Ogni volta che sono andata al Muro del Pianto, ho sempre pensato ad un racconto vero che conobbi tanto tempo fa.
Era un’estate difficilissima di circa vent’anni fa e stavo cercando di capire se la fede in Dio fosse un ingenuo ripiego per nutrire la nostra voglia di consolarci con le favole… oppure il Segreto della Vita che muove il sole, le stelle e le storie, abbracciando ed amando tutto e tutti.
Insomma: c’è Qualcuno che ci ascolta?
Illusione o realtà?
Ricordo che una sera una persona mi parlò di un libro che gli era piaciuto tanto, intitolato “Piccoli miracoli: coincidenze straordinarie di vite ordinarie”.
Le autrici erano due donne, entrambe figlie di due sopravvissuti agli orrori dell’Olocausto: Yitta Halberstam e Judith Leventhal.
Sin da bambine entrambe avevano ascoltato più e più volte i loro padri raccontare i piccoli e grandi miracoli che avevano salvato la loro vita; così in loro era nata l’idea di cercare altre testimonianze e raccoglierle in un libro.
Ne nacque uno scrigno colmo di eventi piccoli e grandi, quotidiani e straordinari, commoventi e appassionanti, che insegnavano a seguire l’intuito e ad ascoltare il proprio cuore.
La mattina dopo acquistai quel libro nella libreria lungo mare e lo divorai. Insieme a tanti altri libri, mi aiutò ad alzare sempre gli occhi verso il Cielo.
Come ha scritto Massimo Gramellini: “In fondo la mia vita è la storia dei tentativi che ho fatto di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo”.
Quando, poche settimane fa, ero avanti al Muro del Pianto, raccontai alle mie amiche d’avventura la storia che voi state per leggere.
E siccome questo libro non si trova più, credo che troverò il modo, man mano, di pubblicare tutte le sue storie. Che poi c’è solo un modo: mettersi con la santa pazienza scriverlo!
Nella copertina del libro si legge:
“Le coincidenze: avvenimenti casuali o fortuiti? La lunga mano di Dio? Espressioni della divina provvidenza? Comunque le si consideri, sostengono le autrici, le coincidenze sono sempre un’opportunità per cambiare, chiavi vitali per espandere la nostra consapevolezza. Questo libro, che raccoglie sessanta storie di coincidenze fuori dal comune capitate a gente qualunque, intende insegnare a riconoscerle e a ‘vederle’.
Intanto ringrazio la mia amica d’avventura che, senza farsi accorgere e con molta discrezione, mi ha fotografata nei luoghi che io tanto amo e mi ha mandato tutte le sue foto alla fine del viaggio.
Non sapevo…
Non mi ero mai accorta…
E’ stato il regalo più bello che avessi potuto ricevere.
Solo per questo post, pubblicherò una di queste foto.
Mentre toccavo quelle pietre, pensavo a tante persone ed ero follemente emozionata, anche (o forse “soprattutto”) per questo racconto di vita vera.
Buona lettura!
M.C.
“Era nato in una famiglia piuttosto agiata e – com’era in uso a quel tempo – all’età di diciannove anni decise di ribellarsi. Indossando l divisa di tela di jeans lacera e sbiadita della sua generazione, Joey Riklis lasciò il college e il lavoro, e annunciò al padre vedovo che sarebbe partito per l’India in cerca dell’“illuminazione”.
Da uomo sensibile e acuto qual era, suo padre, Adam Riklis, incassò il colpo con calma e senza scomporsi, dando ascolto agli amici che gli consigliavano di mostrare solo pazienza, tolleranza, amore. Joey si stava comportando “in modo normale per la sua età”, gli spiegarono e, ne erano sicuri, la tempesta sarebbe in breve passata. Così Adam disse al figlio che capiva il suo bisogno di essere indipendente e di cercare la propria identità, e che avrebbe accettato i grandi cambiamenti che stavano avvenendo nella sua vita con affetto e comprensione. Ma quando un giorno Joey gli rivelò di aver abbandonato la religione, suo padre non riuscì a controllarsi.
