Ce lo diciamo sempre: siamo uomini, perciò, imperfetti.
E su questa scia, ci ripetiamo tante altre cose belle per incoraggiarci.
“Il più grande errore che si può fare nella vita, è quello di avere sempre paura di farne uno” diceva Elbert Hubbard.
E, a seguire, potremmo scriverne tante altre di frasi piene d’incoraggiamento in merito ai nostri errori.
La realtà però ci raggiunge sempre. E la realtà è che se, ad un certo punto, ci muoviamo nella direzione sbagliata, possiamo anche aver fatto miracoli ma l’attenzione ISTINTIVA andrà sempre su quella strada sbagliata.
ISTINTIVAMENTE, credo ci dia soddisfazione criticare e condannare.
Per carità: capire ed approfondire è legittimo ed utile.
Passare al giudizio senza appello è, però, una catastrofe: sia per chi lo dice che per chi, quel giudizio, lo riceve.
Non so perché ci venga naturale giudicare e condannare con severità.
Qualcuno dice che quando critichiamo con durezza (anche se lo scriviamo con riflessioni apparentemente pacate) lo facciamo perché, in quelle fragilità ci rispecchiamo e ci fa troppo male vederle in noi.
Qualcun altro afferma che giudichiamo quasi con inconscia soddisfazione, perché ci portiamo dietro l’illusione che, abbassando gli altri, innalziamo noi stessi.
O forse ha ragione quel vecchietto che l’altro giorno mi diceva: “E’ che siamo fatti male” .
Pensavo a tutto questo un po’ di giorni fa mentre ascoltavo una conferenza di quel mitico professore di storia che è Alessandro Barbero, su “Le origini della comunicazione aziendale: gli ordini religiosi del Medioevo”
https://www.youtube.com/watch?v=Fko3NKb6VLc
IN-TE-RES-SAN-TIS-SI-MA!
Soprattutto perché spiega con grande chiarezza l’inizio del movimento francescano e l’esigenza di far trapelare un’immagine perfetta di san Francesco. Già nel XIII sec. sapevano che, anche se san Francesco aveva fatto miracoli e vissuto in povertà nella seconda parte della sua vita, qualsiasi persona avrebbe potuto distruggere l’immagine perfetta del “poverello”, raccontando la sua fragilità ed i suoi errori.
Bisognava assolutamente proteggerlo dalle critiche (e, proteggendo lui, si sarebbe protetto anche il movimento francescano che stava compiendo i primi passi)
Sapevano perfettamente come sono fatti gli uomini: no perfezione(?), allora no stima(!) e no appoggio(!).
Quindi bisognava scrivere la sua vita, tacendo alcune cose ed esaltandone altre.
Non credo che i primi francescani avessero paura della verità, ma avevano paura della reazione degli altri. La gente avrebbe capito che niente cambiava nella bontà del movimento francescano, se si fosse saputo che anche Francesco sbagliava e si arrabbiava come tutti gli esseri umani?
Lo so, a noi (lontani da qui tempi e comodi comodi davanti ad un pc) viene da dire: “Ma certo che la gente avrebbe capito! D’altra parte erano davanti ai loro occhi le cose buone che i francescani stavano facendo!”
Mmmmhhhhh.
Se avete pensato questo, sappiate che siete stati un po’ troppo ottimisti.
I francescani, realisti al massimo perchè fini conoscitori dell’umana povertà, si organizzarono per far “pubblicità” positiva al suo fondatore.
Lo ripeto: non credo lo abbiano fatto per una mania di perfezionismo, ma solo per la prudenza di chi conosce l’essere umano. Qualcuno potrebbe obiettarmi che tale prudenza si chiama “furbizia”. Può darsi anche questo.
Comunque ora arriva il bello.
E qui cito il prof. Barbero.
“Viene individuato un frate che conosceva bene Francesco, Tommaso da Celano, e gli si dice – Adesso tu scrivi la biografia di Francesco-. Tommaso da Celano si mette al lavoro. Scrive quella che verrà poi conosciuta come la “Vita prima” di san Francesco. Lui non lo sapeva che era la prima mentre la scriveva. Pensava che fosse la sua vita di san Francesco.
E Tommaso da Celano racconta tante cose di san Francesco che la gente si ricorda.
Racconta che san Francesco era un personaggio scomodo.
Che i genitori, erano una famiglia che pensava solo ai soldi, per niente religiosi.
Che lui da giovane pensava alla carriera, al successo, voleva diventare un cavaliere.
E poi anche dopo, quando ha avuto la vocazione e ha creato i francescani, Tommasi da Celano racconta che Francesco è rimasto sempre un personaggio scomodo.
Racconta tanti aneddoti, che quando i capi dell’Ordine leggono, si mettono le mani nei capelli (cioè nella tonsura) e si dicono: “Ma è il caso di scriverle queste cose?”
