«Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8, 28); una storia vera.

 La-Biblia-1Questa mattina, un biblista mi ha detto: Vai a leggere il cap.8 della lettera ai Romani. Cosa c’è scritto al versetto 28? Leggi.” Io ho letto a voce alta ma, appena iniziato, questo bravissimo sacerdote che io stimo molto per la sua preparazione e umiltà, mi ha ordinato sorridendo:  “Stop!” Io mi sono fermata immediatamente e l’ho guardato incuriosita.

Che è successo?

E lui mi ha spiegato entusiasta: “Ora la traduciamo meglio questa frase, eh! Che è ancora più bella!”. Mi ha detto di un termine al singolare…di una lingua greca originale…di una traduzione non sempre perfetta…

VEGLIA_DI_PREGHIERA_SULLA_PAROLA_DI_DIO_html_m6048f0dbInsomma, tra un greco e l’altro, ho capito una cosa bellissima. Quel versetto lo dovremmo leggere così: “Egli fa concorrere tutto al bene di coloro che lo amano”.

Egli! Dio!

Non “Tutto concorre al bene…” ma “Dio fa concorrere al bene…”

SOL

Magari qualcuno ora starà leggendo deluso perché si aspettava una novità più eclatante. Eppure a me, questa mattina, mi si è aperto un mondo! E’ come quando succede che, pur vedendo ogni mattina il sole, un giorno ti ci fissi e non credi ai tuoi occhi: siamo illuminati dal sole! Wow!

 

Tornata a casa mi sono messa a fare una ricerca sull’esegesi di questa pericope. Mi sentivo come una che, all’improvviso, voleva sapere tutto sul sole! E poi c’è il finale di quella frase: “di coloro che amano Dio». Non per chiunque, dunque, tutto Dio_ti_amaconcorre al bene, ma per coloro che amano Dio. Egli non ha per ciascuno di noi un amore generico ma un amore personale e speciale e fa concorrere tutte le cose al bene, in coloro che lo amano.

Wow!

«Tutto…».

Tutte le cose.

Con tutto quel che ci capita su questa terra, Dio deve stare ben attento a darci certe certezze. Lo teniamo d’occhio e siamo sempre lì, pronti a vedere se ci si può fidare di quel che dice, oppure no.

libretto_completo_prima_confessione_1_maggio_2010_html_m2a46d060“Tutto” vuol dire “tutto” a casa mia. Vuol dire che Dio si nasconde dietro tutti gli avvenimenti della mia vita: una particolare condizione di salute, un contrattempo, un cambiamento improvviso di programma imposto dalle circostanze, una prova morale improvvisa, una difficoltà di qualsiasi genere…

Tutto, per colui che ama Dio, anche le stesse mancanze della vita passata, acquista un significato positivo, perché in tutte queste circostanze egli sperimenta l’amore di Dio che vuole guidarlo verso la santità.

“Egli fa concorrere tutto al bene di coloro che lo amano”.

Si può però cogliere questa guida amorosa di Dio su di noi, in proporzione di quanto lo amiamo e cioè di quanto ci abbandoniamo a Lui, convinti che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e che la nostra salvezza e la nostra piena realizzazione cristiana passano attraverso strade che non sempre coincidono con le nostre.

pioggia_arcobalenoSe invece non ci fidiamo di Lui, non riusciremo a vedere e sperimentare l’amore di Dio che si nasconde dietro tutti gli avvenimenti. E occorre tener presente anche che credere all’amore di Dio non significa affidare a Lui fatalisticamente la soluzione dei nostri problemi, ma lottare per vincere la malattia, il dolore, l’ingiustizia, il male in tutte le sue forme.

Insomma: rimboccarsi le maniche ma affidare tutto a Lui.

Che contraddizione apparente di termini…eppure è lì il segreto della vita!

E mentre ragionavo su quanto la vita sia un percorso ad ostacoli e quanto sia difficile fidarsi di questa Parola, mi è capitato sotto gli occhi una testimonianza di una coppia. Una storia complessa come la vita ma con il lieto fine come la vuole Dio.

