“Gentile professoressa, sono Claudia, quasi 40 anni, insegnante di scuola superiore. Posso chiederle un’opinione su una cosa che, alla luce di tanti problemi più gravi, potrebbe rasentare la banalità?
Io soffro molto per il fatto di non avere un compagno di vita. A volte sono single, nel senso che comunque vivo bene anche da sola coltivando comunque delle relazioni amicali importanti, ma altre son proprio zitella (mannaggia!) ammassata di rabbia e acidità.
Secondo lei, è vero che “Dio li fa e poi li accoppia”? Ho la fortuna di conoscere delle coppie stupende che mi sembrano quasi “predestinate” a stare insieme.
Nell’amore sponsale secondo lei, c’è un disegno di Dio? Dio pensa a una persona precisa per chi desidera intraprendere una vita di coppia?
Carissima Claudia, sai quante volte mi sono posta anche io la tua stessa domanda? Tantissime!
Una volta la feci anche ad un mio insegnante universitario di teologia.
Ricordo che, scherzando, gli chiesi: “Scusi ma, quel famoso detto “Dio li fa a poi li accoppia”, ha una possibile valenza teologica o è solo una battuta popolare senza troppo valore?”
Credo che, alla fine, nessuno possa dare una risposta certa. A meno che non sia qualcuno che conosce alla perfezione i pensieri di Dio.
Però qualcosa possiamo intuire.
1. Noi tutti sappiamo che non siamo burattini nelle mani di Dio e che le nostre scelte (anche quella del partner) provengono dalla nostra libertà. Eppure, in modo misterioso e provvidenziale, Dio è sempre un nostro compagno di viaggio molto attivo. Non avrà un’agenzia matrimoniale, ma sono certa che non sta nemmeno spaparanzato in poltrona a guardare il film della nostra vita, in attesa di vedere il lieto fine. Dio proprio non riesce a star fermo. Gli viene naturale essere attivo e partecipe. C’è una bellissima frase della Bibbia, in cui l’Arcangelo Raffaele dice a Tobia (riguardo a Sara): “Non temere: essa ti è stata destinata fin dall’eternità” (Tb 6, 16-18). Che vuoi che ti dica Claudia? Io, fondamentalmente, penso che ogni coppia sia stata pensata da Dio. Non è una verità di fede questa, eh! Prendila come un gioco teologico-spirituale!
2. Continuando con questo gioco, ecco però che arriva una legittima obiezione. Tutti vediamo che le persone, spesso, fanno scelte contro la volontà di Dio. Quindi se Dio avesse pensato per noi una persona ben precisa e noi perdessimo quell’opportunità, tutto il progetto divino sulla nostra vita, sarebbe rovinato? Anche qui ritorna l’instancabile azione di Dio. Noi cambiamo le carte in tavola… ma Lui si adegua e gioca ancora meglio! La Bibbia dice che anche il piano più “stolto” di Dio, è di gran lunga più saggio del piano più saggio che un essere umano possa mai concepire (1 Corinzi 1, 25). In breve: chi conduce la storia è Dio. Anche le storie d’amore. Ci siamo noi, con la nostra libertà e c’è Dio, con la sua fantasia. L’incontro tra queste due scintille, crea la coppia: 1+1=1
3. Le coppie stupende sono unite perché si amano, o si amano perché sono unite? Chi di noi non conosce almeno una coppia che ce l’ha fatta? Che ha costruito e vissuto quel 1+1=1! Guardarli è come camminare a piedi nudi su un prato fatto di tenerezza. Ogni passo in avanti ti sembra morbido ed accogliente e l’amore si rivela sotto la forma di intese profonde ed irripetibili. Guardi certe coppie e vedi cose buone: buonumore, passeggiate sotto braccio, chiedere se si vuole l’acqua o l’aranciata, scusarsi, scriversi, ricominciare daccapo, baciarsi… guardi e tutto racconta quel “Avevano appena festeggiato le nozze d’oro e non sapevano passare un istante l’una senza l’altro” (G. G. Márquez). C’è ancora qualcuno che pensi che tutto questo sia questione di fortuna? Spero di no! Non ci sono costellazioni magiche che aiutano, ma solo tanto impegno e volontà. Voglia di farcela!
