Le donne (le donne!) annunciano

“In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno»” (Mt 28,8-10)

Proviamo a tornare indietro di duemila anni.
Stiamo guardando le donne con lo sguardo che avevano allora?
Le stiamo guardando con un po’ di sufficienza?
Con un po’ di compassione per la loro “inferiorità”?
Perché questo era.
Pensate che, nella lingua ebraica, il termine “discepolo” al femminile, neanche esisteva.
E ho detto tutto.
Anzi, aggiungo che una donna che fosse vissuta da sola al di fuori dell’autorità di un uomo, o non sopravviveva o era una prostituta.
Fine delle trasmissioni.

E se una donna sposata veniva sorpresa in giro per strada, da sola o a parlare con un’altra persona? Ma stiamo scherzando? Il diritto ebraico prevedeva il ripudio concesso al marito!
Fine del matrimonio.

E se c’era un funerale, dietro al feretro si dava la precedenza alle donne, responsabili della morte. Nessun ebreo osservante, infatti, dimenticava che nel libro del Siracide c’è scritto “Dalla donna ha avuto inizio il peccato per causa sua tutti moriamo” (25,24).
Fine di ogni speranza.

E tre volte al giorno gli uomini dicevano la famosa triplice benedizione: “Ti ringrazio Signore che non mi hai creato pagano, non mi hai creato cafone (cafone significa la persona che lavora la terra quindi incapace di osservare le prescrizioni della legge) e perché non mi hai creato donna”.
Questa benedizione c’è anche al femminile, ma con una variante: “Ti ringrazio Signore perché non mi hai creato pagana, ti ringrazio Signore perché non mi hai creato cafona e che mi hai fatto secondo la tua volontà”.
Fine di ogni discussione.

Le donne, fin da piccole, non avevano vita facile.
Poi è arrivato Gesù. 
Poi è arrivato il loro Creatore e le ha guardate con il Suo sguardo.
Ed ha salvato la vita a tante.

Solo un episodio…
Avete presente il famoso “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”?
Noi ci immaginiamo l’adultera come una donna adulta e, magari, bella e provocante.
Invece era poco più di una bambina.
Come lo sappiamo?
Perché la lapidazione era la pena di morte riservata alle adultere che vivevano nell’arco di tempo tra lo sposalizio (fatto quando la bambina aveva circa12 anni) e le nozze vere e proprie. Per l’adulterio dopo le nozze, infatti, c’era lo strangolamento. Prima c’era la lapidazione.
Fine della vita.

Quella volta, però, con Gesù lì presente, la vita non è finita! 

E lo ricordate mentre parla al pozzo con la samaritana?
“In quel mentre giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a parlare con una donna”.
Il Maestro che parla, da solo, con una donna?
Dio mai ha parlato con una donna!
Però non hanno il coraggio di affrontarlo direttamente.
Furbissimi.
Prudenti.
Un po’ vigliacchi.
Non gli chiedono direttamene “Perché discorri con lei?”.
Hanno paura di sentire quello che non vogliono sentire, perché non sono mica stupidi.
Capiscono che se Gesù parla con una donna, per giunta samaritana, significa che il suo Sguardo è diverso dal loro.
Lui vede qualcosa che loro ancora non vedono.
Allora stanno zitti, perché non vogliono sentirsi dire quello che già hanno intuito.

E stamattina è così entusiasmante leggere che Gesù chiede a delle donne, testimoni senza nessuna valenza giuridica, di andare ad annunciare la sua risurrezione!
Non ne voglio fare un semplice discorso di rivalsa storica al femminile.
Sarebbe troppo poco.
Vorrei andare oltre.

Dà il via ad un rapporto tra innamorati.
Si lascia abbracciare, baciare, adorare, guardare, amare…
E lui darà loro responsabilità e compiti.
Le cerca, le saluta e dice “Mi fido di voi!”
E per renderle forti, regala loro anche una gioia senza confini.
Come se in quel momento, tutti gli orologi del mondo si fossero fermati sulla gioia in punto.
Gioia inattesa, sconfinata perché c’è sempre Dio al Principio di ogni felicità (che ne siamo consapevoli o meno).
Ed insieme mette nel loro cuore anche il timore per tutto quello che stavano vivendo.
Timore non come paura (ma chi di noi fa ancora questo equivoco?) ma come profonda consapevolezza che avevano a che fare con il Signore dell’Universo.
E dalla consapevolezza, passare al rispetto, è un attimo! 

Forse Gesù capiva benissimo le donne, semplicemente perché Dio è maschile e femminile insieme.
E qui il discorso si fa talmente incantevole che non ci sono parole adatte.
Ci facciamo aiutare dallo sguardo che ebbe su Dio una delle più grandi mistiche della storia: Giuliana di Norwich.
Nata nel 1342 e morta nel 1416, eremita, di grandissima cultura (cosa rara a quei tempi) e sapienza, perse la sua famiglia a causa di un’epidemia.
Scrisse il primo libro conosciuto scritto in inglese da una donna: “Rivelazioni dell’Amore Divino” (ora conosciuta come il “Testo Breve”).
Poi scrisse il “Testo lungo”, una riflessione teologica sul significato delle sue visioni.
Visse in un’epoca agitata e piena di tumulti ma lei non smise mai di essere ottimista. Parlava di Dio sempre con la gioia e la compassione accanto a sé.
E mentre tutti spiegavano la peste nera come un castigo di Dio, lei, libera come l’aria ed amante di Dio, scriveva che la sofferenza non è mai una punizione divina. Ed ai suoi tempi questo era veramente un pensiero rivoluzionario.
Giuliana ci racconta un Dio misericordioso e desideroso, fino alle viscere, di salvare tutti!

Scrisse : «com’è vero che Dio è nostro Padre, così è vero che Dio è nostra Madre.» 
E ancora «Sono io, la forza e la bontà della paternità; sono io, la sapienza e la dolcezza della maternità; sono io, la luce e la grazia che è ogni amore benedetto; sono io, la Trinità; sono io, l’Unità; sono io, la sovrana Bontà di ogni specie di cosa; sono io che ti spingo ad amare; sono io che ti spingo a desiderare; sono io l’infinito compimento di ogni vero desiderio.»
(Rivelazioni, cap. 59)

Poco tempo prima un altro mistico parlava di Dio come di un Amore paterno e materno.
Era nato ad Assisi.
Si chiamava Francesco.

 

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