuni rifugiati che sono arrivati qui in Vescovado

Rifugiati? Ma per questo c’è don Aldo Brunacci, no?!”

Don Aldo è il canonico della cattedrale di San Rufino ed è a capo del comitato cittadino che aiuta i profughi fuggiti dai villaggi e dalle città devastate dai bombardamenti. In tanti si stanno rifugiando ad Assisi: d’altra parte è o non è la città del santo patrono dell’Italia?

Non sono rifugiati normalirisponde il vescovo.Sono ebrei fuggiti da Roma, oggi. C’è un rabbino tra loro. Vorrei che lei li portasse dal cardinale Elia della Costa, Arcivescovo di Firenze”.

Poi Mons. Nicolini porge un foglio con su scritto un elenco. E’ una dichiarazione firmata da lui dove vi si dice che la gente che p.Rufino sta accompagnando a Firenze sono pellegrini cattolici che tornano da una visita fatta ad Assisi.

Il vescovo spiega ancora: Della Costa li manderà a Genova dove il cardinale Pietro Boetto potrà farli salpare su una nave neutrale, come ha già fatto in passato con altri ebrei e rifugiati politici

Quando devo partire eccellenza?”

Prima dell’alba. Andrete a S. Maria degli Angeli con il buio e verso le sei del mattino raggiungerete in fretta la stazione, lontana solo qualche centinaio di metri”.

Mons. Nicolini sorride e gli porge un bicchierino di vino.

E’ buonissimo.

Perché ha scelto proprio me?”

Caro fra Rufino, io sono certo che se lei dovesse essere arrestato e interrogato dall’OVRA o dalla Gestapo, non perderà la testa. Lei è il mio uomo di fiducia.

E poi ecco che entra quel prezioso gruppo di creature umane.

Preoccupato. Impaurito. Grato. Speranzoso.

Un signore con la barba stringe al petto una valigia e, con fare delicato, la apre e chiede: Potrei affidarlo a lei?. Nella valigia c’è il sacro rotolo della Torah ebraica, che contiene i primi cinque libri della Bibbia dell’Antico Testamento, portato in salvo dalla sinagoga di Roma.

E’ santo anche per noi; fa parte delle nostre Scritture. Glielo riconsegnerò al suo ritorno risponde sorridendo il vescovo.

Se non dovessi tornare, faccia in modo che questo rotolo sia consegnato ad una comunità ebraica. E’ stato scritto a mano. Per lunghi cinque anni

Padre Rufino osserva la scena. Non è un santo. Non è coraggioso. Però sa bene cosa avrebbe fatto san Francesco al suo posto.

E’ così che, nella notte del 10 settembre 1943, inizia per lui un’avventura straordinaria e sconosciuta ai più.

La segreta compagnia s’incammina.

A S. Maria degli Angeli si aggiungerà un altro frate (che, in realtà, è un ragazzo ebreo che si è fatto allungare la barba e, con la buona complicità degli altri frati, ha preso l’identità di un confratello anziano morto pochi giorni prima: fra Felice).

Pian piano fra Rufino, in quest’avventura durata un paio d’anni, scoprirà una rete clandestina di aiuti coraggiosi basati sulla fede in Dio e sulla fiducia nel genere umano.

Quel giorno questa compagnia si salverà per una provvidenziale coincidenza di pochissimi secondi.

Poco dopo aver superato la stazione di Perugia, il treno viene fermato.

C’è un distaccamento della Gestapo ad attenderli.

I freni del treno sembrano urla sinistre.

Le porte si spalancano ed entrano giovani soldati tedeschi che iniziano ad abbaiare contro il gruppo: Le vostre carte d’identità!”

Padre Rufino, cercando di non far sentire il battito del suo cuore, porge con apparente calma l’elenco che gli aveva dato il vescovo. Ma il soldato urla ancora più arrabbiato: Le vostre carte d’identità!”. Poi si volta verso il rabbino e con volto adirato gli intima: Erkennungskarte!!!”.

Il controllore traduce: Vuole le vostre carte d’identità”.

L’anziano rabbino fa finta di cercare tra le proprie tasche, per quell’istinto antico che ci porta a rimandare in tutti i modi il finale tragico che ci alita sul collo.

Ma proprio in quel momento di massima tensione, dove la vita sta per essere vinta dalla morte, si ode il fischio lacerante di una sirena d’allarme. Il soldato resta raggelato. Poi si fionda al finestrino. Sul cielo risuona il sinistro rombo di bombardieri in picchiata!

E poi un’enorme esplosione sconquassa la zona.

Raus! Raus!” grida il soldato al suo compagno civile che gli faceva da traduttore.

I due scappano come lepri terrorizzate mentre un ufficiale della Gestapo fa cenni agitati al conduttore del treno perché riparta subito.