Attenzione ai piccoli gesti! L’amore è nei dettagli. Sempre.
4. “L’amore è una meta che si raggiunge in due, a condizione di aver trovato la strada da soli” (Massimo Gramellini). Chi butta addosso all’altro/a tutte le aspettative del mondo per poter risolvere finalmente i propri problemi personali, ha proprio sbagliato strada. La vita da single è comunque vita piena, e non un susseguirsi di giornate vissute ricercando un sogno. Spesso diventiamo prigionieri di una nostra insoddisfazione (capita per tante cose, eh!) scordandoci di essere felici. Viviamo il presente e non chiudiamoci mai dentro casa: perché l’amore non viene a bussarci in casa ma ha bisogno di incontrarci all’aria aperta!
5. Ed alla fine, che risposta possiamo darci alla tua domanda?
Io penso che ogni coppia che nasce, contiene e proviene da Dio.
Ogni amore che cresce, si nutre e si fortifica con Dio.
Nel quadro dell’amore, Dio non è mai fuori cornice. Paolo VI, in un’udienza estiva tenuta a Castel Gandolfo, nel cortiletto, nei saluti previsti nel programma, aggiunse: “E, se permettete, saluto Cristo Signore presente in ogni coppia di sposi qui convenuti”.
Dio è in ogni coppia, fin dall’inizio!
Ed è sempre Lui che, nel matrimonio, va a convivere con la stessa coppia. L’ammira, la rafforza, la coccola e, attraverso lei, dice a tutti: “Vedete come stanno diventando simili a me? Io che sono 1+1+1=1!”
Ho iniziato questo post con la bellissima frase di san Raffaele Arcangelo: “Non temere: essa ti è stata destinata fin dall’eternità” (Tb 6, 16-18). Voglio finirlo con una storia attuale che racconta lo stesso messaggio biblico. L’ho letta la prima volta, tanti anni fa. Da allora, mai più è uscita dalla mia testa e dal mio cuore. E’ una storia ebraica. Vera.
Buona lettura Claudia!
“Era nato in una famiglia piuttosto agiata e, come era uso a quel tempo, all’età di diciannove anni decise di ribellarsi. Indossando la divisa di tela di jeans lacera e sbiadita della sua generazione, Joey Riklis lasciò il college e il lavoro, è annunciò al padre vedovo che sarebbe partito per l’India in cerca dell’“illuminazione”.
Da uomo sensibile e acuto qual era, suo padre, Adam Riklis, incassò il colpo con calma e senza scomporsi, dando ascolto agli amici che gli consigliavano di mostrare solo pazienza, tolleranza, amore. Joey si stava comportando “in modo normale, per la sua età”, gli spiegarono e, ne erano sicuri, la tempesta sarebbe in breve è passata. Così Adam disse al figlio che capiva il suo bisogno di essere indipendente e di cercare la propria identità, e che avrebbe accettato i grandi cambiamenti che stavano avvenendo nella sua vita con affetto e comprensione. Ma quando un giorno Joey gli rivelò di aver abbandonato la religione, suo padre non riuscì a controllarsi.
Adam era un superstite dell’Olocausto. Tutta la sua famiglia era stata uccisa dai nazisti; solo lui era sopravvissuto alle pene di tre campi di concentramento. Nello scoprire di essere l’unico rimasto in vita di tutta la famiglia, aveva giurato a se stesso che la religione per cui i suoi parenti erano morti non sarebbe morta dentro di lui. Molti dei sopravvissuti avevano preso la decisione opposta, abbandonando la religione della loro giovinezza per rabbia e per dolore, ma Adam vedeva le cose in modo del tutto differente. Distaccarsi dalla religione dei suoi parenti uccisi sarebbe stato né più né meno come tradire il ricordo delle loro vite… e delle loro morti. A Cleveland, Adam aveva rispettato le tradizioni ebraiche, facendo diventare, giorno dopo giorno, i rituali religiosi del suo popolo parte integrante della vita della famiglia. Aveva mandato i suoi figli a una scuola ebraica, li aveva accompagnati in una sinagoga regolarmente, aveva fatto in modo che sia attenessero rigorosamente alla legge religiosa. Era orgoglioso di aver cresciuto dei ragazzi devoti che avrebbero portato avanti quell’eredità di famiglia. Ma ora suo figlio gli diceva che stava rifiutando proprio quel retaggio tanto importante, prendendosi gioco degli eventi luttuosi della loro famiglia. Adam avrebbe potuto sopportare qualsiasi altra cosa ma non questo.
