Se avessi mai commesso il peggiore dei crimini… (da una storia vera)

Lui si chiama Jacques Fesh e nasce il 6 aprile 1930 a Saint-Germainen-Laye.

Morirà il 1° ottobre 1957 a Parigi, a 27 anni, sulla ghigliottina.

Quel che avverrà nei suoi ultimi tre anni di vita in prigione, è un vero e proprio miracolo interiore.

Quella che state per conoscere è l’incredibile storia di Jacques Fesch!

E’ il mattino del 24 febbraio 1954 e Jacques entra in un negozio di cambiavalute a Parigi, di un certo Alessandro Silberstein in Rue Vivienne 39, chiedendo un notevole quantitativo d’oro. L’uomo si fida perché sa che quel giovane ha alle spalle una famiglia decisamente ricca, con un padre in grado di pagargli qualsiasi capriccio.

Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacques torna nel negozio per prelevare l’oro “prenotato” il mattino, ma approfitta di un momento di distrazione del cambiavalute, per colpirlo alla testa con il calcio della rivoltella. L’obiettivo è rubare.

Ma in un attimo accade il finimondo.

Il cambiavalute reagisce inaspettatamente con grande forza.

Grida come un pazzo.

Nella colluttazione Jacques si ferisce ad una mano e i suoi occhiali vanno distrutti.

Poi scappa!

La gente si raduna.

Jacques è alto, corre velocemente e riesce a distanziare tutti.

Raggiunge Rue Saint Marc, giunge al Boulevard des Italiens, dove scorge un caseggiato con la porta carraia aperta che immette in un cortile. Vi entra, attraversa il cortile, accede al palazzo, va all’ultimo piano e si nasconde nel terrazzo.

Intanto la gente lo cerca e a quella folla si unisce anche un gendarme che stava passando di lì.

Jacques, nel suo nascondiglio, aspetta un po’ di tempo. Poi si illude che tutto sia tornato calmo.

Allora si aggiusta i vestiti, ridiscende le scale e quando giunge al cortile cerca di attraversarlo.

Fa finta di niente.

Sembra che nessuno lo riconosca.

Ma quando sta per uscire dalla porta del cortile ecco uno che grida: “E’ lui!!!”

Panico!

Si sente braccato.

Il gendarme Georges Vergnes intima: “Mani in alto!”

Jacques, miope e senza occhiali, con la mano ferita, attraverso la tasca dell’impermeabile spara con la pistola di suo padre, presa la mattina a casa sua.

Lui è alto.

Il gendarme è basso.

Il colpo va dritto al cuore.

Il gendarme muore.

Jacques scappa come un pazzo.

Sa che l’uccisione di un gendarme, in Francia, prevede la pena di morte con la ghigliottina.

Lo rincorrono.

Lo prendono nella stazione Richelieu-Drouot della metropolitana,

La tragedia si è consumata.

Quel 24 febbraio 1954 la giornata di Jacques era iniziata con un suo sogno assurdo e termina nel buio angosciante di un carcere parigino.

Ma che sogno aveva?

 Prima di dirlo, dobbiamo capire com’era la sua famiglia.

I suoi genitori erano di origine belga e molto benestanti. Si erano trasferiti in Francia. Il padre, Georges, già direttore di un importante Istituto di Credito a Bruxelles, dirigeva a Saint-Germainen-Laye, presso Parigi, una banca belga per stranieri.

Il denaro che entrava nella famiglia Fesh era veramente tanto.

Il padre era ateo ed era una sua sfida personale trasmettere al figlio il suo ateismo.

E Jacques, effettivamente, segue le orme del padre.

A 21 anni sposa Pierrette Polack (solo civilmente) e i due vanno a vivere a Strasburgo, dove nasce la figlia Véronique. Ma dopo poco tempo abbandona la moglie e la bambina. Carattere difficile il nostro Jacques, aggravato dal fatto che non è abituato a nessun tipo di impegno.

Gli viene in mente di aprire una ditta di trasporto di carbone (anche per far concorrenza al suocero). La mamma gli mette a disposizione i soldi ma il suo ragazzo non ha mai lavorato seriamente e con spirito di sacrificio, così fallisce dopo poco tempo.

E allora ecco affacciarsi un altro sogno: comprare uno yacht per andare in Polinesia e viaggiare fra le isole del Pacifico.

Vuole scappare da tutto e da tutti! Da sua moglie, dalla sua bambina, dal suo lavoro, dalle sue inquietudini…

Ma per questo sogno occorrono due milioni di vecchi franchi.

Li chiede al padre, ma il genitore dice no”.

Un “no” arrivato troppo tardi, dal punto di vista educativo.

Jacques non è abituato a sentirsi dire dei “no”.