Il cigolio delle ruote è un bellissimo suono.

Padre Rufino si affaccia dal finestrino e vede una coppia di ali argentate con la bandiera dell’Unione e l’emblema della RAF. Erano arrivati per bombardare il vicino campo d’aviazione di sant’Egidio, usato dalla Gestapo.

Padre Rufino si lascia andare sul sedile del treno, tira un sospiro di sollievo e, sollevando gli occhi al cielo, ringrazia Dio…e gli inglesi.

 

 

Questo sarà il primo di una lunga serie di coincidenze provvidenziali scritte con le mani di uomini coraggiosi e con l’inchiostro di Dio che metteva la firma finale.

 

Padre Rufino da quel primo episodio, imparerà una cosa importante: bisognava procurare dei documenti falsi per gli ebrei.

Stava iniziando l’operazione Assisi clandestina.

Una rete nascosta formata da persone diversissime ma accomunate da una coscienza funzionante e dalla volontà di non diventare complici del male.

Mons. Placido Nicolini, vescovo stimato da tutti per la sua intelligenza, bontà e pacatezza, guida tutta la rete.

All’inizio le famiglie ebree che arrivano ad Assisi vengono ospitate nei sotterranei del Palazzo del Vescovado.

E’ lì che potete visitare il Museo della Memoria.

E’ lì che potete vedere con i vostri occhi una scritta di ringraziamento, in lingua ebraica, scolpita sul muro dai fuggitivi.

Ed è sempre lì, su quelle mura, che il vescovo stesso murava in vani segreti” i preziosi ricordi di famiglia che gli ebrei non potevano portare con loro. Dopo vent’anni dalla fine della guerra, ancora giungevano ad Assisi i figli o i nipoti di coloro che erano stati salvati dal vescovo, per riprendere quei cari “ricordi”.

Se quelle mura potessero parlare!

Racconterebbero tanta paura e tanta gratitudine.

Lì, in quel sotterraneo, iniziava il cammino di risurrezione per tante famiglie.

Innanzitutto queste venivano smistate e nascoste presso luoghi dove l’amore per la vita vinceva sulla paura della morte.

Erano essenzialmente famiglie di Assisi e/o conventi di monache e/o i frati minori conventuali

All’uscita dal Vescovado, infatti, c’è la strada della salvezza: una via dove le spaventatissime famiglie potevano trovare riparo presso i monasteri di clausura lì dislocati.

Le clarisse del Monastero di San Quirico; le clarisse cappuccine tedesche del Monastero di Santa Croce; le clarisse del Monastero di Santa Colette.

Il secondo passo verso la salvezza consisteva nel fare documenti nuovi per gli ebrei nascosti.

Qui entrava in campo Luigi Brizi, il tipografo della città. Di notte, sconfiggendo il timore di essere scoperto, si chiudeva nella sua piccola tipografia (situata avanti la piazza della Basilica di S. Chiara) e, con il figlio Trento, stampava le false carte d’identità che poi, nel convento di San Quirico, venivano completate con fotografie e bolli.

La stampante usata nella clandestinità della notte, si può ancora vedere nel Museo della Memoria. Anzi: è la prima cosa che si vede appena si entra.

Con i nuovi documenti i rifugiati ebrei potevano ottenere le carte annonarie e vivere indisturbati sotto falso nome.

Alcuni bambini e ragazzi ebrei frequentarono la scuola, mentre altri venivano preparati privatamente e si presentarono poi all’esame di stato.

Era un lavoro dove niente era improvvisato. La più piccola distrazione poteva avere esiti disastrosi. Occorreva familiarizzare con la geografia del luogo di provenienza scritto nel documento, studiarne le usanze, memorizzare i nomi delle personalità locali, parlare il dialetto del posto…

Un vero problema, per esempio, si presentò quando una donna viennese di origine ebraica, ospitata nel Monastero di San Quirico, morì per crisi cardiaca e fu necessario seppellirla senza destare sospetti sulla sua vera identità. All’imbrunire la bara fu portata al cimitero di Assisi, dove don Aldo Brunacci aveva acquistato un loculo a proprio nome. Don Aldo stesso accompagnò il feretro nel tragitto. Il giorno seguente la defunta fu sepolta sotto il falso nome di “Bianca Bianchi”.

Finitala guerra il figlio della signora Weiss venne a visitare la tomba della madre e vi fece apporre una nuova lapide con le vere generalità. Questa lapide, tuttora visibile nel cimitero di Assisi, reca, al di sotto della stella di Davide, la seguente iscrizione: Kerfa Feld Clara ved. Weiss / nata a Vienna il 15.09.1887 / qui in Assisi / dove trovò amorosa ospitalità / durante la persecuzione nazista /serenamente spirava / il 9 novembre 1943”.

