Sentirsi amati, a prescindere… (la vittoria dei non amati)

Cara Maria Cristina, stamattina mi sono svegliata con una decisione. Beh, forse DECISIONE è un termine un po’ troppo “deciso”. Però con un AUSPICIO, lo posso dire.

Non voglio più parlare ed affrontare il tema dei miei genitori. L’ho fatto tante volte tra me e me… Spesso anche con persone che, come te, pazientemente, mi hanno ascoltata. Ed alla fine ho dedotto che non è questo che mi aiuta.

Probabilmente mi avrebbe aiutata, se avesse spedito questa dolorosa esperienza di non-amore, nel passato. Ma non è così.

E’ ancora tutto tanto presente.

Presente.

Come all’appello a scuola.

Presente, per ricordarmi che, esattamente come nel passato, le “cose” che loro possiedono, valgono tanto.

Più di tutto.

Più di tutti.

Ma è inutile che io parli di questo. Dopo, sto sempre male.

Perché è dopo, che si fa avanti la ferita interiore che mi divora ogni serenità: il sentire che è giusto che io non sia amata.

Il sentirsi non meritevole di amore.

E il dito puntato su sé stessi è troppo micidiale.

Quel dito sussurra caparbiamente: “Se avessi avuto un carattere diverso… Se fossi stata dolce e pacata … Se …” e capisco che nel mio cuore è in atto una battaglia da quando sono nata.

Una battaglia che non riuscirò a vincere, sfogando ogni volta quel dolore che ripete dal suo banco in prima fila: Presente! Ci sono!”.

Lo sfogo non basta, non serve e mi fa stare pure male… poi.

Mi fa sentire in colpa.

Perché quando non ti senti degna di amore, ogni sfogo diventa l’ennesima prova che sei tu il problema.

E forse è vero.

O forse no.

O forse un po’ ed un po’…come un triste gioco degli equilibri dove non si vuole far torto a nessuno.

Ma questo “gioco” è molto, molto più in profondità di quanto io creda. Quel “non amore” che si è alzato in piedi ogni mattina dicendomi “presente”, mi ha ferita in profondità.

Da bambini siamo troppo deboli e vulnerabili per riuscire a superare l’indifferenza genitoriale.

Da adolescenti siamo troppo arrabbiati ed istintivi, per riuscire ad allargare lo sguardo fino al passato dei genitori e prendere manciate di scusanti a loro favore.

Da adulti siamo troppo delusi ed amareggiati per accettare serenamente l’idea che, chi doveva proteggerci ed amarci, non cambierà mai più.

Subentra così una sorta di rassegnazione/rabbia/distacco emotivo/auto-colpevolizzazione…

Non sono sentimenti, ma emozioni… e forse proprio per questo, poco gestibili.

Comprensibili, sì.

Gestibili, un po’ meno.

Ma nella vita c’è la speranza!

La speranza…

La speranza non muore mai in noi.

E’ un movimento di vita in sospeso, che si risveglia, ad esempio, quando la vita ci fa innamorare di qualcuno. Ma più si ha fame d’amore, più la speranza ci crea delle aspettative nei confronti dell’altro/a, facendoci chiedere con parole segrete al nostro conscio: Che cosa farai per me? Mi aiuterai? Mi ascolterai? Mi farai sentire bene? Realizzerai i miei sogni? Sarai il perfetto genitore per i nostri figli? Il padre che io non ho potuto avere, la madre che non ho avuto? Adesso che mi sono innamorato di te, tu hai il dovere di far scomparire le mie sofferenze. Ascoltami, guariscimi, fammi stare bene” (D.R. Kingma, 2001, pag. 41).

Quell’innamoramento, ai nostri occhi, diventa l’opportunità per guarire.

Finalmente!

Ma quando ci si innamora con dentro una voragine di vuoto affettivo, al partner si chiede dedizione totale. Per certi versi, lo si sfida. Si ha bisogno di vedere l’amore pieno che ci accetta per quello che siamo e ci guarisce. Ma non si può mettere un così alto carico su un altro essere umano. Pur innamorato, sempre creatura è.

Non pensare a queste cose, lascia perdere. Questo è il passato..

Forse se si taglia ogni contatto quotidiano con i propri genitori e si ricomincia in altri luoghi, con l’innamorato, forse può succedere…

Ma se non c’è questo allontanamento (fisico ed emotivo) ci si ritrova lacerati dentro.

Ancora di più.

Ci si sente cattivi, inadeguati, non capaci di perdonare, con un “caratteraccio”.

Ed ecco che ritorna quel dito puntato addosso, che di nuovo sussurra: Lo vedi che il problema sei tu?”.

Forse è vero che il proprio inconscio è sempre allo stato infantile.