“Vattene!” gridò a Joey. “Vattene dalla mia casa e non tornare mai più! Non sei più mio figlio. Ti caccio dal mio cuore, dalla mia anima, dalla mia vita. Non voglio vederti mai più!”
In India, Joey parlò con numerosi guru, in cerca di saggezza e di spiritualità, di risposte concrete agli elusivi misteri dell’esistenza. Durante i suoi viaggi incontro Sarah, per molti versi la sua controparte femminile. Anche lei aveva abbandonato la religione ebraica e stava cercando un diverso sentiero spirituale. Entrambi erano certi di aver trovato l’“anima gemella”. Erano ormai insieme da sei anni quando, per caso, Joey incontrò un vecchio compagno di scuola di Cleveland, a un angolo di strada di Bombai.
Joey e Sammy si abbracciarono felici. “E’ incredibile!” esclamarono. Si stavano raccontando le rispettive avventure quando Sammy, con lo sguardo improvvisamente adombrato, disse: “Joey mi è dispiaciuto moltissimo quando ho saputo di tuo padre”.
“Mio padre?” ripetè Joey stupidamente. “Che cosa vuoi dire?”
“Oh, mio Dio, mi dispiace. È evidente che non lo sai ancora”.
“Cosa dovrei sapere?” chiese Joey, ora irrigidito dalla paura.
“Oh, Joey, tuo padre è morto un paio di mesi fa. Nessuno ti ha scritto per informarti?”
“Nessuno sapeva dove mi trovavo”, rispose Joey lentamente, ancora stordito dalla notizia. “Di cosa è morto?”
“Ha avuto un attacco di cuore.”
“Non è morto per un attacco di cuore”, disse Joey, gli occhi che gli si riempivano di lacrime, “ma perché aveva il cuore spezzato, ne sono sicuro. Ed era a causa mia. Ho ucciso mio padre.”
“Joey, non essere ridicolo”, mormorò Sarah, toccandogli affettuosamente una spalla. “Non hai niente a che fare con la morte di tuo padre!”
“Sarah, ti sbagli”, rispose lui. “Ho tutto a che fare con la morte di mio padre!”
Per alcuni giorni, Joey visse perso in una sorta di stordimento, con la mente annebbiata dal dolore e dal rimorso. Non riusciva a liberarsi della soffocante certezza che fosse stato il dolore che aveva inflitto al suo padre a privarlo della vita. In un angolo della mente aveva continuato a sperare in una possibile riconciliazione tra di loro. In qualche modo era sempre stato sicuro che un giorno o l’altro si sarebbero ritrovati. Ora non avrebbe mai più potuto chiedere il perdono del padre, né essere accolto di nuovo nel caldo abbraccio del suo amore. Ora non avrebbe mai più potuto trovare la tranquillità, la pace di cui aveva così disperatamente bisogno.
“Sarah”, le disse scuotendo la testa sconsolato qualche tempo più tardi. “Non posso più continuare così. Per me l’India ha il sapore delle cenere, ormai. So che ti sembrerà strano, ma sento di dover andare… in Israele.”
“In Israele!” esclamò lei sorpresa, arricciando il naso disgustata come solo qualcuno che si è ribellato alla religione può essere. “E perché mai dovresti andarci?”
“Ne sento il bisogno, Sarah. Non riesco a spiegarti, ma devo andare.”
“Va bene, allora andiamoci”, acconsentì lei, anche se contrariata.
Quando l’aereo atterrò, Joey si voltò verso la ragazza e le disse: “Voglio andare a pregare”.
“Sbaglio o stai diventando un po’ strano, Joey?” gli chiese lei sarcastica.
“Sarah, per favore!”
“D’accordo”, si addolcì la giovane, “vuoi andare a pregare? Benissimo. Vuoi andare in una sinagoga?”