E’ un giovane sbandato con un carattere difficile.

E allora organizza una rapina.

La tragica conclusione la conosciamo: la cella della prigione di Parigi.

 

 

Nei tre anni successivi la giustizia farà il suo corso e il giovane, condannato a morte, verrà ghigliottinato il 1° ottobre 1957.

Molte e molto diverse, saranno le reazioni dell’opinione pubblica a questo «delitto di Stato».

Oggi infatti prevale l’idea che la giustizia francese abbia usato il caso Fesch per dare un esempio: l’impermeabile fu fatto sparire, i testimoni a favore di Jacques furono fatti tacere, tutte le donne della giuria furono escluse dal voto, alcuni poliziotti in borghese parteciparono al processo con spirito da claque, gli avvocati dell’accusa gridavano in aula all’assassino…

 Ma in quei tre anni di reclusione nella prigione de «La Santé», avviene una rivoluzione nel cuore di Jacques. 

Andiamo alla prima sera in carcere. Quel 24 febbraio 1954 Jacques si sente come una belva chiusa in gabbia. Il cappellano prova ad avvicinarsi ma lui gli dice infastidito ed aggressivo: Io non credo. Non ho la fede e non ho bisogno di lei!”

Nella sua vita tutto è crollato e Jacques non si capacita di trovarsi chiudo in prigione.

Pensa.

Ricorda minuto per minuto il suo ultimo giorno di libertà e si chiede disperato: “Ma come ho potuto fare quello che ho fatto?”

Intanto in molti gli riferiscono le feroci reazioni al suo delitto e gli domandano: Ma perché non ti sei fermato in tempo, prima che tutto precipitasse?”.

E Jacques risponde.

Piano piano inizia a rivedere la sua intera vita. Scriverà nel suo diario:

“Spesso mi hanno detto: ‘Avevi tutto per essere felice. Non si capisce come un ragazzo come te, di così buona famiglia, sia potuto giungere a tanto!’.

Quanto sono false queste spiegazioni!

Come se la risoluzione di commettere un atto criminoso non avesse radici più profonde!…Ciò che soprattutto mi ha incatenato a un certo modo di vedere le cose, è l’educazione che ho ricevuto. Non penso di dare prova di indiscrezione svelando quanto ormai è stato gridato ai quattro venti, e cioè che i miei genitori non andavano d’accordo. Ne risultava un ambiente familiare detestabile, fatto di urla nei momenti cruciali, e di disagio e di durezza dopo le crisi. Niente rispetto, niente amore!

Mio padre, un uomo a suo modo incantevole per gli estranei, aveva di fatto uno spirito sarcastico, orgoglioso e cinico. Ateo all’estremo, nonostante il suo successo professionale, provava disgusto per una vita che non gli aveva procurato che disinganni e delusioni… Fin dalla giovane età mi sono nutrito delle sue massime, né potevo di certo fare altrimenti”

Così alla domanda che gli fanno in continuazione: Perché non sei tornato indietro quando hai visto che la strada andava verso un precipizio?, lui, con sofferenza, risponde: Dove avrei potuto trovare la forza per una risoluzione così penosa per me? Nel cinismo, nel nichilismo che mi erano stati insegnati? E a quale scopo dovevo sacrificarmi, se pensavo che il caos finale tutto avrebbe inghiottito e che nulla è buono o cattivo in un mondo in cui soltanto le sensazioni hanno valore?Non in quel giorno sono divenuto criminale: è stato molto tempo prima. Non ho fatto altro che mettere in pratica quello che era in me allo stato latente, e perché se ne presentava l’occasione. Era inevitabile che, un anno o l’altro, avrei finito con lo sviarmi, a meno che nel frattempo non avessi trovato un ideale! Un niente avrebbe potuto salvarmi…”.

Il tempo passa e Jacques è chiuso nella sua cella.

Solo.

Con la sua disperazione.

Circa otto mesi dopo l’arresto, però, accade un fatto straordinario: qualcosa che rassomiglia all’esperienza di San Paolo sulla via di Damasco o all’esperienza di Sant’Agostino a Milano o all’esperienza del giovane Francesco d’Assisi nella chiesetta di San Damiano.

Ascoltiamo il racconto toccante dello stesso Jacques: “Era una sera, nella mia cella… Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo convinto… Ora, quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita con una intensità rara, per ciò che mi era stato rivelato riguardo a certe cose di famiglia (si stava sfasciando tutto!) ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello al soccorso: ‘Mon Dieu! Mon Dieu!’. E istantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia donde viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola”.