Perché non ci vuole una grande mente per capire che una singola relazione affettiva (pur meravigliosa come quella di coppia) non potrà soddisfare pienamente e perfettamente tutte le nostre esigenze affettive frustrate.

Non è possibile.

Non è umano.

Ed allora?

Ed allora non voglio più sfogarmi per tutto questo dolore.

Voglio fare del silenzio un modo per farmi attraversare da Dio.

Collaboro per lavoro con psicologi vari.

Io stessa ho fatto cammini psicologici interiori quando ho potuto.

Mai approfonditi con la costanza di anni. E’ vero.

Ma anche fosse stato?

Forse avrei preso più consapevolezza di tanti meccanismi interiori.

Forse sarei giunta con più velocità a perdonarmi…

Forse sarei arrivata a comprendere meglio la vita passata dei miei genitori e, proprio, per questo, a perdonarli più facilmente e perfino apprezzarli.

Chissà…

Forse…

Ma sono sempre più consapevole che la ferita più dolorosa (e lo ripeto perché ci tengo tanto a questa chiarezza) non è tanto il non essere stati amati, ma il ritenersi indegni di amore.

E’ la ferita umana più grave.

E lo affermo, pensando che può essere anche una conseguenza di miliardi di situazioni di vita.

Non voglio puntare il dito sui genitori e basta.

C’è la nostra sensibilità, il nostro carattere, i gruppi di amici frequentati, gli insegnanti avuti…

Henri J. M. Nouwen (psicotearpeuta e sacerdote olandese, morto nel 1996: uno dei massimi scrittori di spiritualità del mondo contemporaneo) affermava che tutta la nostra vita è contrassegnata da una lotta contro le voci interiori che ci dicono – ora sommessamente, ora gridando – che non siamo abbastanza bravi, intelligenti o attraenti, che non siamo abbastanza spirituali e degni di amore.

«Nel corso degli anni – egli afferma – sono giunto a capire che la più grande trappola della nostra vita non è il successo, la popolarità o il potere, ma il rifiuto di sé» (in «Sentirsi amati. La vita spirituale in un mondo secolare», Brescia, Queriniana, 2000).

Ed è qui che voglio arrivare.

C’è qualcosa che ci rende immensamente fragili ed immensamente bisognosi di non vedere quella fragilità.

C’è qualcosa di “rotto” in noi.

I cristiani lo chiamano peccato originale.

A livello psicologico ci stiamo sbizzarrendo da qualche secolo a trovare nomi e cognomi per tutte queste nostre fragilità.

Ma la cosa interessante della tesi di Nouwen (che, essendo psicoterapeuta e sacerdote, guarda a tutto tondo la nostra “umanità”) è che la trappola del rifiuto di sé e della convinzione di non poter essere amati per noi stessi, non è di natura tale che gli esseri umani la possano vincere con le loro sole forze.

Ed il motivo è sotto i nostri occhi in ogni telegiornale, in ogni libro, in ogni racconto, in ogni esperienza: gli esseri umani sono fondamentalmente incapaci dell’amore gratuito.

Solo Gesù Cristo, per Nouwen (ed anche per me) lo è.

Solo da Lui ci si può sentire amati totalmente.

Solo Lui può guarire le nostre ferite interiori.

Mi rendo conto che questa deduzione lascerebbe insoddisfatto un ateo, un laico, un agnostico…o comunque chiunque sia pervaso dall’idea che da soli tutto si possa fare. Quelli che relegano Dio nei discorsi della periferia della vita e che lì deve restare. Fermo, statico, su suoi altarini festivi costruiti dalla fiducia ingenua o dalla tradizione abitudinaria.

Comunque stamattina, mentre stavo ascoltando commossa Jesus Christ, you are my life SU Tv2000 (durante un’intervista al suo autore, Marco Frisina) mi sono venute in mente tutte queste cose.

E’ così che voglio essere e mi voglio sentire: commossa per essere stata chiamata alla vita.

Chiamata ed amata.

«La cosa più importante che puoi dire dell’amore di Dio è che Dio ci ama non per qualcosa che abbiamo fatto, per guadagnare il suo amore, ma perché egli, in totale libertà, ha deciso di amarci. A prima vista questo non sembra ispirarci molto, ma se vi rifletti più in profondità, questo pensiero può toccare e influenzare grandemente la tua vita. Siamo propensi a vedere tutta la nostra esistenza nei termini di un “quid pro quo” – io gratto la tua schiena, così tu gratti la mia -, e partiamo dall’idea che le persone saranno gentili con noi se siamo gentili con loro; che ci aiuteranno se le aiutiamo; che c’inviteranno se le invitiamo; che ci ameranno se le amiamo. E questa convinzione è così profondamente radicata in noi che riteniamo che l’essere amati è qualcosa da guadagnarsi. Nel nostro tempo pragmatico e utilitaristico questa convinzione è diventata ancora più forte e ci è difficile pensare di avere qualcosa in cambio di nulla; tutto dev’essere conquistato: anche una parola gentile, un’espressione di gratitudine, un segno di affetto. Penso che questa mentalità stia alla base di un mucchio di ansia, di tanta inquietudine e agitazione. È come se fossimo sempre in movimento, cercando di provarci a vicenda che meritiamo di essere amati. Il dubbio che alberga in noi ci spinge a un attivismo ancora più frenetico. Cerchiamo così di tenere la testa fuori dell’acqua e di non affogare in una mancanza di rispetto per noi stessi sempre crescente. La fortissima inclinazione a cercare riconoscimenti, ammirazione, popolarità e fama è radicata nella paura che, senza di essi, siamo senza valore. Si potrebbe chiamarla la “commercializzazione” dell’amore. Niente per niente, neppure l’amore.