“No, voglio andare al Muro del Pianto. È tutto ciò che rimane del Primo e del Secondo tempio: è considerato il luogo più santo di Gerusalemme. La gente crede che la presenza di Dio sia più
forte e lì che in qualsiasi altro luogo di Israele. E lì che si riuniscono le persone venute da tutto il mondo per parlare con Dio, per chiedere miracoli. Voglio andare a pregare per ottenere il perdono di mio padre.”
“Va bene”, sospiro Sarah, “andiamo. Ma devo dirti che non mi piace per niente la direzione che stai prendendo.”
“Sarah!” esclamò lui angosciato. “Perché non capisci?”
“Capisco anche troppo bene, Joey. Capisco che tu non sei lo stesso ragazzo che ho conosciuto in tutti questi anni. Un tempo ridevamo insieme di queste sciocchezze. E adesso vuoi andare a pregare davanti a un muro.”
“Ascolta, Sarah, sto soffrendo. Amavo mio padre. È morto. Ho la sensazione di averlo ucciso io. Perché stai cercando di rendermi le cose più difficili?”
Continuarono a discutere per circa un’ora, e alla fine decisero di lasciarsi. “Sarah, non so perché ci stia succedendo tutto questo”, disse Joey tristemente. “Credevo che fossi la mia anima gemella.”
“Lo sono”, rispose lei dolcemente, posandogli un tenero bacio sulla guancia. “Ma le nostre anime semplicemente non sono più in sintonia. Addio Joey.”
Avvicinandosi a piedi al muro, Joey guardava da lontano i gruppi di persone che attraversavano la piazza. Etiopi che indossavano copricapi africani, yemeniti in abiti bianchi tradizionali, americani con t-shirt e yarmulke. Erano venuti tutti a premere le labbra sulle pietre, a piangere calde lacrime e a rivolgere a Dio le loro suppliche.
Joey si avvicinò a un soldato, uno delle decine che vigilavano sulla folla. “Mi scusi”, chiese. “Dove posso trovare un libro di preghiere da queste parti?” Senza dire una parola il soldato gli indicò un rabbino barbuto, che stava distribuendo oggetti religiosi – yarmulke, libri di preghiere, sciarpe per le donne – ai nuovi fedeli.
Indossando uno yarmulke preso a prestito e stringendo un libro di preghiere, Joey si avvicinò al Muro. Guardò gli altri, imitò i loro movimenti, appoggiando la testa sulla pietra liscia del muro, cercando di delimitarne una sezione con le braccia per creare un’atmosfera di intimità, e incominciò a pregare in silenzio. Aveva pensato che le parole delle preghiere gli sarebbero sembrate sconosciute dopo tutti quegli anni e che le avrebbe recitate goffamente, ma si accorse che sgorgavano da lui in un torrente familiare e confortante. Chiuse gli occhi e ricordò l’intonazione che suo padre aveva usato per pronunciare quelle stesse parole, mentre con la memoria ritornava indietro, a reami diversi, al mondo della sua giovinezza.
“Oh, papà”, singhiozzò. “Come vorrei poterti chiedere perdono! Come vorrei poterti dire quanto ti amavo! Come vorrei non averti causato tutto quel dolore! Non volevo ferirti, papà. Stavo solo cercando di trovare la mia strada. Tu eri tutto per me. Vorrei poterti dire tutto questo.”
Quando ebbe finito di pregare, si voltò, indeciso su cosa fare. Vide che diverse persone attorno a lui stavano scrivendo biglietti che poi infilavano nelle crepe del Muro. Curioso di scoprire il significato di quel gesto, si è vicino a un ragazzo e gli chiese: “Scusi, perché tutte quelle persone stanno mettendo pezzetti di carta nelle crepe del Muro?”
“Oh, sono le loro suppliche”, rispose il giovane, “le loro preghiere. Si crede che le preghiere siano così sante che alle richieste poste al loro interno verrà dedicata un’attenzione speciale.”
“Posso farla anch’io?” chiese Joey, interessato.
“Certo! Sappia però che non è facile trovare una spaccatura ancora vuota ormai!” rise il ragazzo. “Da secoli gli ebrei vengono qui per rivolgere a Dio le loro preghiere.”
