“Prof, ha presente la lezione di questa mattina? Quando le ho detto che, per lo spettacolo che stiamo preparando, sul palcoscenico io non saprei fare nulla? E lei mi ha risposto, sorridendo e per sdrammatizzare, se mi sentissi come quella ragazza che le ha scritto di vedersi come un’ostrica vuota, senza perla…
Beh, quando ha letto le parole di quella ragazza, mi sembrava di rispecchiarmici! Mentre lei leggeva la sua lettera, io avevo l’impressione che gliele stessi dettando io quelle parole!
Tutto è così strano in questo momento: ho una ragazza, un’amica che credo mi voglia veramente un sacco di bene, ma dentro mi sento vuoto.
Ho sempre paura che quello che faccio non sia mai abbastanza; e se prima cercavo di tirarmi su, ora mi sto pian pian deprimendo e chiudendomi in me stesso.
Tutti i miei amici, invece di aiutarmi, se ne sono andati; mi hanno sostituito con qualcun altro migliore di me… ed io, in questo momento, sono molto stanco, quasi annoiato della vita.
Come quella ragazza le aveva scritto, anche io ho passato un periodo simile l’anno scorso e l’unica cosa che è riuscita a tirarmi fuori da quello stato di depressione è stata la musica; in media ascolto circa 4-5 ore di musica al giorno… ma ora non ci riesco proprio più a sollevarmi.
Quando mi ha parlato di questo Progetto Scolastico ero entusiasmato all’idea di poterne far parte e poter dare un contributo, anche piccolo, a questo grande lavoro.
Non so nemmeno perché le ho scritto: non sono un ragazzo aperto, ma ne ho proprio sentito il bisogno.
Sono anche indeciso se mandarglielo o cancellare tutto…
Mi scuso per i molti errori fatti (so già che ce ne saranno sicuramente) ma è uno sfogo scritto di getto e che credo abbia nemmeno un gran senso logico dopotutto.
Grazie mille prof, la stimo tantissimo.”
Carissimo Stefano, nella tua lettera ti scusi per gli errori fatti; ma non ce n’erano!
A volte non vediamo più noi stessi come realmente siamo e ciò che di bello facciamo. Piano piano i colori se ne vanno, la luce si spegne e la nostra mente percepisce solo la nostra ombra.
L’ombra di noi stessi, scura e buia, tenta caparbiamente di convincerci che noi siamo proprio così: figli del negativo.
Il positivo lo vediamo negli altri: tutti sono belli, sorridenti e profumati!
Noi, invece, ci sentiamo come i brutti anatroccoli: figli di serie B destinati all’infelicità.
Ci domandiamo come faccia tutto il mondo a divertirsi sulla giostra della vita al ritmo incalzante del successo. Come mai tutti riescono a sorridere, vincendo le sfide che man mano si presentano, riuscendo persino a migliorarsi?
Ovviamente non è così e dentro di noi, in un puntino lontano e profondissimo del nostro “io”, magari lo sappiamo pure. Ma non è semplice uscire dal corto circuito in cui ci ha ingabbiati la nostra mente e il nostro cuore.
Non è facile combattere la nostra ombra che ci vuol convincere che noi siamo fatti così: insicuri, con il timore del giudizio degli altri e con quel senso di impotenza che non riusciamo a scrollarci di dosso.
“Verso l’infinito e oltreee!” gridava Buzz Lightyear nel famosissimo “Toy Story”!
“Verso l’autostima e oltree!” vorremmo urlare anche noi, conquistando la fiducia in noi stessi e nella vita.
Oramai di “autostima” si parla dappertutto e tutti sono consapevoli di quanto sia importante volersi bene ed aver fiducia in se stessi.
Ma l’autostima non è il frutto di una vincita al lotto (o sei fortunato o sei sfigato) e non è neppure il frutto di un patrimonio genetico di serie A (o ce l’hai o non ce l’hai): la fiducia in se stessi è la conseguenza di una serie di piccole vittorie sulle avversità quotidiane.
In altre parole: si conquista.
Come? Semplice. Toccando con mano le nostre capacità e mettendoci alla prova senza arrenderci in partenza.