Il risultato è uno stato interiore che ci fa vivere come se il nostro valore come esseri umani dipendesse dal modo in cui gli altri reagiscono nei nostri confronti., Lasciamo che siano gli altri a decidere chi siamo. Pensiamo di essere buoni se gli altri trovano che lo siamo; pensiamo di essere intelligenti se gli altri reputano che lo siano; pensiamo di essere religiosi se lo ritengono anche gli altri… Vendiamo così la nostra anima al mondo, non siamo più padroni in casa nostra. I nostri amici e nemici decidono chi siamo; siamo diventati il trastullo delle loro buone o cattive opinioni…
La cosa tragica, però, è che noi esseri umani non siamo capaci di dissipare gli uni per gli altri la solitudine e la mancanza di rispetto di sé. Non abbiamo la capacità di alleviare la situazione più radicale gli uni degli altri. La nostra capacità di soddisfare il desiderio più profondo dell’altro è così limitata che rischiamo sempre di nuovo di deluderci a vicenda…

Ogni cosa che Gesù ha fatto, detto e subìto è intesa a dimostrarci che l’amore al quale più aneliamo ci è dato da Dio, non perché lo meritiamo, ma perché Dio è un Dio di amore… Se avessimo una salda fede nell’amore incondizionato di Dio per noi non sarebbe più necessario essere sempre alla ricerca del modo di essere più ammirati dalla gente e ancora meno avremmo bisogno avremmo bisogno di ottenere dalla gente la forza che Dio desidera darci in abbondanza [da “Lettera a un giovane].»

Ci è stato dato un corpo e siamo stati immersi nella dimensione dello spazio e del tempo, perchè Dio ci ha voluti.

Perchè siamo belli!

A prescindere…

 

 

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3 commenti su “Sentirsi amati, a prescindere… (la vittoria dei non amati)”

  1. Mi sono rivista in questa ragazza. Capisco cosa ha provato e cosa prova.
    Anche io mi sono sentita non amata dai miei genitori; ancora oggi, provo rabbia per mia madre.
    Ma so per certo che con Dio al mio fianco riuscirò a perdonarla, perché ( come ha detto una vola don Luigi Verdi ) i genitori ci amano nella maniera che conoscono.
    Abbraccia questa ragazza da parte mia ed un caro saluto a te Cristina.

    1. Carissima Tania, non essersi abbeverati all’amore genitoriale da piccoli (e, spesso, quando comincia così, si continua anche “poi”) è un dolore lacerante. E’ un dolore che ti convince che tu non sei adatta ad essere amata. Perché la fragilità infantile continua nel nostro profondo, anche “poi”. Ho sentito parecchie volte don Luigi Verdi raccontare il suo rapporto con il papà…la persona della lettera da settembre inizierà un cammino con un bravissimo psicoterapeuta che l’aiuterà (ne sono certa)…e Dio si intrufolerà in tutto questo, perché l’amore l’abbracci. Anche questa è Provvidenza. Dare cibo all’anima dei suoi figli. Cara Tania, stai diventando una presenza bella all’interno del log. Molti mi scrivono in privato…molti mi contattano nella pagina facebook…ma qui ci sei tu che, apertamente, mi saluta con uno scritto. Buona giornata con tutto il cuore ed avanti tutta! Dio c’è e non va in pensione!

  2. Grazie, Cristina.
    Mi commuovi. Mi è venuto un brivido!
    E’ che nel tuo blog mi sento un pò a casa mia, anche se certi malesseri interiori ( come in questo caso ) non li racconto in famiglia… 😀
    Qui mi scatta una “molla” e riesco a condividere anche le cose “no” che vivo e che ho vissuto.
    Hai detto bene: è un dolore lacerante che mi ha portata a cercare affetto tra le braccia delle persone sbagliate e accumulando fallimenti su fallimenti.
    Farò il tifo per questa ragazza e …
    GRAZIE davvero di cuore.
    Ti voglio bene. 🙂

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