Quella volta che Francesco è con un gruppetto di frati ed è arrivata una vecchietta che era la mamma di uno di loro, a chieder un po’ di aiuto, un po’ di carità. E Francesco ha detto: “Abbiamo da dare qualcosa alla nostra mamma?” (perché dice Tommaso da Celano – lui chiamava sempre la nostra mamma, tutte le madri di tutti i frati). E i frati gli dicono: “No, non abbiamo niente Siamo poveri”. Dice Francesco: “Ma non abbiamo proprio niente, niente?”. “Guardati intorno! L’unico oggetto che abbiamo qui è il vangelo che usiamo per dir messa”. E Francesco dice: “Ma vendiamolo!!! Vendiamo il vangelo ed aiutiamo la nostra mamma!!! E Dio sarà molto più contento se facciamo così che non di vederci che usiamo il vangelo per cantare messa!”
Ecco.
I capi dei francescani cominciano ad alzare un sopracciglio.
Poi si va avanti a leggere quel che racconta Tommaso da Celano. Ne racconta tante di cose.
Quella volta che san Francesco si è messo a predicare agli uccelli.
I capi dell’ordine pensano – Beh, speriamo che ‘sta volta…gli uccellini sono inoffensivi”
No!
San Francesco si era messo a predicare agli uccelli perché era andato a Roma a parlare in pubblico ed i romani non hanno voluto starlo a sentire, perché Roma è una città del vizio e della corruzione.
La città meno cristiana che ci sia.
E quindi Francesco ha detto: “Non volete starmi a sentire? Io me ne vado”
Esce.
Va alla discarica.
Alla discarica comunale ci sono tutti gli uccellacci che svolazzano sulle discariche e san Francesco si mette a predicare a loro.
E poi Francesco non era perfetto.
Sbagliava! Si arrabbiava. Perdeva la pazienza!
E queste cose Tommaso da Celano le racconta.
Quella volta che c’era un frate che faceva assistenza ai lebbrosi. Nella loro casa. Perché avevano una casetta, però ci devono restare chiusi dentro. E invece il frate aveva fatto amicizia con uno di questi lebbrosi e lo portava sempre fuori a messa, insieme a lui. E Francesco gli diceva – Lascia perdere, non portarlo!-. Questo arriva piagato, sanguinante, gocciolante, e la gente…
Il frate non lo capisce e san Francesco si arrabbia. Lo manda al diavolo. Gli ordina di portare via il lebbroso e di non farsi più vedere. Poi si pente. Si rende conto di quel che ha fatto. E allora ha bisogno di fare penitenza. E va alla casa dei lebbrosi. E si siede a tavola con loro e mangia con loro.
Ora naturalmente sapete come funziona: nel medioevo si mangia sempre su una tovaglia di bucato (guai a non averla) però poi si pesca con le dita dal piatto comune. Ed i lebbrosi, con le loro dita sanguinanti e piene di paghe pescano. E Francesco pesca.
E, dice Tommaso da Celano, gli altri frati stavano a guardare, molto addolorati e incerti su cosa dovevano pensare.
I capi dell’Ordine Francescano dicono a Tommaso da Celano: “Ma Francesco non era così! Francesco era grande! Francesco non sbagliava mai! Togline un po’ di queste cose”.
E Tommaso da Celano scrive la “Vita secunda”, in cui risulta che i genitori di Francesco erano molto religiosi e pii e che Francesco, fin da bambino, aveva la vocazione religiosa, e così via…
Però i leader del movimento francescano gli dicono: “Tommaso, però non hai mica parlato abbastanza dei miracoli! Francesco è un grande santo. Ha fatto tanti miracoli. Scrivi!!!”
E Tommaso da Celano scrive una terza vita di san Francesco, dove ci mette tutti i miracoli ma nell’introduzione dice, più o meno: “Adesso basta! Non possono pretendere che io dica che il quadro è tondo”. E quindi la serie dei racconti scomodi li lascia.
Finchè un po’ di anni dopo, il generale degli ordini francescani decide che effettivamente non va bene. L’immagine di Francesco non può essere affidata a questi testi.
Bisogna scrivere un’altra biografia.
Quella veramente autorizzata.
Definitiva.
Bonaventura scrive la “Legenda maior” in cui tutte le cose sgradevoli sono sparite.
Francesco non ha mai un dubbio.
Francesco non esita mai.
Non sbaglia mai.
E’ sempre serafico e sorridente.
E, soprattutto, è inimitabile.
E’ un altro Cristo.
E’ inutile che i francescani stanno a dire – dovremmo stare scalzi come lui- No! No! E’ impossibile!
Ormai l’ordine non ha più tanta voglia di estremismi e Bonaventura dà all’ordine quello che serve in quel momento per motivare i membri: Francesco era un altro Cristo e non è che possiamo imitarlo, noi poveri uomini.
Dopodiché Bonaventura manda una circolare a tutti i conventi francescani, dicendo: “Adesso voi andate in biblioteca, prendete tutte le vite di san Francesco che avete e le bruciate. Ed io vi manderò quella definitiva, in sostituzione”.