Joey scrisse: “Caro papà, ti prego di perdonarmi per il dolore che ti ho causato. Ti amavo moltissimo e non ti dimenticherò mai. E voglio che tu sappia che tutto ciò che mi hai insegnato non è andato sprecato. Non tradirò il ricordo delle morti della tua famiglia. Te lo prometto.”
Quando ebbe finito di scrivere, si mise in cerca di una crepa vuota. Il ragazzo non aveva esagerato. Tutte le spaccature del muro erano piene, straripanti delle suppliche dei fedeli, e gli ci vuole un’ora per trovare uno spazio libero. Ma quello spazio si rivelò non essere poi così vuoto. Quando infilò il biglietto nella spaccatura, accidentalmente ne fece scivolare all’esterno un altro che cadde a terra. “Oh, no, ho buttato fuori la supplica di qualcun altro”, penso Joey, preoccupato, chiedendosi che cosa dovesse fare. Si chinò a raccoglierlo e, tenendo il biglietto arrotolato nel palmo della mano, incominciò a cercare un’altra fessura in cui inserirlo. Ma, preso dalla terribile curiosità di leggere le parole scritte dall’altro fedele, fece qualcosa di stranamente irrispettoso: aprì il biglietto per esaminarne il contenuto. E questo fu ciò che lesse:
“Caro Joey, figlio mio, se dovessi per caso venire in Israele e per miracolo trovassi questo biglietto, voglio che tu sappia questo: ti ho sempre amato, anche quando mi hai ferito, e non smetterò mai di amarti. Tu sei, e sarai sempre, il mio figlio adorato. E, Joey, sappi che ti perdono tutto, e spero solo che tu saprai ricambiare il perdono di questo stupido vecchio”. Il biglietto era firmato: “Adam Riklis, Cleveland, Ohio”.
“Signore, si sente bene? Signore… Signore…?” Quella voce priva di corpo giunse da molto lontano e frantumò il sogno a occhi aperti di Joey. Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto lì, immobile, paralizzato dallo choc, a stringere il biglietto di suo padre tremando, le lacrime che gli scorrevano sul viso. Esitante, si voltò e vide il ragazzo che gli aveva insegnato come scrivere la sua supplica. “Ascolti”, disse il giovane, ponendogli affettuosamente un braccio sulle spalle, “non deve per forza dirmi di sì, ma tra poco sarà sabato, il sole è quasi tramontato. Le piacerebbe passarlo con me?”
Tre anni più tardi Joey era tornato alla sua religione ed era uno studente rabbinico a tempo pieno. “Penso che sia ora per te di sposarti”, gli disse un giorno il rabbino capo. “Mia moglie ama trovare la persona giusta per tutti e sostiene di aver trovato la ragazza perfetta per te. Le ho raccontato di te e dice di essere convinta di aver trovato la tua anima gemella. Anche questa giovane, come te, è tornata al giudaismo dopo averlo abbandonato e studia alla scuola di mia moglie. Ti piacerebbe conoscerla? Vieni a cena a casa mia stasera”.
Quella sera, Joey entra in casa del rabbino e venne accompagnato nella sala. Là, seduta sul divano, non c’era altri che il suo vecchio amore, Sarah. Si fissarono, sconvolti e rapiti, e Sarah sbattè le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.
“Come… come è potuto succedere, Sarah?” chiese Joy sbalordito.
“Beh, dopo che ci siamo lasciati”, rispose lei, “ho incominciato a visitare Israele. Ormai sono qui tanto vale che visiti il paese prima di tornare in India, mi sono detta. L’ho fatto, e mio malgrado mi sono innamorata di questa terra, della sua gente e… della sua religione. Un giorno qualcuno mi ha raccontato di una fantastica scuola femminile, ed eccomi qui!”
“Sarah, ho pensato così spesso a te in tutti questi anni…”
“Beh, immagino che le nostre anime siano di nuovo in sintonia adesso”, mormorò lei dolcemente e alzò gli occhi su di lui accogliendolo con un sorriso
(Tratto dal libro “Piccoli Miracoli” di Yitta Halberstam & Judith Leventhal)
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Buongiorno Cristina,
erano giorni che aspettavo un tuo nuovo scritto…e questa mattina, eccolo lì, pronto da leggere tutto d’un fiato la prima volta per poi tornarci con calma e fare le dovute riflessioni.
