“La libertà è amarci, mentre impariamo dagli errori

Carissima M. Cristina, perdonami se ti do del tu senza nemmeno conoscerti, ma da qualche tempo ormai la tua pagina mi è più familiare di tante presenze geograficamente vicine nella mia esistenza. Cercare il tuo blog e scorrere i tuoi post è divenuta un’abitudine ormai consolidata, una routine come quella della sana colazione che ricarica il corpo mentre la tua pagina ricarica lo spirito. Non solo per una mera condivisione e ricevere quei tanti like che piacciono al giorno d’oggi, ma per sentire vibrare quella corda del cuore, quella un po’ risentita, un po’ vulnerabile che tu sembri conoscere in molti di noi, tuoi accaniti lettori. La mia felicità è doppia quest’oggi nello scriverti, perchè rigiro tra le tue mani il tuo libro, ieri giunto a me in un bellissimo pacco regalo. Dunque mi sembrava naturale scriverti per ringraziarti, perchè in un momento tanto precario della storia e in cui noi giovani siamo tanto “orfani” spiritualmente, leggere le tue perdonarsi, mettendo quasi in discussione la bontà di Dio nell’avermi creata.

So che se dentro di me c’è qualcosa di Lui e dunque qualcosa di bello deve esserci da rendere prezioso, custodire e offrire al
mondo. Eppure quanto è difficile spogliarsi di quel lenzuolo di paure, insicurezze e senso di inadeguatezza che ci fa rimanere nel sepolcro, facendo perdere di vista la resurrezione di Gesù
Cristo. Quanta superbia nel nostro cuore nel non accettare i limiti della nostra condizione umana. Eppure potremmo scoprirli come punti di forza, attraverso i quali poterci riconoscere fratelli e figli. Fratelli nell’infinito bisogno di amore, nel desiderio di essere autentici e camminare con Lui.

Cara M.Cristina, la strada è lunga ed è un continuo camminare… ma grazie a persone come te il percorso si fa più luminoso e i passi più certi, anche se non ci conosciamo. Mantieni viva la tua fiamma di speranza e di amore e aiuterai tanti giovani a fare luce dentro di sé, nonostante le proprie ombre. Grazie, con affetto Miriam

Carissima Miriam, in quest’ultimo mese, sono stata più in carcere che fuori. Ed ho imparato tanto. Ma soprattutto, parlando con i detenuti, ho capito che il carcere più duro da vivere, è quello della continua condanna verso noi stessi.

E’ un po’ come vivere sempre nella tomba, senza arrivare mai alla resurrezione.

Una mia studentessa, Alessia, il giorno dopo essere tornati dal carcere di massima sicurezza di Ascoli Piceno, mi ha scritto: Prof stamattina mi sono svegliata prima del solito perché la luce del sole entrava in camera e mi dava fastidio…allora ho deciso di guardare fuori dalla finestra l’alba che stava salendo, ma non ho potuto far a meno di pensare a ieri…le cose che più mi hanno colpito all’interno del carcere, oltre alle storie straordinarie, sono le luci e la vista. Essendo appassionata di fotografia, non posso far a meno di guardare fuori per vedere se c’è qualcosa di bello da fotografare… ma lì non c’era la possibilità di vedere niente, se non quel muro. Come si fa a vivere in un posto del genere, dove non puoi vedere il paesaggio, i suoi colori, sentire il rumore del vento e tutte quelle cose che reputo scontate?? È come se fosse un posto dove il concetto di tempo non esiste più… in nessun muro ho visto un calendario o un orologio! Ecco prof, guardi fuori dalla finestra, guardi che bel cielo, che colore hanno le foglie sugli alberi e com’è meraviglioso il vento tra i capelli e sul viso! Da ieri è come se avessi occhi nuovi! E con questi, possono vedere molti poi dettagli. Riesco a dire meglio: “Quanto è bella la vita!”

Entrare in carcere ed incontrare i detenuti è stata un’esperienza che non ha parole per essere descritta…spero che i prossimi anni riesca ad allargare questo progetto anche ad altre classi e scuole! Può veramente cambiare la vita, o almeno renderci più consapevoli di quello che potrebbe succedere!”

Cara Miriam, avrei voluto farti vedere i miei alunni ascoltare concentratissimi i detenuti, ed entrare dentro le loro storie.

Avrei voluto farti vedere i detenuti spogliarsi coraggiosamente di ogni difesa, per porgere la loro vita ai ragazzi.

Avrei voluto, io stessa, portarmi appresso l’energia positiva di quell’incontro, per cercare di voler ancora più bene alla vita ed a tutti i viventi.

Tutti amiamo amare ed amarci e tutti non ci riusciamo. O almeno ci riusciamo con grande fatica.

Eppure nell’amare la vita e nell’amare noi stessi, c’è tutta la libertà del mondo!

Jean Jacques Rousseau diceva che “L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”Le catene ci inseguono continuamente (sia che siamo dentro una Casa Circondariale o nella nostra camera da letto).

Ci sono alberi e tramonti che puoi osservare con noia (che è un modo di sentire la vita come una perdita di tempo) oppure con “stupore” (che è un modo di percepire la vita come degna di essere vissuta).

Ci sono errori che possono schiacciarci (imprigionando il nostro futuro) oppure farci rialzare più forti di prima (liberandoci dalla disperazione).

Dimmi te: quanto potrebbe essere lungo l’elenco delle nostre prigioni?

Tu sei stata molto brava perché, nella tua lettera, hai iniziato a scrivere un bel concentrato di manette che ci mettiamo addosso.

