Etty.
Etty Hillesum.
Ebrea olandese. Passionale e appassionata.
Morirà ad Auschwitz il 30 novembre 1943 all’età di 27 anni; esattamente 30 mesi dopo aver iniziato a scrivere un diario.
Un Diario che aveva iniziato a scrivere su consiglio del suo grande amico, psicoterapeuta e poi anche amante Julius Spier (su Julius Spier, psicochirologo e allievo di Jung, ci sarebbe da scrivere tanto ma qui sorvolo).
Un Diario che per quasi quarant’anni nessuna Casa Editrice volle pubblicare (purtroppo!).
Un Diario in cui lei scriverà quel suo percorso di ricerca esistenziale intensissimo (doveva andar veloce chè la sua vita sarebbe stata stroncata di lì a poco) che le consentirà di scoprire un inedito rapporto con sé stessa, con Dio e con gli altri.
Un diario in cui annoterà tutte le tappe di questa sua trasformazione interiore.
Etty, personalità complessa, strapiena di passioni di carne e strapiena di ricerca di Cielo.
Una creatura di carne e di spirito che, con i suoi “alti e bassi”, con la sua lotta alla depressione e la sua voglia di vita, si metterà testardamente a scrutare l’orizzonte, alzando lo sguardo verso la Luce, mentre le tenebre scendevano sulla terra per scandire i giorni dell’attimo più buio della storia umana.
Oggi che siamo a due passi dall’ultimo dell’anno, vorrei condividere con voi il suo scritto del 31 dicembre 1941.
Erano già 18 mesi che le truppe tedesche avevano invaso la sua Olanda.
Il suo “maestro” Julius Spier si era già ammalato (morirà nove mesi dopo, il 15 settembre 1042).
Tutto stava precipitando molto velocemente.
Ma più il mondo cadeva, più Etty si alzava.
L’ultimo giorno dell’anno scriverà:
31 dicembre 1941, martedì
Adesso, nell’ultimo giorno dell’anno e nel primo del prossimo, mi vizierò con grande cognizione di causa: niente traduzioni, nessuna lezione da preparare, niente lettere da trascrivere, solo ancora un passetto avanti con la lettura dell’Idiota e poi ancora Jung.
A quanto pare, nel passato – mi sento sempre più in diritto di parlare di ‘passato’ – sembra si sia attuato in me un cambiamento che dura ancora: nei miei stati d’animo peggiori, nei momenti di depressione, avrei perso ogni contatto con l’altra me stessa. E questo adesso non accade più. Ora porto con me la mia tristezza e la mia gioia e ogni altra cosa: l’una non esclude più l’altra e così è anche nelle mie relazioni con gli altri.
Non devi mai più negare i tuoi momenti migliori durante quelli peggiori. La maggior parte delle persone è comunque infedele ai suoi momenti migliori. Se sai come assegnare il posto giusto nella tua vita anche al gelo del giorno, non resterai a lungo nel disincanto. Perché sai che anch’esso fa parte della vita…
Questa è anche una delle mie più recenti conquiste: che da ogni istante nasce un nuovo istante, che contiene nuove possibilità e che spesso, inaspettatamente, si rivela essere un nuovo dono. E che non si deve trattenere alcun momento di malessere né prolungarlo inutilmente, perché così facendo, si può ostacolare la nascita di un momento più ricco. E così la vita ti scorre dentro in una corrente ininterrotta, in un’unica grande successione di momenti, ognuno dei quali ha il suo posto nel giorno: insomma, non riesci a fare di meglio? Non posso proprio farci niente, non riesco ancora a esprimermi. Fermati. Abbi pazienza. E se non riesci a dirlo, qualcun altro lo farà per te, come Rilke, per esempio, o Beethoven. Ciao.
Le otto di sera
Ora sono quasi le otto e mezza di sera: l’ultima sera di un anno che è stato per me il più ricco e fruttuoso, e insieme il più felice di tutti. E se dovessi spiegare in una parola perché quest’anno è stato così buono… allora dovrei dire: per la mia grande presa di coscienza.
Il che significa anche poter disporre delle mie forze più profonde.
E pensare che una volta appartenevo anch’io a quella categoria di persone che di tanto in tanto pensano di se stesse: sì, in fondo io sono una persona religiosa. O qualcos’altro di positivo.
E ora mi capita d dovermi inginocchiare dii colpo davanti al mio letto, persino in una fredda notte d’inverno.
Ascoltarsi dentro.
Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s’innalza dentro.
E’ solo un inizio, me ne rendo conto. Ma non è più un inizio vacillante, ha le sue basi.
Mi sento così “normale” e così bene – senza quei pensieri terribilmente profondi e tormentosi e quei sentimenti pesanti -, proprio normalissima, però piena di vita e molto profonda, una profondità che sento pure come “normale.
Devo ancora ricordare l’insalata di salmone, che è pronta per stasera. E ora metto su l’acqua per il tè, la zia Hes sta facendo un golfino all’uncinetto e Pa Han si trastulla con una macchina fotografica – e perché no, poi? Che sia tra questi quattro muri o tra altri quattro, che importa? Tanto quel che conta è altrove.
Etty Hillesum