Come sempre hai fatto l’ennesimo centro scrivendo nell’unico modo che conosci…col cuore!
Bellissima e commovente la storia di Joey e Sarah …sai Cristina, condivido molto il tuo pensiero …sicuramente Dio ci ha fatto dono del libero arbitrio ma …tutto è stato già scritto… un abbraccio di bene e che il buon Dio Ti Benedica sempre! A presto…
Ciao Lella! Quando saremo in paradiso e rivedremo ogni giorno passato sulla terra, resteremo a bocca aperta nel vedere come tutto sia stato un succedersi di avvenimenti vissuti con la Presenza. Una Presenza accanto a noi. Una Presenza attiva e sorridente. Una Presenza Onnipotente che ha tessuto il vestito della vita addosso a noi, senza sbagliare una piega e riaggiustando tutti gli strappi che ci procuravamo man mano. Un abbraccio Lella ed al prossimo posto. Psss….pssss…in confidenza…un post sugli angeli!
Uauuu, Cristina! Rimango a bocca aperta perché mi accorgo come certe volte mi sembra di essere in perfetta sintonia con te!
Pensa che e’ da un bel po’ di tempo che sto rispolverando l’amicizia con l’angelo custode e anche con san Michele Arcangelo, mio speciale protettore!
Mi sono anche permessa di pregare per te, insieme ai nostri angioletti.
Detto questo, saluto tutte e vi auguro una dolce notte .
A presto!
Bellissimo post con un sacco di spunti…
Iniziamo da quello che dice Gramellini:se non stai bene da solo non starai mai bene in coppia,non pensare che l’altro/a serva a risolvere i tuoi problemi etc.Sono cose giuste che condivido pienamente,ma stiamo attenti a non cadere nell’eccesso opposto “solo se divento Superman/Wonder Woman mi sarà possibile avere un unione felice”.
C’è anche il bisogno che ci spinge a cercare l’altro,è spesso nel bisogno che chiediamo aiuto al nostro coniuge e ci aspettiamo che ce lo dia.Non lo abbiamo sposato per questo,ma ce lo aspettiamo e ci sentiamo delusie traditisequesto non avviene.Se ho una dipendenza e non riesco ad uscirne non mi aspetto che ciò avvenga incontrando una persona che mi renda felice:semmai prima vinco la dipendenza e poi cerco di costruire una relazione.Ma se mi capita di cadere nel vizio es. dell’alcool e sono sposato cerco anche nel coniuge la forza ed il sostegno per venirne fuori….
Hai ragione Germana. Mai fermarsi agli opposti. Mai fissarsi con due punti cardinali lontani. Siamo fatti sia di EST che di OVEST. Siamo TUTTO un po’. Hai mai visto il film Amarsi”? Un film del 1994 diretto da Luis Mandoki, con Andy Garcia e Meg Ryan. Bellissimo! Tutte le sfumature dell’amore, sono concentrate in quel film. Se ti capita, guardatelo. Me l’hai fatto venire in mente con l’esempio che hai scritto nelle tue ultime righe! https://www.youtube.com/watch?v=dxER9eMnK2s
Ma buongiorno Cristina cara,
” Una Presenza Onnipotente che ha tessuto il vestito della vita addosso a noi, senza sbagliare una piega e riaggiustando tutti gli strappi che ci procuravamo man mano”
ma è meraviglioso ciò che hai scritto…come l’hai scritto …
mi sono immaginata un po’ la scena… mamma mia…quanti strappi (aiutoooo), quanta pazienza e Amore da parte del Buon Dio Padre …nel cucire e ricucire… nel sistemare e ri-sistemare ogni cosa…proprio vero senza di Lui …il nulla…un disastro!!!
Cara Cristina, devi sapere che io sono…che dire… affascinata e innamorata dell’argomento “Angeli” e…tenuto conto che il caso non esiste… lo vedo come un segno e un dono…resto in attesa con immensa gioia e gratitudine di leggerti.
Che gli Angeli ti assistano e proteggano sempre … un abbraccio di bene, ciaoooooo.