Adam era un superstite dell’Olocausto. Tutta la sua famiglia era stata uccisa dai nazisti; solo lui era sopravvissuto alle pene di tre campi di concentramento. Nello scoprire di essere l’unico rimasto in vita di tutta la famiglia, aveva giurato a se stesso che la religione per cui i suoi parenti erano morti non sarebbe morta dentro di lui. Molti dei sopravvissuti avevano preso la decisione opposta, abbandonando la religione della loro giovinezza per rabbia e per dolore, ma Adam vedeva le cose in modo del tutto differente. Distaccarsi dalla religione dei suoi parenti uccisi sarebbe stato né più né meno come tradire il ricordo delle loro vite…e delle loro morti.
A Cleveland, Adam aveva rispettato le tradizioni ebraiche, facendo diventare, giorno dopo giorno, i rituali religiosi del suo popolo parte integrante della vita di famiglia. Aveva mandato i suoi figli in una scuola ebraica, li aveva accompagnati in sinagoga regolarmente, aveva fatto in modo che si attenessero rigorosamente alla legge religiosa. Era orgoglioso di aver cresciuto dei ragazzi devoti che avrebbero portato avanti quell’eredità di famiglia. Ma ora suo figlio gli diceva che stava rifiutando proprio quel retaggio tanto importante, prendendosi gioco degli eventi luttuosi della loro famiglia. Adam avrebbe potuto sopportare qualsiasi altra cosa, ma non questo.
“Vattene!” gridò a Joey. “Vattene dalla mia casa e non tornare mai più! Non se più mio figlio. Ti caccio dal mio cuore, dalla mia anima, dalla mia vita. Non voglio vederti mai più!”
In India, Joey parlò con numerosi guru, in cerca di saggezza e di spiritualità, di risposte concrete agli elusivi misteri dell’esistenza. Durante i suoi viaggi incontrò Sarah, per molti versi la sua controparte femminile. Anche lei aveva abbandonato la religione ebraica e stava cercando un diverso sentiero spirituale. Entrambi erano certi di aver trovato l’“anima gemella”. Erano ormai insieme da sei anni quando, per caso, Joey incontrò un vecchio compagno di scuola di Cleveland, a un angolo di strada di Bombay.
Joey e Sammy si abbracciarono felici. “E’ incredibile!” esclamarono. Si stavano raccontando le rispettive avventure quando Sammy, con lo sguardo improvvisamente adombrato, disse: “Joey, mi è dispiaciuto moltissimo quando ho saputo di tuo padre”.
“Mio padre?” ripeté Joey stupidamente. “Che cosa vuoi dire?”
“Oh mio Dio, mi dispiace. E’ evidente che non lo sai ancora.”
“Cosa dovrei sapere?” chiese Joey, ora irrigidito dalla paura.
“Oh, Joey, tuo padre è morto un paio di mesi fa. Nessuno ti ha scritto per informarti?”
“Nessuno sapeva dove mi trovavo”, rispose Joey lentamente, ancora stordito dalla notizia. “Di cosa è morto?”
“Ha avuto un attacco di cuore.”
“Non è morto per un attacco di cuore”, disse Joey, gli occhi che gli si riempivano di lacrime, “ma perché aveva il cuore spezzato, ne sono sicuro. Ed era a causa mia. Ho ucciso mio padre.”
“Joey, non essere ridicolo”, mormorò Sarah, toccandogli affettuosamente una spalla. “Non hai niente a che fare con la morte di tuo padre!”
“Sarah, ti sbagli!”, ripose lui. “Ho tutto a che fare con la morte di mio padre!”
Per alcuni giorni, Joey visse perso in una sorta di stordimento, con la mente annebbiata dal dolore e dal rimorso. Non riusciva a liberarsi della soffocante certezza che fosse stato il dolore che aveva inflitto a suo padre a privarlo della vita. In un angolo della mente aveva continuato a sperare in una possibile riconciliazione tra di loro. In qualche modo era sempre stato sicuro che un giorno o l’altro si sarebbero ritrovati. Ora non avrebbe mai più potuto chiedere il perdono del padre, né essere accolto di nuovo nel caldo abbraccio del suo amore. Ora non avrebbe mai più potuto trovare la tranquillità, la pace di cui aveva così disperatamente bisogno.
“Sarah”, le disse scuotendo la testa sconsolato qualche tempo più tardi. “Non posso più continuare così. Per me l’India ha il sapore delle ceneri, ormai. So che ti sembrerà strano, ma sento di dover andare … in Israele.”
“In Israele!” esclamò lei sorpresa, arricciando il naso disgustata come solo qualcuno che si è ribellato alla religione può essere. “E perché mai dovresti andarci?”