Più ci allontaniamo dall’amore e più siamo detenuti; più ci avviciniamo all’amore e più guariamo e diventiamo sani.

E noi tutti, vogliamo essere sani.

Dio pure.

Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la Buona Novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo“. Ancora oggi Gesù è un medico che continua ad esercitare.

Come e dove?

In ogni latitudine e longitudine dove ci sia qualcuno appassionato di amore e concentrato sulla libertà.

Louise Hay ha scritto: Accettati in modo totale per un’intera giornata e stai a vedere che cosa succede!”

Papa Francesco, nel Giovedì Santo, ha voluto fare la lavanda dei piedi ai detenuti del carcere di Paliano. Lui ha ricordato a quegli uomini (ed a tutti noi, prigionieri sempre di qualcosa) che : Dio ci ama fino alla fine… Amare fino alla fine non è facile, perché tutti noi siamo peccatori, tutti abbiamo i limiti, i difetti, tante cose. Tutti sappiamo amare, ma non siamo come Dio che ama senza guardare le conseguenze, fino alla fine…Tutti noi, che siamo poveracci, tutti! Ma Lui è
grande, Lui è buono. E Lui ci ama così come siamo. Per questo, durante questa cerimonia pensiamo a Dio, a Gesù. Non è una cerimonia folkloristica: è un gesto per ricordare quello che ha dato Gesù. Dopo di questo, ha preso il pane e ci ha dato il suo Corpo; ha preso il vino, e ci ha dato il suo Sangue. E così è l’amore di Dio”.

Qualche consiglio concreto per guardarci come ci vede Dio?

1.ELIMINARE QUEL “MI AMERO’ SOLO QUANDO… quando dimagrirò, quando la smetterò di…, quando avrò perdonato…, se saranno gli altri ad amarmi per primi…

Quant’è lunga la lista delle condizioni che mettiamo davanti alla possibilità di volerci bene? Vorremmo volare in alto ma poi ci sono quei difetti che appaiono ai nostri occhi così grandi e così tristemente ripetitivi, che non riusciamo a smettere di criticarci. Se ci concentriamo sulla nostra incoerenza, non arriviamo da nessuna parte. Ogni giorno è foriero di nuove possibilità per avere comportamenti diversi. Fermarsi al biasimo non serve (i maestri dello spirito dicono che sia una strategia di satana). 

2. ESSERE PAZIENTI CON NOI STESSI. Un proverbio turco dice che “la pazienza è la chiave del paradiso”. Quindi: keep calm! Non pretendiamo da noi stessi quel “Da domani… tutto cambierà”. Ci vuole molta pazienza, per imparare la pazienza. I nostri tempi spesso non coincidono con i tempi che ci sono necessari per imparare la lezione che siamo venuti ad apprendere sulla terra. Tutti facciamo errori mentre stiamo apprendendo qualcosa di nuovo e solo se accettiamo questi errori possiamo progredire. Dio sa tutto ciò, per questo ci perdona con facilità. E’ come un padre che ci sta insegnando ad andare in bicicletta. Sa che per imparare, dopo ogni caduta ci deve essere una risalita in bici.

3. ESSERE INDULGENTI CON LA NOSTRA MENTE. Avere pensieri negativi succede a tutti. Fa parte del gioco. Gli amanti del pensiero positivo dicono: “Chiudi gli occhi e dì a te stessa: “va tutto bene”.

Chi vuole andare oltre il pensiero positivo, alza gli occhi al Cielo.

C’è la bellissima preghiera del cuore (di cui si parla nel famoso testo “I racconti di un pellegrino russo”) che consiglia di ripetere il nome di Gesù.

Semplicemente.

Continuamente.

Tra sé e sé.

Riscopri questa pratica antichissima della cristianità, rimasta viva nell’Oriente Cristiano. E’ l’invocazione continua “Gesù, abbi pietà di me peccatore”. E’ farsi cullare, pian piano, da questo mantra cristiano. Fa bene e fa arrivare il rilassamento.

4. AIUTARCI CHIEDENDO AIUTO: è il gesto più forte che ci sia. Se non abbiamo la forza di chiedere aiuto, ci indeboliamo riempendoci di rabbia verso la nostra fragilità. Il rischio è di essere travolti dal senso di frustrazione, sentendoci ancora più soli e senza via d’uscita. Non è un caso che la logica del “gruppo” è entrata in tutte le terapie di aiuto alle fragilità umane (dall’alcool, alle forme di dipendenza, fino alle malattie…)

5. AMARE PERFINO LE NOSTRE CARENZE. In altre parole: amarci in modo incondizionato. Anche quando sbagliamo per l’ennesima volta per colpa di quel difetto di cui vorremmo tanto liberarci. Come fare? Un modo è l’humor. L’humor è il percorso più breve verso l’amore per noi stessi e gli altri. Ci permette di ridere e di non prenderci troppo sul serio. Forse ha ragione Oscar Wilde quando dice che il prendersi troppo sul serio ha dato il via al peccato originale.

6. AMARE IL NOSTRO CORPO. Per esempio camminare. Ogni giorno. Almeno un po’. Se possibile, all’aria aperta e non in una palestra. Magari ogni mattina. Fa bene al colesterolo, alla pressione, al sovrappeso, alle articolazioni, alla depressione, alla concentrazione, alla serotonina ed alle endorfine… devo continuare con i benefici? Sarà o non sarà un modo per volerci bene e sdrammatizzare i pensieri brutti che ci assalgono?

7. ATTACCARE ALLO SPECCHIO DEL BAGNO (e su un mobile che vediamo ogni mattina) QUESTO POST IT:

Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.” (Gv 13)

 

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