La voglio condividere con chiunque vorrà immergersi nella concreta bellezza di questa parola: “Egli fa concorrere tutto al bene di coloro che lo amano”.

DOPO TANTO, CE L’ABBIAMO FATTA

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Mary A volte mi sembra che la mia vita sia iniziata solo da poco tempo, invece che 31 anni or sono. In questi ultimi anni, il nostro matrimonio è sbocciato in qualche cosa di così bello che neppure i più grandi sforzi della mia immaginazione avrebbero potuto farne intravedere i risultati.

Sono nata in una meravigliosa famiglia, immersa nell’amore.

I miei genitori vivevano una vita matrimoniale nella gioia. Fratelli e sorelle mi avvolgevano di cure e di affetto. Da tutti loro ho imparato che l’amore è la base di tutto: da esso nasce l’accettazione degli altri, il perdono, il sapere che gli altri non sono perfetti, la bellezza di ricominciare di nuovo, il fatto che l’amore è donare, e perciò pienezza di gioia.

Una cosa di cui non mi ero accorta per molto tempo era quanto speciale fosse questa famiglia. Nella mia ingenuità, pensavo che la maggior parte delle famiglie fosse come la nostra e che tutti conoscessero l’amore. E stata questa ignoranza che mi ha impedito di capire come amare veramente.

Avevo 18 anni quando ho incontrato Bob; e quando ci sposammo, tre anni dopo, l’ho amato al massimo delle mie capacità. Riuscivo a vederlo come una persona speciale, allora, come ancora adesso; lo vedevo come un dono di Dio per me.

Ciò che non riuscivo a vedere erano le grandi ferite dentro di lui. Il suo passato era simile al mio, in superficie; e così pensai che lui vedesse il mondo come io lo vedevo. Non mi accorgevo che sotto la maschera con cui la sua famiglia si presentava al mondo, c’erano delle persone che si ferivano e che conoscevano soltanto amarezza, odio, risentimento; la cui abilità stava solo nel proteggere la propria immagine, e che si aspettavano solo sfruttamento e abuso. Non mi accorgevo che se delle persone non sono amate, non riescono a capire l’amore e non sanno come amare.

E quanto è avvenuto con Bob.

Fu così che, non conoscendo le ferite di Bob, io ne aggiungevo ancora delle altre. Le piccole cose che dicevo, non potevo che udirle con le mie orecchie, e non con le sue. Quando dicevo, per amore: «Grazie, per aver riparato l’armadio!», non mi accorgevo che lui in realtà mi sentiva dire: «Tu non sei buono ad altro che ad aggiustare armadi». Quando suggerivo l’idea di «andare a fare un picnic la domenica», non sapevo che per lui suonava: «Se non andiamo a fare un picnic domenica, io sarò di un tale malumore che rimpiangerai di essere rimasto a casa». Quando riuscivo a dire (con un grande sforzo di volontà!): «Ti chiedo scusa», quello che lui in realtà sentiva era: «So che tu sbagli e ti dimostro che sono migliore di te, perché uso tanta buona educazione».

Qualche volta mi chiedevo perché Bob volesse rimanere sposato ad una persona così poco piacevole come ero io ai suoi occhi.

Siccome non sapevo «farmi uno» con Bob e non mi rendevo conto della necessità di «essere uno» con lui, non sapevo come amarlo.

Col passare del tempo, Bob cominciò a reagire verso di me con violenza. All’inizio rimasi senza parole. Mi esaminai attentamente. Pensai che dovevo cambiare, che fossi io a provocarlo a picchiarmi. Così provai a modificare i miei atteggiamenti. Ogni volta cercavo di evitare il comportamento che potesse farlo irritare. Perdonavo. Ricominciavo di nuovo.

Ma la violenza continuava. Mi resi conto che non importava quanto cambiassi: fossi anche diventata la donna ideale, lui avrebbe sempre trovato il modo di picchiarmi. Passai un periodo di confusione immensa. Avevamo momenti di grande gioia, intervallati da momenti di critica amara e feroce su ogni punto del mio comportamento. C’erano periodi in cui l’armonia tra noi era, in realtà, una vernice per nascondere rapporti con altre donne. Abbiamo sperimentato momenti in cui un commento inconsiderato tramutava, all’istante, la tranquillità in una esplosione che lasciava entrambi esterrefatti. Giunsi al punto di dubitare della mia dignità, della mia sessualità e della mia saggezza.