Questa rete di gente coraggiosa aveva, tra i suoi aiutanti, anche il famoso ciclista Gino Bartali.

Era lui che portava i documenti da un luogo all’altro, da una città all’altra, nascondendoli nel telaio della sua bicicletta.

Ogni mattina si alzava, assisteva alla messa celebrata nella sua cappellina privata e partiva.

 

Ufficialmente, per tutti coloro che lo incontravano (fascisti e nazisti compresi) si stava allenando. Nella realtà era l’ambasciatore ufficiale di mons. Nicolini.

 

Nel Museo della Memoria ci sono gli oggetti di “preghiera” di Bartali (pochi sanno che questo campioni era terziario carmelitano della Fraternità di san Paolino di Firenze) ed una sua frase stampata a caratteri grandi: “Il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima e non alla giacca”.

Nessuno, nemmeno i familiari, erano al corrente di quel che stava facendo.

Anni dopo il figlio Andrea dirà del padre: Non l’ho mai sentito parlar male di nessuno, per i più deboli aveva sempre una parola di giustificazione. Non voleva si dicesse niente di quel che faceva per aiutare tanta gente”

A noi ci restano per ricordo alcune sue frasi dette ai più intimi ma che ora, dopo la sua morte, possiamo conoscere:

“Il bene fatto non bisogna dirlo, se viene detto non ha più valore”. “Di fronte a Dio non valgono i soldi guadagnati, che non si portano nella vita eterna, né le medaglie che mi hanno attaccato sulle maglie sportive. Presso Nostro Signore valgono solo le medaglie che si attaccano sull’anima, quelle conquistate facendo opere buone, che ho sempre cercato di fare.”

Oltre a questa variegata e segreta comitiva, c’era anche il sindaco di Assisi a lasciare tracce indelebili di bene: Arnaldo Fortini.

Avvocato, storico, letterato, uomo di vastissima cultura, consigliere della Società Internazionale di Studi Francescani di Assisi, fu a capo dell’amministrazione comunale per tutto il ventennio fascista.

Eletto sindaco di Assisi il 14 marzo 1923, soltanto al momento della sua nomina si iscrisse al Partito Nazionale Fascista, condizione allora necessaria per poter ricoprire una carica pubblica. Fu lui, insieme a padre Beda Hess ed a Mons. Nicolini, a far sì che Assisi fosse risparmiata dagli orrori della guerra.

Scrisse al Governo della Repubblica Sociale un appello così autorevole (anche per il suo ruolo di Podestà della città e di presidente della Società Internazionale di Studi Francescani) che fu ascoltato davvero.

La lettera (mandata in copia anche alla Segreteria di Stato Vaticana) chiedeva di salvare la città ed i suoi monumenti da inutili distruzioni.

Era un uomo coraggioso e proprio per questo divenne il punto di riferimento dei suoi cittadini.

Quando, ad esempio, dopo l’occupazione di Assisi da parte dei tedeschi, gli fu chiesto di consegnare un certo numero di cittadini come ostaggi, lui rifiutò, assumendosi personalmente la responsabilità per qualunque atto di sabotaggio commesso contro le forze militari germaniche.

Aiutò e protesse tantissimi rifugiati politici.

Il 17 luglio 1944, un mese dopo la liberazione di Assisi, Fortini fu arrestato dal Comado Alleato ed inviato al campo di concentramento di Padula. In quell’occasione il vescovo Nicolini mandò una lettera (firmata anche da tanti cittadini) al Governatore alleato per dire il rammarico della città per tale arresto.

Fu in quest’occasione che si venne a conoscenza della rettitudine di quest’uomo.

Anche il prof. Emilio Viterbi, cittadino italiano di religione ebraica, scrisse per garantire la correttezza di quest’uomo, raccontando il seguente “retroscena”…

“Arrivati in Assisi il giorno 9 ottobre 1943 per sfuggire alle persecuzioni razziali … alcuni giorni dopo ci recammo presso l’avvocato Arnaldo Fortini, allora podestà di Assisi, per esporgli francamente la nostra situazione ed avere consiglio… Subito avemmo da lui comprensione e appoggio, come pure consigli ce valsero in gran parte alla nostra salvezza … Egli telefonò personalmente in nostra presenza per farci considerare trasferiti a Firenze, perché i nostri nomi non risultassero più sia nell’annonaria, sia all’anagrafe. Dopo il 1 settembre 1943, giorno in cui ebbe esecuzione il decreto di sequestro dei beni ebraici e di internamento di tutti gli ebrei in campo di concentramento, personalmente si recò a Perugia per riscuotere 100.000 lire derivanti dalla vendita da me fatta di titoli nominativi … Durante lo stesso periodo di persecuzione detenne presso di sé tutti i nostri valori e numerosi titoli nominativi, che ci consegnò il giorno della liberazione.