Sembra facile, vero, detto così. Ma non lo è.
Però il fatto che non sia facile, non significa affatto che sia impossibile!
E siccome in internet di siti che parlano di autostima e di come conquistarla, ne troverai a bizzeffe, io invece ti voglio raccontare una storia.
Mentre leggevo la tua lettera, infatti, mi è sembrato di essere tornata indietro nel tempo…tanti anni fa…quando iniziai a fare un corso (interessantissimo!) di Analisi Transazionale a Roma.
Un corso di tre anni a cui mi ero iscritta perché volevo capire l’animo umano ed aiutare al meglio gli studenti.
In quei tre anni, invece, riuscii a malapena ad aiutare me stessa.
Furono tre anni utilissimi (come scoprii solo dopo) ma, lì per lì, disastrosi.
Infatti, finché dovevo affrontare la teoria (libri da studiare, lezioni a cui assistere, idee da approfondire) tutto andava bene. Io imparavo un sacco di cose (che spesso sappiamo tutti quanti noi, intuitivamente).
Ma poi il problema arrivò quando dovetti fare le cosiddette “maratone”: due giorni di full immersion in tecniche psicologiche di gruppo, il cui obiettivo era capire meglio i nostri personali meccanismi interiori.
D’altra parte lo slogan dell’ideatore dell’Analisi Transazionale, era proprio “Io sono ok; tu sei ok”; era quindi necessario arrivare a dare quel benedetto “OK” a noi stessi, per poi poter essere capaci di accettare anche ciò che era fuori di noi.
Quelle “maratone” me le ricordo come un forte disagio interiore. Scoprivo tante mie paure, insicurezze, rigidità mentali, sofferenze del passato, ferite interiori ricevute… che erano lì, ancora, a reclamare la cicatrizzazione.
Mi sembrava che tutti, nei “giochi psicologici” proposti dallo psicoterapeuta, facessero la loro parte, con naturalezza…tranne me. Mi preoccupavo del giudizio degli altri (senza rendermene conto) e la mia ombra stava prendendo il sopravvento su di me, cercando di farmi pensare : “Io sono meno degli altri e mai riuscirò a diventare spontanea e forte come loro”.
Allora, per non soffrire più di tanto, utilizzai la mia razionalità e la mia dialettica per smontare queste benedette “maratone psicologiche”. Bastava convincermi (e convincere) che certi giochetti mentali ridicoli, non avevano l’autorevolezza necessaria per essere di vero aiuto alla persona. In poche parole ciò che dicevo (pur con un linguaggio forbito) era: “Sono tutte sciocchezze!”
E più Giorgio (il bravissimo psicoterapeuta che ci affiancava in questo delicatissimo lavoro di feedback) mi portava a guardare i miei sentimenti, più io mi difendevo smontando razionalmente le “le tecniche psicologiche” che ci avevano fatto fare durante il giorno.
Furono tre anni in cui lottai tra il desiderio di lasciarmi andare guardando Maria Cristina e la paura di vedere le mie insicurezze ed i miei limiti (che abbiamo tutti!).
Poi, alla fine dei tre anni, quando oramai si avvicinava l’esame finale e potevo mettere la parola FINE, mio marito si ammalò gravemente.
Devi sapere che qualche mese prima del suo ricovero urgente, alcune persone mi avevano chiamato ad un gruppo di preghiera.
Anche lì ero indecisa se andare o meno: non mi convinceva quel loro modo di pregare così “emozionale”, così poco teologico e razionale, quei loro canti fatti abbracciandosi, quelle loro preghiere spontanee fatte a Gesù, quel loro dialogo fatto con parole semplici al Cristo dell’intero universo…tutto mi sembrava distante dal mio mondo interiore e dallo stile con cui ero cresciuta.
Ero vissuta in un ambiente dove la razionalità e la riflessione la facevano da padroni; tutto il resto era emozionalmente di serie B. Così, non rispecchiandomi in quella preghiera dove la semplicità e la spontaneità erano pesi, per me, troppo ingombranti, pensavo di dare uno STOP anche a quell’esperienza.
