Filippo è biondo.
I suoi occhi sono chiari ed il suo viso ha una delicatezza angelica.
In classe è quasi sempre silenzioso.
Durante le spiegazioni non batte ciglio. E’ concentrato.
Esternamente è una specie di sfinge elegante. Apparentemente tranquillo. Riservatissimo.
Come si fa a non essere incuriositi da uno studente così?
Poi una notte, a mezzanotte e venti, mi arriva un suo messaggio.
E’ lungo.
E’ drammatico.
“Prof, le posso fare una domanda?
Lei immagini un ragazzino sempre vivace e sorridente.
Un giorno va al giardino con suo fratello… mezzora dopo però si risveglia in un ospedale. Il ragazzino, fortemente disorientato, chiede subito ai medici dove sia suo fratello. Chiede e chiede finché, finalmente, gli viene detto che suo fratello è al sicuro a casa della nonna.
A quel punto quel ragazzino scopre di essere stato investito da una macchina. Con l’impatto si era subito rotto la tibia ma, non bastando, si era procurato anche una microfrattura alla testa, con relativo trauma cranico. Tutto questo gli aveva fatto perdere la memoria e lui non si ricordava più niente dell’incidente. Più tardi scoprirà che l’avevano raccolto con il viso trasformato in una maschera di sangue, sia per l’impatto con il vetro dell’auto che per l’urto violento con l’asfalto, fatto dopo un terribile volo di 11 metri.
Dopo le analisi, lo portano in una camera. I genitori lo attendono in ansia. Cercano di parlargli. Ma lui niente. Non risponde. Tornerà a casa una settimana dopo.
Lì lo aspetterà un mese a letto, impossibilitato ad alzarsi a causa del gesso fino all’inguine. Però lui, in quel letto, non è solo. Nella sua testa si stava insinuando una voce. Un tormento. Una voce che esprimeva odio verso tutti e che gli diceva cose orribili.
Per un mese tutto questo!
Nel frattempo, dopo una settimana dal suo ritorno a casa, suo zio muore. Fu quello il fatto scatenate della rabbia, dell’odio e della voce nella sua testa. Il giorno prima dell’incidente infatti, quel ragazzo aveva promesso allo zio che lo avrebbe visto giocare a calcio. Suo zio ci teneva a vederlo e lui ci teneva a mantenere la promessa.
Invece… poi…
L’incidente per lui e la morte per lo zio.
Passano i mesi ma quel ragazzo pensa insistentemente a quella promessa mai mantenuta e a quei fatti drammatici. E ci pensa con l’aiuto terribile di quella voce nella sua testa.
La voce…
La voce…
La voce si insinua fino ad arrivare a dire al ragazzo che la morte dello zio è colpa sua, convincendolo che lo zio è morto per aver saputo dell’incidente. Uno shock terribile che lo sfinisce.
Prof, le racconto il resto dopo, perché ora mi tremano le mani…”
Leggo tutto questo e, in attesa della seconda parte, immagino quanto possa essere terribile diventare prigionieri di rimorsi irrazionali.
Dopo circa tre ore Filippo mi manda la seconda parte del messaggio.
“Un mese dopo, la frattura si scompose e i genitori furono costretti a portarlo al Policlinico dove una dottoressa, per togliergli il gesso, prende la gamba ingessata iniziando a scuoterla a destra e a sinistra mentre il ragazzo è in preda ad un dolore terribile.
Nel frattempo la voce gli dice cose orrende. Ma lui è determinato a non lasciarle il controllo della sua mente.
Il giorno dopo viene operato. I medici gli mettono dei ferri nella gamba. Questi ferri gli uscivano e gli procuravano dolore ad ogni movimento. Fitte dolorose.
Poi arrivò l’inizio della scuola. Un terribile inizio perché quel ragazzino veniva preso in giro da tutti. Questo fece diventare più potente ed insistente quella voce nella sua mente.
Ma c’era una ragazza che non lo prendeva in giro. Anzi. Gli stava vicino e lo aiutava. Pian piano si innamorarono l’uno dell’altro e si fidanzarono. Rimasero insieme tre mesi poi si lasciarono. Nel frattempo lui si tolse i ferri dalla gamba e ricominciò a giocare a calcio. Ma anche la voce ricominciò a torturarlo.