Egli telefonò in nostra presenza ad un impiegato del Municipio pe farci ottenere il rilascio della carta di soggiorno e conseguenti carte annonarie nel nuovo cognome di Varelli da noi assunto temporaneamente per sfuggire alle persecuzioni, qualificandoci per persone sue intime conoscenti…

Posso inoltre lealmente affermare che nei vari colloqui avuti con l’avvocato Fortini egli si dimostrò con noi apertamente contrario alle direttive assunte negli ultimi tempi del Fascismo. Questo mi sono permesso di esporre per dovere di gratitudine verso di lui, per la sua opera disinteressata e perché corrisponde alla più assoluta verità”

 

Tanti, tanti, tanti, tanti…episodi potrei raccontare su questa Assisi Clandestina (sulla cui storia è stato anche fatto un film).

Fatti che potete conoscere nel Museo della Memoria.

 

 

Ma, all’appello, manca ora l’ultimo personaggio: il colonnello tedesco Valentin Müller, l’ufficiale medico tedesco che contribuì in modo decisivo ad assicurare la salvezza di Assisi.

Lui giunse in Italia dalla Francia nel 1943 e subito fu attratto da un progetto: impiantare un ospedale medico tedesco ad Assisi. Arrivò in città a dicembre e a febbraio del ’44 fu messo a dirigere i due ospedali germanici della città, in grado di contenere quasi duemila ferita.

Era stato Mons Nicolini a favorire in ogni modo l’apertura di ospedali militari in città (giungendo persino a concedere al comando tedesco il Pontifico Seminario Regionale). Sapeva bene che se Assisi fosse diventata “città ospedaliera” sarebbe stata risparmiata dai bombardamenti. E così è stato.

Ma non solo! La popolazione infatti ebbe a disposizione medicinali preziosi e cure efficaci.

Valentin Müller infatti, in qualità di medico, non si occupava solo dei militari feriti, ma anche dei civili che ne avevano necessità.

Ma non solo! Secondo la Convenzione di Ginevra in una città ospedaliera non dovevano esserci truppe militari operanti. Quindi il colonnello Muller fece sgomberare i reparti militari tedeschi che ancora si trovavano in città e quando le prime truppe naziste in ritirata cominciarono ad avvicinarsi ad Assisi, dispose delle guardie in tutte le porte della città, giorno e notte, per impedire qualsiasi ingresso di soldati tedeschi.

Uomo di grande cultura, amante dell’arte, profondamente religioso, stabilì subito rapporti amichevoli sia con il podestà Arnaldo Fortini che con il vescovo mons. Placido Nicolini. Ogni mattina partecipava alla messa nella Basilica di San Francesco e poi iniziava la sua giornata di medico.

Ufficialmente non seppe mai della rete clandestina organizzata dal suo amico vescovo.

Ma ufficiosamente…

Solo così si spiega i suoi ripetuti interventi contro la prepotenza e la crudeltà della Gestapo.

Il 16 giugno 1944 prima di lasciare Assisi, Müller lasciò nelle mani del vescovo tantissimi medicinali perché servissero per curare la popolazione civile.

Fu talmente amato dalla popolazione che i cittadini di allora usavano dire: “Assisi è protetta dalla Madonna, da san Francesco e da Müller”.

A lui è dedicata una strada della città; proprio quella che porta all’ospedale.

Nel 1950 fece ritorno ad Assisi per una breve visita e fu accolto come un eroe. Fu in quell’occasione che l’amministrazione comunale volle conferirgli la cittadinanza onoraria.

Il suo ricordo è ancora vivo nella città e nel 1982, in occasione dell’ottavo centenario della nascita di san Francesco, una delegazione di Assisi si recò a Eichstätt per portare dei rami d’ulivo sulla tomba di Müller, sulla cui lapide è raffigurata la Basilica di san Francesco. 

Quando a dicembre ho portato i miei studenti ad Assisi al Museo della Memoria, erano tutti incantati nel leggere i tanti fatti accaduti in quei due anni di “storia della salvezza”.

La sbornia della retorica fascista era giunta al termine.

Una guerra tragica e fallimentare, stava lasciando sul terreno fame e morte.

Ad Assisi un gruppo di uomini di buona volontà fece il miracolo di salvare la città ed i suoi cittadini.

San Francesco (ne sono certa) dal Cielo non è stato con le mani in mano.

E’ sceso, insieme a Santa Chiara, per far arrivare tutti alla salvezza.

Dio ha poi messo la firma finale, con il sigillo della Provvidenza divina.

P.S. Il Museo della Memoria è un regalo di Assisi per tutti noi. Se potete, visitatelo! Le foto che seguono sono dei miei ragazzi in visita ad Assisi ed al Museo.

 

 

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