Ma ogni settimana mi succedeva come con il corso di Analisi Transazionale: nei giorni precedenti mi ripromettevo di non tornarci, ma il giorno dell’incontro non potevo non andare.
Quando mio marito iniziò il suo lungo e difficile cammino verso la guarigione, io mi sentivo come una donna a cui la vita stava chiedendo tanto…troppo! Quel suo “cammino di guarigione” infatti, non era tutto rose e fiori.
E’ stato allora che, trovandomi di fronte la possibilità della “resa incondizionata” alla troppa durezza della vita, come in un puzzle, tutto ciò che avevo imparato nel Corso di Analisi Transazionale e tutta la Fede che avevo respirato negli incontri del gruppo di preghiera, presero il loro giusto posto…e il puzzle diede un senso ad eventi apparentemente scollegati.
Giorno dopo giorno, capivo che tutto quel che avevo fatto nei tre anni precedenti mi aveva preparato ad affrontare quel “presente”.
Ogni cosa che avevo imparato (talvolta anche con lacrime e rabbia) riprendeva il suo posto nel puzzle della mia vita, rendendomi forte ed intuitiva. E la famosa frase “Il caso è la via che Dio usa quando vuole restare anonimo” la sentii sulla mia pelle!
La mia forza interiore stava sorgendo dalle ceneri della mia fragilità.
La psicologia (la mia grande attrazione) e la spiritualità (la mia perenne ricerca) si erano alleate per darmi una mano e trasformarmi nel “capitano della mia anima”!
Il capitano della mia anima!
Il padrone del mio destino!
Non sono frasi mie ma di una poesia che Nelson Mandela diceva a se stesso quando, in carcere, non ce la faceva più.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.Oltre questo luogo d’ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.(William Ernest Henley)
Caro Stefano, capita a tutti di vedere la propria ombra, di averne paura e di desiderare la resa.
Si fa di tutto per evitare il dolore della lotta: ci si chiude in camera tagliando i ponti con il mondo, si mette la musica a palla per scacciare spiacevoli pensieri, si fa del sarcasmo sulle cose belle per sentirsi superiori ed esenti dalla fatica di avvicinarle e si preferisce stordire l’anima con sostanze e dipendenze, piuttosto che osare affrontare con lucidità il nostro “io”.
E’ un gioco al ribasso che, però, non vale la pena proseguire.
E neanche Dio vuole che giochiamo al ribasso!
Ogni figlio della Luce ha avuto paura di affrontare un combattimento.
Geremia (uno dei più grandi profeti dell’Antico Testamento) è giovanissimo quando Dio lo chiama per un compito importate. Lui prova a trovare la scusa della sua giovane età, per esimersi da tale incarico, ma Dio non gli permette di arrendersi.
Leggi!
“Mi fu rivolta la parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”.
Risposi: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”.
Ma il Signore mi disse: “Non dire: sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che ti ordinerò. Non temerli perché io sono con te per proteggerti”.
Dio ci è vicino ogni volta che la nostra ombra ci vuole convincere che noi non saremo capaci, che non saremo all’altezza.
Nella lotta contro la nostra ombra, Lui c’è!
Lasciare che Dio scriva la storia della nostra vita è l’atto più saggio che si possa fare.
Ed io sono felicissima che, alla fine, tu abbia deciso di partecipare al Progetto che stiamo facendo quest’anno, a scuola.
Non sarà mica un caso che il titolo del Progetto è:
“BASTA!
Storie di dolore e di rinascita”
Chi desidera essere avvisato su Facebook dei nuovi post che si mettono in questo Blog, può mettere MI PIACE nella pagina IN TE MI RIFUGIO https://www.facebook.com/intemirifugio
Valiamo più di quanto possiamo immaginare…
…da Isaia 49, vv. 15-16
[15] Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
[16] Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani,
le tue mura sono sempre davanti a me”
Sei figlio del Dio vivente, in Gesù hai diritto alla regalità dei figli di Dio, riappropriati della tua dignità di figlio, guarda tuo Padre… nessuno è più grande di Lui e tu sei Suo figlio!
Da Romani 8, vv. 15-16
[15] E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”.
[16] Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio.
Coraggio, non ti abbattere, l’Eterno è il tuo babbo!