“Ne sento il bisogno, Sarah. Non riesco a spiegarti, ma devo andare.”
“Va bene, allora andiamoci”, acconsentì lei, anche se contrariata.
Quando l’aereo atterrò, Joey si voltò verso la ragazza e le disse: “Voglio andare a pregare”.
“Sbaglio o stai diventano un po’ strano, Joey?” gli disse lei sarcastica.
“Sarah, per favore!”
“D’accordo”, si addolcì la giovane, “vuoi andare a pregare? Benissimo. Vuoi andare in una sinagoga?”
“No, voglio andare al Muro del Pianto. E’ tutto ciò che rimane del Primo e del Secondo Tempio: è considerato il luogo più santo di Gerusalemme. La gente crede che la presenza di Dio sia più forte lì che in qualsiasi altro luogo di Israele. E’ lì che si riuniscono le persone venute d tutto il mondo per parlare con Dio, per chiedere miracoli. Voglio andare a pregare per ottenere il perdono di mio padre.”
“Va bene”, sospirò Sarah, “andiamo. Ma devo dirti che non mi piace per niente la direzione che stai prendendo.”
“Sarah!” esclamò lui angosciato. “Perché non capisci?”
“Capisco anche troppo bene, Joey. Capisco che tu non sei lo stesso ragazzo che ho conosciuto in tutti questi anni. Un tempo ridevamo insieme di queste sciocchezze. E adesso vuoi andare a pregare davanti a un muro.”
“Ascolta, Sarah, sto soffrendo. Amavo mio padre. E’ morto. Ho la sensazione di averlo ucciso io. Perché stai cercando di rendermi le cose più difficili?”
Continuarono a discutere per circa un’ora, e alla fine decisero di lasciarsi. “Sarah, non so perché ci stia succedendo tutto questo”, disse Joey tristemente. “Credevo che fossi la mia anima gemella.”
“Lo sono”, rispose lei dolcemente, posandogli un tenero baci sulla guancia. “Ma le nostre anime, semplicemente, non sono più in sintonia. Addio, Joey.”
Avvicinandosi ai piedi del Muro, Joey guardava da lontano i gruppi di persone che attraversavano la piazza. Etiopi che indossavano copricapi africani, yemeniti in bianchi abiti tradizionali, americani con t-shirt e yarmulke. Erano venuti tutti a premere le labbra sulle pietre, a piangere calde lacrime e a rivolgere a Dio le lor suppliche.
Joey si avvicinò a un soldato, uno delle decine che vigilavano sulla folla. “Mi scusi”, chiese. “Dove posso trovare un libro di preghiere da queste parti?”
Senza dire una parola, il soldato gli indicò un rabbino barbuto, che stava distribuendo oggetti religiosi – yarmulke, libri di preghiere, sciarpe per le donne – ai nuovi fedeli.
Indossando uno yarmulke preso a prestito e stringendo un libro di preghiere, Joey si avvicinò al Muro. Guardò gli altri, imitò i loro movimenti, appoggiando la testa sulla pietra liscia del Muro, cercando di delimitarne una sezione con e braccia per creare un’atmosfera di intimità, e incominciò a pregare in silenzio. Aveva pensato che le parole delle preghiere gli sarebbero sembrate sconosciute dopo tutti quegli anni e che le avrebbe recitate goffamente, ma si accorse che sgorgavano da lui in un torrente familiare e confortante.
Chiuse gli occhi e ricordò l’intonazione che suo padre aveva usato per pronunciare quelle stesse parole, mentre con la memoria ritornava indietro, a reami diversi, al mondo della sua giovinezza.
“Oh, papà”, singhiozzò. “Come vorrei poterti chiedere perdono! Come vorrei poterti dire quanto ti amavo! Come vorrei non averti causato tutto quel dolore! Non volevo ferirti, papà. Stavo solo cercando di trovare a mia strada. Tu eri tutto per me. Vorrei poterti dire tutto questo.”
Quando ebbe finito di pregare, si voltò, indeciso su cosa fare. Vide che diverse persone attorno a lui stavano scrivendo biglietti che poi infilavano nelle crepe del Muro. Curioso di scoprire il significato di quel gesto, si avvicinò a un ragazzo e gli chiese: “Scusi, perché tutte quelle persone stanno mettendo pezzetti di carta nelle crepe del Muro?”
