E’ il nove luglio 2014 ed io sono nella chiesetta di San Filippo della mia città. Sono le 22.30 ed è appena finita una messa per ricordare Cristiano, un ragazzo scomparso un po’ di anni fa. Proprio per questo la chiesa è piena di gente.
Io sono seduta da una parte, presa dai miei pensieri quando, ad un tratto, una signora di mezza età si avvicina e mi dice: “Cristina, io bisogna che te lo chiedo. Ma quelle lettere che ti scrivono i ragazzi e che tu riporti nel tuo blog…insomma…sono davvero scritte dai ragazzi? Perché io…ti dico la verità…ad un certo punto ho pensato che te le scrivessi da sola. Scusami, eh!”
Io la guardo e non so se apprezzare tanta sfacciata sincerità o se rispondere per le rime a tanta malafede.
La guardo sorridente (e vi assicuro che ho messo in atto tutto il mio autocontrollo per non usare il sarcasmo, come meccanismo di difesa all’allarme rosso che scatta quando ci sentiamo attaccati ingiustamente) e le chiedo: “Guardi, già che c’è, mi dia un consiglio.”
Apro il mio cellulare e le faccio leggere alcuni messaggi che una mia alunna mi ha mandato per tutto il giorno da un paese del mondo arabo (mi mantengo sul vago per tutelare al massimo la sua privacy).
La famiglia l’ha fatta partire per andare a passare le vacanze nel suo parse di origine e la vorrebbe far sposare con un uomo di 13 anni più grande di lei con cui la nonna ha già fatto le relative contrattazioni. La mamma è d’accordo. Mancherebbe solo il benestare del papà.
Ovviamente la mia studentessa (quasi “ex”, vista la situazione) questo tizio non l’ha mai visto prima
Per tutto il pomeriggio ho chattato con lei cercando di capire una cultura che non mi appartiene e di portare questa ragazzina a pensare alla sua vita come “sua”!
Con delicatezza le ho scritto delle mie riflessioni su quello che noi occidentali chiamiamo il “diritto all’autodeterminazione”.
Faccio sempre una grande fatica ad accettare che siano le donne stesse a tarpare le ali dell’indipendenza alle altre piccole donne della propria famiglia.
La signora ha letto solo l’inizio dei messaggi; poi ha smesso dicendo: “Mamma mia! Non si possono leggere queste cose! E’ impressionante!”
Lo so; a volte è sconcertante quel che capita nella vita dei nostri ragazzi e si fa fatica a pensare che siano proprio loro a scrivere.
Li vedi così strafottenti, sorridenti, baldanzosi, frivoli…
Sembra facciano del tutto per nascondere la loro sensibilità, la loro ricerca personale di “senso”, la loro fragilità, la fame d’amore che hanno…
Mi sono accorta di una cosa: i ragazzi si aprono quando non si sentono giudicati.
IL giudizio è qualcosa che li blocca e li fa sentire sotto processo. Invece hanno un così grande bisogno di sentirsi accolti ed amati, a prescindere!
Così è nato questo blog (e poi questo libro); dal desiderio di ascoltarli. A casa ho oramai centinaia di bigliettini e lettere che, in tanti anni di insegnamento, gli alunni mi hanno scritto.
Solo un anno fa ho deciso di mettere in rete quelli dell’ultimo anno, perché fossero ricchezza per tutti.
Perché le domande che si fanno i ragazzi sono concrete come la vita e profonde come il cuore umano.
Credo che a questo sia dovuto il successo di www.intemirifugio.it.
Dopo l’episodio di quella signora, ho chiamato la Casa Editrice che trasformerà questo blog in un libro ed ho proposto di aggiungere questo capitolo perché fosse chiaro per tutti che quelle lettere provengono realmente dai miei ragazzi, dalla loro anima, dalla loro ricerca.
Una ricerca che facciamo tutti, fino all’ultimo istante che ci è dato vivere su questa terra.
Ogni giorno dobbiamo guardarci dentro ed ammettere tutta la nostra fragilità, senza vergogna.
Solo dopo averla ammessa potremo cambiare.
Solo se diamo un nome ai nostri limiti e li affidiamo a Dio, potremo guardarli diversamente, relativizzarli, prendere altra forza.
E dalle nostre fragilità, nascerà il coraggio che credevamo impossibile avere in noi, scoprendo che è proprio vero che “quando siamo deboli, è allora che siamo forti!”.
Gesù non ci ha presi in giro; se chiederemo aiuto, la sua forza si farà sentire.
Sempre!
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