E per secoli nessuno ha saputo niente della vita di san Francesco scritta da Tommaso da Celano e da altri.
Poi tra l’otto e il novecento, in qualche monastero benedettino dove delle circolari francescane se ne infischiavano, sono stati ritrovati singoli esemplari di queste vite e si è visto che l’immagine di Francesco che avevamo era tutta diversa da quella che era in realtà”
Tutti a cercare la perfezione.
Dei difetti e degli sbagli abbiamo paura.
A parole ci diciamo che la fragilità umana è da accettare.
A parole.
Nella pratica stiamo sempre sul piede di guerra.
Con gli altri ma anche con noi stessi.
Sempre pronti a concentrarci sugli sbagli (degli altri, ma anche i nostri)
I giorni scorsi ho finito di vedere la famosa serie “The crown” dedicata ai reali inglesi.
In una scena si vede Lady D. che ha appena fatto la sua famosa camminata sul campo minato, per denunciare l’orrenda e vigliacca pericolosità di queste armi. Entra in auto ma uno dei suoi collaboratori l’avverte che, in patria, la stanno criticando molto per questo gesto. La tacciano di narcisista con manie di protagonismo. Il volto di Lady D la dice lunga sulla profonda delusione di chi cerca di fare qualcosa di buono e poi …
Quanti errori avrà fatto questa donna nella sua vita! Ma anche quante cose belle!
L’altra sera ho visto il film su Chiara Lubich, la fondatrice del movimento dei focolarini.
Il giorno dopo, sul Corriere della Sera, subito un articolo di critica.
Che va bene.
La verità deve sempre farsi largo.
Anche se scomoda.
Mi infastidisce però chi ci si aggrappa, per tentare di buttare via l’acqua sporca con il bambino dentro.
In pratica si sta scoprendo che non tutto è andato come sarebbe dovuto andare nel sogno di Chiara. Purtroppo alle luci si sono assommate anche le ombre ed alcuni fuoriusciti dal movimento le hanno raccontate.
Hanno parlato di manipolazioni psicologiche e/o suicidi, di un recente scandalo scoppiato in Francia di abusi sessuali (una trentina le vittime, tra ragazzi e bambini oggi in età matura), di un malessere che, già prima della fiction, aveva portato alcuni di loro a scrivere al Dicastero dei Laici in Vaticano per chiedere il blocco della causa di beatificazione della stessa Chiara Lubich, attualmente in corso.
Possibile che, in seguito alle ombre, non sappiamo più essere grati per le luci? Non vi dico i commenti seguiti a questa notizia!
Dopo il caso del documentario sulle luci e le ombre di san Patrignano, trasmesso su Netflix, di nuovo un’altra ondata di giudizi categorici.
Lo ripeto: mai nascondere la verità. Mai voltarsi dall’altra parte di fronte ai documenti. Concordo totalmente.
Io stessa per anni mi sono rifiutata di andare lì, influenzata invincibilmente dal suo passato a da quel che ne leggevo e sapevo. Poi un giorno, decisi di andare. Dietro consiglio di una mia collega. Ed in seguito non ho più smesso di farci un salto ogni tanto. Lì, ho conosciuto il “presente“. Ho ascoltato le madri ed ho visto l’inferno dei figli trasformarsi in vita. Passando un sacco di tempo al tavolo con i ragazzi di san Patrignano, pian piano, sono riuscita a vivere in me quell’antico consiglio: “Guarda i frutti. Da lì capirai se l’albero è buono o totalmente da buttare”. Da sempre inguaribilmente attratta dall’idea che Dio sappia scrivere dritto anche sulle nostre righe storte, non ho potuto più dimenticare le parole di quella mamma che mi diceva: “Mio figlio, fosse stato per il Sert, ancora sarebbe stato per strada. Qui è rinato”.
In quel documentario si è parlato tanto (giustamente) delle righe storte, ma non si è raccontato quel che ora è venuto fuori da quello “stortume“.
Sarebbe bastato finire con almeno un paio di minuti di testimonianze dei ragazzi di San Patrignano di oggi. Sarebbe bastato.
Almeno un paio di minuti.
Una cosa è però chiara di tutta questa faccenda: l’incapacità dello Stato di prendersi a cura il mondo della tossicodipendenza. Allora come oggi. Perché io, il 26 dicembre scorso, ho passato un’ora al telefono con una mia carissima amica con la figlia tossica grave. Gli ultimi suoi cinque anni sono stati un vero inferno. Anche per quel senso di abbandono delle istituzioni preposte; bravissime sulla carta a parlare di empatia e accoglienza, fredde e inadempienti nella realtà.
Ma forse, per perdonare e perdonarci in continuazione…
Forse, per vedere le ombre senza cancellare le luci…
Forse, ci vuole una forza sovrumana.
Una Persona capace di dire, anche se messo in croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Solo una Persona così, è in grado di far dire a Tito:
“Io nel vedere quest’uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l’amore”
(da “Il testamento di Tito” di Fabrizio de Andrè)
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