Un fulmine e tutto cambiò: si chiamava Martin!

E’ il 17 luglio 1505.

Lutero ha ventidue anni ed entra nel convento agostiniano di Erfurt.

Due anni dopo sarà ordinato sacerdote.

 

Questa sua scelta vocazionale era nata drammaticamente pochi giorni prima: il 2 luglio 1505Lutero stava tornando a Erfurt da Mansfeld, dove aveva visitato dei parenti. Ma nei pressi di Stotternheim, a pochi chilometri da casa, venne travolto da una tempesta.

Ebbe paura.

Corse.

Cercò invano di proteggersi dal temporale.

Ma poi…booom!

Improvvisamente un fulmine gli cadde vicino.

Lui era terrorizzato!

Quella belva lucente e improvvisa lo buttò a terra per ucciderlo e lui non sapeva se sarebbe riuscito a liberarsi dalle sue grinfie per arrivare a casa sano e salvo. Sommerso dai tuoni e dalla paura, corse verso casa facendo un voto disperato a sant’Anna: “Se mi salvo mi farò monaco!!!”

Si salvò. Due settimane dopo, il 17 luglio 1505, entrò nel convento degli agostiniani di Erfurt e iniziò il suo cammino di vita religiosa

Vocazione autentica?

Chi lo sa.

Il padre era convinto di no. Lo aveva già avviato allo studio del diritto e lo vedeva già giurista. Ed ora, invece, eccolo qua: improvvisamente chiuso in un monastero. Ma a Martin lo studio del diritto non piaceva. Forse il giovane – spirito poetico, amante della musica, sensibile al fascino della natura – sentiva già un impulso per la vita spirituale e contemplativa.

Chissà?

Poi arrivò quel temporale tremendo e lui fece quel voto che gli cambiò totalmente il corso della vita.

Ma un voto fatto col terrore accanto, può essere preso seriamente da Dio?

Martin non era educato a porsi certe domande. Era stato educato ad andare avanti a suon di regole e comandamenti, per poi procedere con obbedienza e pentimenti.

Quando studiai Lutero mi concentrai molto sulla sua vita “prima” della vocazione e sulla sua educazione familiare. Il padre, pur provenendo da una famiglia di contadini, era divenuto un piccolo impresario nel settore delle miniere di rame. La madre proveniva da una famiglia cittadina. Martin ci racconta di loro come di due genitori severissimi. Imputò alla loro durezza, per esempio, la sua timidezza.

Ebbe un’educazione familiare rigidissima, tanto che lui stesso affermò che aveva abbracciato la vita religiosa per sfuggire a questo clima.  Ovviamente quel clima familiare e quella severità influì molto anche sulla sua vita spirituale: ai suoi occhi Dio era un padre severo. Punto.

Scriverà lui stesso: “Mia madre una volta mi picchiò a sangue per il furto di una noce”; “Una volta mio padre mi frustò tanto che io scappai e l’ebbi in avversione finchè non si sforzò di riguadagnare il mio affetto”; “A scuola fui bastonato 15 volte in una sola mattina senza motivo. Mi fu chiesto di declinare e coniugare e non l’avevo studiato”.

L’atmosfera familiare era rude, volgare, rozza, devota. In quel tempo nelle credenze della gente incolta, si mischiavano elementi del vecchio paganesimo germanico con la teologia cristiana . Elfi, gnomi, folletti, fate, sirene, streghe, tritoni. A scuola si facevano inni e canti sacri: Sanctus, Benedictus, Agnus dei, Confiteor, Magnificat! In ognuno delle città in cui Lutero andò a scuola, c’erano chiese e monasteri.

Dappertutto campanili, conventi, preti, monaci di diversi ordini, collezioni di reliquie, suono di campane, proclamazioni di indulgenze, guarigioni nei santuari. A Mansfield Lutero ricorda di aver visto un diavolo uscire da un indemoniato.

Povero Martin. Poteva fare un voto a sant’Anna e poi illudersi di potersi sottrarre alla severità che lo intimava di essere obbediente e mantener fede alla promessa fatta?