Quando fu lasciato dalla sua ragazza, lui tornò ad essere come era dopo l’incidente. Nessun sorriso. Sempre serio. Mai uno scherzo. Odio verso tutti.
Finita la scuola lui si rimise con lei ma questa volta, la sua drammatica seriosità lo teneva prigioniero ventiquattrore su ventiquattro. Si lasciarono di nuovo. Lei pianse due giorni. Chiese al ragazzo di riprovare a rimettersi insieme ma, niente da fare. Lui, benché innamorato, fu irremovibile nel suo “no”.
Sapeva che se avesse ceduto ad un “sì”, prima o poi si sarebbero rilasciati e lei avrebbe di nuovo sofferto. Quello è stato il momento che ha scatenato il caos nel suo mondo interiore. Nella sua mente, quella voce si faceva sempre più largo. La “voce” aveva sempre ragione.
Arriva ottobre con il primo anno delle superiori.
Quel ragazzo, spinto dalla passione del nonno, inizia a giocare a calcio. Portiere. Quel ruolo lo ama perché il nonno gli sta insegnando tutti i segreti di che sta a porta.
Quel nonno lui lo adora.
Sono unitissimi.
Il 23 ottobre il nonno viene ricoverato all’ospedale.
Ogni mattina, prima di andare a scuola, dalle 6.00 alle 7.30, il suo posto è accanto al letto del nonno, in ospedale.
Fino a quel giorno…
E’ il 31 ottobre. Dopo la scuola il ragazzo va dal nonno. Entra in reparto. Sente un pianto. Il cuore gli si blocca. Intuisce. Corre fino alla camera del nonno. Si ferma sulla porta. Gli sembra che è il suo cuore ad essersi fermato. Sente che sta per crollare. Ma c’è qualcosa che lo trattiene.
E’ la sua voce.
Gli sta rammentando un’altra promessa fatta al nonno, quel nonno che credeva in lui. Gli aveva promesso che lui avrebbe giocato nella Juventus, nella nazionale…
Perfino nella camera mortuaria, al suo orecchio destro, sottovoce, gli ripete quella promessa.
Al funerale non piange.
Sente sempre la voce che gli instilla odio.
E’ in questa situazione che, una settimana dopo, muore sua zia, la moglie di quello zio morto un anno prima. Booom! E’ un casino interiore. Quel giorno, dopo la partita di calcetto, quel ragazzo cade a terra. E’ solo. E’ buio. C’è il freddo autunnale intorno a lui. Chiude gli occhi e…vede. Ha una specie di visione. Li vede tutti e tre: lo zio, la zia ed il nonno…”
E’ a questo punto che Filippo cambia soggetto nel messaggio. Il ragazzo diventa lui stesso.
Finalmente.
Verso la fine del racconto ce l’ha fatta!
“Prof, era tutto buio ma loro tre erano circondati da una luce azzurra e bianca. Mi sorrisero senza parlare. Mi sorrisero senza parlare. Io ero paralizzato a terra. Guardavo estasiato. Dal mio occhio destro scese una lacrima. Una goccia di gioia per quel che stavo vedendo. Per la prima volta stavo provando qualcosa di diverso dall’odio e dal rancore!
Quella fu l’ultima volta che entrai in contatto con un sentimento diverso dall’astio e dal risentimento.”
Ma poi Filippo ritorna a parlare in terza persona.
“Da lì il ragazzo iniziò a soffrire di cali di pressione che continuano a verificarsi tuttora. Ma ormai riesce a controllarli e a nascondere gli affetti agli altri. Da quel giorno il ragazzo diede il controllo del suo corpo alla voce. Ora è lei che risponde al posto suo. Penso si ricordi quando, a San Patrignano, il ragazzo ci chiese cosa volevamo cambiare in noi. Ricorda che io risposi deciso che stavo bene così. Non ero io a rispondere ma la mia voce. Quella cosa che oramai fa parte di me.
Ora è passato del tempo da questi eventi.
Ripenso con rammarico a quella ragazza che ho lasciato. Ma oramai è troppo tardi per rimediare.
E qui prof, arriva la mia domanda: mi può aiutare a provare, solo per un’ultima volta, la felicità?
Mi può aiutare ad essere felice, veramente felice, per una volta?
Per favore, risponda appena può”
Caro Filippo, ho cercato un po’ dentro di me alcune cose sulla felicità che ho scoperto negli anni.