E in una lettera all’amico sacerdote Padre Thomas, precisa: “Ho creduto e non capivo più come facevo prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s’è impossessata di me e soprattutto una grande pace. Tutto è diventato chiaro in pochi istanti. Era una gioia sensibile fortissima…”

Da quel momento Jacques non si ribellerà più, perdonerà tutti e convertirà anche qualche detenuto.

Nei mesi seguenti, Gesù gli parla due volte e gli confida: «Ricevi le grazie della tua morte».

Jacques è accarezzato da Dio che lo inonda con la sua misericordia, ridandogli il dono più grande che si possa dare ad una creatura umana: la speranza.

Dio lo sta amando e proteggendo.

Tutti lo abbandonano ma Dio è lì.

Negli ultimi giorni di vita, con insistenza dice: Tra poco vedrò Gesù! Tra poco vedrò l’Amore!”

Durante l’ultima notte continua a ripetere: Tra poche ore vedrò Gesù!”.

E’ come una preghiera del cuore, sussurrata ininterrottamente nel buio di una cella.

Verso le tre del mattino Jacques bussa incessantemente alla porta e chiede la luce.

Nel carcere, infatti, dalle 22.00 si toglie la luce nelle celle dei detenuti.

Al mattino lo trovano in ginocchio, accanto al letto rifatto.

La sua cella è tutta in ordine.

E’ l’ultimo segnale del cambiamento profondo che era avvenuto in questo ragazzo. 

Nel settembre del 1957, nel suo ultimo mese di vita, Jacques scriverà tante lettere di addio. Commoventi!

In quella indirizzata a cappellano scriverà: “Io porto il vostro nome in cielo, scolpito nel mio cuore E quando il Signore mi permetterà di gettare uno sguardo sulla terra, io guarderò subito nella sua cella e chiederò al Signore ogni grazia per lei”. 

Di seguito, la lettera scritta da Jacques cinque ore prima dell’esecuzione capitale. Aveva 27 anni. 

“Ultimo giorno di lotta: domani a quest’ora sarò in Cielo. Il mio avvocato è appena venuto ad avvertirmi che l’esecuzione avrà luogo domani verso le 4 del mattino. Che la volontà del Signore sia fatta in ogni cosa! Confido nell’amore di Gesù e so che Egli comanderà ai suoi angeli di portarmi sulle loro mani. Che io muoia come vuole il Signore che io muoia. Sono sicuro che nella sua bontà Gesù mi donerà una morte da cristiano, affinché sino alla fine io possa rendergli testimonianza. Bisogna che io glorifichi il suo Nome, e so che io lo glorificherò. Devo fortificarmi la volontà; e perciò penso alla processione dei decapitati che onorarono la Chiesa. Sarei più debole di loro? Dio me ne guardi! Non mi si uccide per ciò che ho fatto, ma per servire di esempio e per ragione di stato! Ad imitazione di Gesù devo implorare il cielo che nessun peccato venga imputato a chi sia per causa mia. Or ora mi sembra che, qualunque cosa io faccia, mai il Paradiso sarebbe per me! È Satana che m’ispira questo; vuole scoraggiarmi. Mi sono gettato ai piedi di Maria e ora va un po’ meglio. Strana veglia di morte, però! 

Ecco, ho recitato la mia Messa di Nozze, unendomi con tutta l’anima a Pierrette, che ora è mia moglie in Dio. Reciterò il mio rosario e delle preghiere per i moribondi, poi affiderò la mia anima a Dio. Buon Gesù, aiutami!… Ho recitato le mie preghiere e sono inondato di pace e di forza’ Nel suo amore infinito Gesù ha ascoltato la mia preghiera e mi ha esaudito. Gesù, io ti amo!… Sono più tranquillo di un momento fa, perché Gesù mi ha promesso di portarmi subito in Paradiso, e che io morirò da cristiano. Che pace, che straordinaria lucidità di spirito! Mi sento leggero leggero e per il momento ogni timore è scartato. Non sono solo, ma il Padre mio è con me. Solo più cinque ore da vivere! Fra cinque ore vedrò Gesù! Quanto è buono nostro Signore. Non attende nemmeno l’eternità per ricompensare i suoi eletti. Mi attira con tutta dolcezza a Sé, donandomi questa pace che non è di questo mondo. Felice colui che ripone la sua fiducia nel Signore. Non sarà mai confuso!… La pace è svanita per dar posto all’angoscia! È orribile! Ho il cuore che salta nel petto. Santa Vergine, abbi pietà di me!…Santa Vergine, a me! Addio a tutti e che il Signore vi benedica! “

Il sigillo sul suo calvario e sulla sua resurrezione, lo metterà l’arcivescovo di Parigi che nel 1987 aprirà la causa di beatificazione. 

Grazie Dio della vita per quello che hai fatto nell’animo di Jacques.

Ora continua con noi.

 

 

 

 

 

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