Lutero voleva salvarsi l’anima e per farlo entrare in convento fu, ai suoi occhi, la scelta più coerente e giusta.

Lì la sua esperienza spirituale fu durissima. Penitenze, digiuni, preghiere…tutto faceva, pur di meritarsi un po’ di amore da quel Padre che non smetteva mai di osservarlo con occhi severissimi.

Si sentiva un peccatore incallito ed a niente servivano le parole del suo confessore Straupitz che, ironizzando amabilmente sui suoi peccati quasi infantili, lo incoraggiava a sorriderne: “Non Dio è irato con voi, ma voi siete irato con lui”.

Finchè venne travolto da un’altra tempesta spirituale: il momento tremendo della sua prima messa.

Quel giorno cercò di fare tutto per bene. Ripassava tra sé e sé: corretta recitazione, a voce bassa e senza balbettamenti. Si era confessato per sentirsi più puro possibile. Accanto a lui c’era un prete più anziano che sarebbe potuto venirgli in soccorso. Il padre Hans era arrivato per assistere alla prima messa del figlio con 20 cavalieri al seguito, facendo poi un cospicuo dono al monastero. Tutto era pronto.

La messa iniziò con il canto del salmo “Cantate all’eterno un cantico nuovo”. Lutero era terrorizzato.

La vicinanza dell’ostia consacrata gli faceva venire crisi di panico.

Viveva schiacciato dal suo sentirsi sempre profondamente indegno: “Sono polvere e cenere e pieno di peccato”.

Al momento dell’offertorio, quando innalzò il pane e il vino al “Vivente, Vero ed Eterno Dio” si ritrovò atterrito: “Chi sono io, misero omuncolo, le levare le mani alla Divina Maestà? Giacchè io sono cenere, polvere, pieno di peccato, e sto parlando al Vivente, Eterno e Vero Dio”.

Solo con un tremendo sforzo di autocontrollo riuscì a non fuggire dall’altare per questo secondo fulmine che fu lo spavento di fronte all’Infinito.

Ora capiamo perché l’esperienza della torre (tra la fine del 1512 e l’inizio del 1514) per lui fu decisiva. Fu un’ondata di amore, una carezza di libertà, un abbraccio di misericordia, una rinascita a figlio!

Si trovava «nella latrina della torre» e stava leggendo e meditando la lettera ai Romani di san Paolo. Fu in quel frangente che alcune parole del grande Saulo gli squarciò il velo degli occhi e lui vide oltre la sua immagine di Dio.

Vide finalmente la misericordia di Dio!

Tutti siamo fragili, umani, deboli, peccatori.

Inutile girarci intorno.

Ma siamo «giustificati dunque per la fede, abbiamo pace con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi e ci gloriamo, nella speranza della Gloria di Dio» (da Romani 5,1-2).

Finalmente Dio, ai suoi occhi, stava diventando un Padre Misericordioso.

Poteva sentirsi amato non perché quell’Amore lo aveva conquistato a suon di perfezione, ma semplicemente perché Dio non poteva fare a meno di amarlo.

L’amore di Dio non si guadagna.

Si riceve.

Gratis.

Per tutta la vita.

Se solo Martin avesse potuti leggere gli scritti di Giuliana di Norwich, la mistica inglese morta novant’anni prima della sua nascita!

“È una caratteristica di Dio far vincere il bene sul male.

Quindi Gesù Cristo, che oppose vinse anch’Egli con il bene sul male, è la nostra vera Madre: noi riceviamo il nostro “Essere” da Lui – e qui ha inizio la Sua Maternità – e con esso la dolce Protezione e Custodia dell’Amore che non cesserà mai di attorniarci.

Com’è vero che Dio è nostro Padre, così è vero che Dio è nostra Madre”.

(Dalle “Rivelazioni dell’amore divino” di santa Giuliana di Norwich (1342-1416), (LIX, LXXXVI).

 

 

 

 

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