Però, ti avverto, le sto ancora inseguendo. Probabilmente questo inseguimento durerà fino all’ultimo mio respiro.
Ti metto qualche mia scoperta, ma non in ordine di importanza. In realtà, infatti, sono tutte correlate insieme.
- Ogni tanto ci fa bene smettere di cercare la felicità, per essere finalmente e semplicemente felici. Respiriamo. Camminiamo. Pensiamo, Ascoltiamo. Amiamo. Progettiamo. Leggiamo. Seminiamo…e cavolo! Facciamolo un sorriso come inno mattutino alla vita! Anche se non ci va, facciamolo. Anche i sorrisi sono fatti di volontà.
- Siamo maestri nel metterci sulle spalle fardelli troppo pesanti. Anzi; spesso diventiamo professionisti del perfezionismo. Avrei dovuto… avevo promesso… “Col sangue sulle mani scalerò tutte le vette. Voglio arrivare dove l’occhio umano si interrompe. Per imparare a perdonare tutte le mie colpe. Perché anche gli angeli, a volte, han paura della morte” (Torna a casa – Maneskin). Tranquillizziamoci! Nessuno ci chiede di essere perfetti. Chi ama, non cerca la perfezione. Né in se stesso e né negli altri.
- Anche tu, come me e come tutti, morirai. Ma… “Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore” (12 giugno 2005, discorso ai laureandi di Stanford, tenuto da Steve Jobs)
- La mente ha un grande potere: ci guarisce o ci ammala. Ciò che pensiamo, diventiamo. Non si può avere una vita positiva con i pensieri negativi. Per questo dobbiamo farci aiutare quando accade che pensieri distruttivi invadono il nostro mondo interiore. Facciamoci aiutare dalla musica, dalla natura, da un bel libro, da un animale, da un vero amico, da un adulto in gamba, da un medico che capisce la psiche, da una passeggiata all’aria aperta, dalla meditazione, dal sole, dal vento, dalla preghiera, dalla danza, dal canto… Siamo più potenti della negatività! “Questa mattina mentre in bici andavo lungo lo Stadionkade, restai incantata davanti al vasto orizzonte che si scopre alla periferia della città e respiravo l’aria fresca che fin qui non ci hanno ancora razionato. Dappertutto dei cartelli proibivano agli ebrei di prendere i sentieri che portavano in campagna. Ma sopra questo scampolo di strada che ancora ci resta, il cielo si stede in tutta la sua vastità. Non posso farci niente. Proprio niente. Possono renderci la vita molto dura, spogliarci di certi vebi materiali, toglierci una certa libertà di movmento tutto esteriore, ma siamo noi stessi che ci spogliamo delle nostre forze migliori con il nostro disastroso atteggiamento psicologico. Sentendoci perseguitati, umiliati, oppressi. Odiando. Digrignando i denti per nascondere la paura. Si ha pure il diritto di essere tristi o abbattuti, ogni tanto, per tutto quelloc he ci fanno patire: è umano e comprensibile. Ma la vera spoliazione ce la infliggiamo da noi. Trovo la vita tanto bella e mi sento così libera. Dentro di me si stendono cieli vasti come il firmamento. Credo in Dio e credo nell’uomo, oso dirlo senza falsa vergogna (…) Sono una donna felice e faccio le lodi di questa ita – per davvero! – nell’anno del Signore – ancora e sempre nel Signore – 1942, quarto della guerra” ((dal diario di Hetty Hillesum, una giovane ebrea morta ad Hauschwitz bel settembre 1942)
- ASCOLTA ogni suono degli accadimenti della tua vita. Tanto imparerai. ACCETTA il tuo passato, le tue paure, te stesso. Non aver paura di chiamare per nome i tuoi casini interiori e butta via ogni maschera! APPREZZA ogni cosa che ti accade, trasformando tutto in energia vitale. E’ così che si fanno avanti progetti, sogni, idee e relazioni con persone belle. AMA tutto. Quando si ama, si inizia un cammino fatto anche di delusioni, liti, nervosismi…ma l’amore è la forza più grande che c’è nell’universo. Per questo ci dà il potere di rialzarci sempre e ricominciare.
Trasforma la tua vita un mattino alla volta.
Mangia, prega, sorridi, sogna…inizia!
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