“Come in una famiglia, i più deboli avevano le preferenze di Francesco. Quando i benefattori offrivano qualche vivanda speciale, Francesco la riservava completamente per i suoi ammalati, fosse o no giorno di digiuno. In questo caso, per evitare il problema di coscienza all’ammalato, mangiava per primo davanti a lui.
Non si creava scrupoli nell’andare per le case in tempo di quaresima a domandare carne per i malati, con la meraviglia della gente.
La fraternità stava al di sopra di tutto.
Fra Rizzerio era affetto, diremmo oggi, da alcune dosi di mania persecutoria. Apparteneva a quella classe di persone che, con facilità, intessono supposizioni gratuite: questo non mi vuole bene, quello mi guarda male, quell’altro mi ha negato il saluto o sta cospirando contro di me…
Il nostro fra Rizzerio si era fissato che Francesco non gli volesse più bene e che questo fosse un segno chiaro che Dio gli aveva ritirato il suo amore.
Quindi, come succede in questa classe di persone, viveva triste giorno e notte, cadendo sempre più nella depressione fino ad arrivare al limite del precipizio.
Quando Francesco lo seppe, chiese subito un biglietto e gli scrisse questa “lettera d’amore”.
“Figlio mio, non lasciarti turbare da nessuna tentazione; nessun pensiero ti tormenti, perché tu mi sei carissimo, e sappi che sei tra quelli a me più cari, e ben degno del mio affetto e della mia amicizia. Vieni da me quando vuoi, liberamente, come ad amico”.
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