“Oh, sono le loro suppliche”, rispose il giovane, “e loro preghiere. Si crede che le pietre siano così sante che, alle richieste poste al loro interno verrà dedicata un’attenzione speciale.”
“Posso farlo anch’io?” chiese Joey, interessato.
“Certo! Sappia però che non è facile trovare una spaccatura ancora vuota ormai!” rise il ragazzo. “Da secoli gli ebrei vengono qui per rivolgere a Dio le loro preghiere.”
Joey scrisse: “Caro papà, ti prego di perdonarmi per il dolore che ti ho causato. Ti amavo moltissimo e non ti dimenticherò mai. E voglio che tu sappia che tutto ciò che mi hai insegnato non è andato sprecato. Non tradirò il ricordo delle morti della tua famiglia. Te lo prometto”.
Quando ebbe finito di scrivere, si mise in cerca di una crepa vuota. Il ragazzo non aveva esagerato. Tutte le spaccature del Muro erano piene, straripanti delle suppliche dei fedeli, e gli ci volle un’ora per trovare uno spazio libero. Ma quello spazio si rivelò non essere poi così vuoto. Quando infilò il biglietto nella spaccatura, accidentalmente ne fece scivolare all’esterno un atro che cadde a terra.
“Oh no, ho buttato fuori la supplica di qualcun altro”, pensò Joey, preoccupato, chiedendosi che cosa dovesse fare. Si chinò a raccoglierlo e, tenendo il biglietto arrotolato nel palmo della mano, incominciò a cercare un’altra fessura in cui inserirlo. Ma, sopraffatto dalla terribile curiosità di leggere le parole scritte dall’altro fedele, fece qualcosa di stranamente irrispettoso: aprì il biglietto per esaminarne il contenuto. E questo fu ciò che lesse:
“Caro Joey, figlio mio, se dovessi per caso venire in Israele e per miracolo trovassi questo biglietto, voglio che tu sappia questo: ti ho sempre amato, anche quando mi hai ferito, e non smetterò mai di amarti. Tu sei, e sarai sempre, il mio figlio adorato. E, Joey, sappi che ti perdono di tutto, e spero solo che tu saprai ricambiare il perdono di questo stupido vecchio”. Il biglietto era firmato: “Adam Riklis, Cleveland, Ohio”.
“Signore, si sente bene? Signore…signore…?”. Quella voce priva di corpo giunse da molto lontano e frantumò il sogno a occhi aperti di Joey. Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto lì, immobile, paralizzato dallo choc, a stringere il biglietto di suo padre tremando, le lacrime che gli scorrevano sul viso. Esitante, si voltò e vide il ragazzo che gli aveva insegnato come scrivere la sua supplica.
“Ascolti”, disse il giovane, ponendogli affettuosamente un braccio sulle spalle, “non deve per forza dirmi di sì, ma tra poco sarà sabato, il sole è quasi tramontato. Le piacerebbe passarlo con me?”
Tre anni più tardi Joey era tornato alla sua religione ed era uno studente rabbinico a tempo pieno. “Penso che sia ora per te di sposarti”, gli disse un giorno il rabbino capo. “Mia moglie ama trovare la persona giusta per tutti e sostiene di aver trovato la ragazza perfetta per te. Le ho raccontato di te e dice di essere convinta di aver trovato la tu anima gemella. Anche questa giovane, come te, è tornata al giudaismo dopo averlo abbandonato e studia alla scuola di mia moglie. Ti piacerebbe conoscerla? Vieni a cena a casa mia stasera.”
Quella sera Joey entrò in casa del rabbino e venne accompagnato nella sala. Là, seduta sul divano, non c’era atri che il suo vecchio amore, Sarah. Si fissarono, sconvolti, rapiti, e Sarah sbatté le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.
“Come … come è potuto succedere, Sarah?” chiese Joey sbalordito.
“Beh, dopo che ci siamo lasciati”, rispose lei, “ho incominciato a visitare Israele. -Ormai sono qui, tanto vale che visiti il paese prima di tornare in India-, mi sono detta. L’ho fatto e mio malgrado mi sono innamorata di questa terra, della sua gente e…della sua religione. Un giorno qualcuno mi ha raccontato di una fantastica scuola femminile, ed eccomi qui!”
“sarah, ho pensato così spesso a te in tutti questi anni …”
“Beh, immagino che le nostre anime siano di nuovo in sintonia adesso”, mormorò lei dolcemente e alzò gli occhi su di lui accogliendolo con un sorriso.