Ma un giorno – quando pensavo proprio di aver raggiunto il più profondo della disperazione – avvenne un miracolo.

Ero andata a vedere se c’era posta nella cassetta delle lettere, giusto per fare qualcosa, un modo per superare un po’ di torpore, ma non aspettavo alcuna lettera.

Vi trovai la Parola di vita di quel mese.

Ricordo che quasi non la aprii. Stavo per gettarla via, ma non lo feci. Quelle parole veramente splendevano con una luce e una verità da togliere il respiro. Si stampavano nella mia anima e nel mio essere. Da allora, e ancora oggi, in ogni difficoltà e in ogni gioia, rimangono fortemente con me: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».

Nel momento in cui lessi quelle parole, per la prima volta capii che la sola cosa che dovevo fare era amare Dio. Capii che se volevo amarlo, Egli mi avrebbe mostrato come fare. Sapevo che non importa se il momento presente può sembrare decisamente disperato, Dio avrebbe tratto da esso il maggior bene. Ero sicura che il bene sarebbe venuto fuori, anche se io non me ne fossi resa conto o non avessi saputo coglierlo; o, addirittura, non ci fossi stata più per vederlo. Sentivo veramente tutto l’amore di Dio attraverso quelle parole: come se Egli le avesse dette per me, come fossero state pronunciate per la prima volta da tutta l’eternità, come se nel mio dolore Egli volesse raggiungermi, sostenermi e abbracciarmi fino a riempirmi e a farmi traboccare del suo amore. Cosi, ancora una volta ricominciai.

Ma questa volta era diverso: non era per abitudine o orgoglio, o perché pensassi che fosse la cosa migliore da farsi. Era perché amavo Lui. Cercai di lasciare andare le mie idee e di amare solo Lui. «Dimentica che le cose sembrano andare così male, lasciale risolvere a Dio», ripetevo a me stessa.

La mia parte era facile, dovevo solo amarlo. E mentre cercavo di essere fedele a questo proposito, cominciavo a vedere sempre meglio come comportarmi. Forse questo mio cambiamento toccò Bob, non so. Certo è che cinque mesi dopo partecipammo ad un incontro del Movimento dei Focolari che durava alcuni giorni.

Ero sorpresa che Bob volesse venire, dal momento che era sempre stato piuttosto prevenuto sul Movimento e i suoi ideali. A vederla da fuori, quella esperienza fu un triste fallimento, ma dal di dentro il nostro miracolo continuava. Un atto di violenza lì, tra tutto quell’amore, mi fece capire il modo in cui dovevo amare Bob. Finalmente mi ero resa conto che non era amore sostenere una situazione nella quale lui non sarebbe stato capace di cambiare. Capii che era orgoglio pensare che il mio amore lo avrebbe cambiato. Come una rivelazione, compresi che dovevo lasciare il controllo della mia vita a Dio. E cosi venne la grazia di dargli un ultimatum: «Se ci sarà un altro atto di violenza, ti lascerò!».

Nelle settimane seguenti penso che abbiamo cercato, quasi con forza bruta, di rompere quelle vecchie abitudini. La tensione era terribile, così pensai che noi – o forse io – avrei beneficiato di un breve periodo di riposo con i bambini, per recuperare un po’ di forze. Questo periodo mi fu un po’ d’aiuto, ma c’erano dei momenti in cui la sofferenza mi dilaniava. Aspettavo un altro bambino ed ero molto sciupata; finii in ospedale, lontano da casa. Mi chiedevo se stavo veramente facendo la volontà di Dio. Avevo il diritto di affrontare una sofferenza, se questa poteva toccare il nostro nascituro? Sembrava che non avessi abbastanza forza per dissipare questi dubbi, per non parlare di amare la croce, come ogni cristiano autentico, abbracciando «Gesù Abbandonato».

La luce della Parola di vita che mi aveva tanto aiutata, sembrava essere scomparsa; e talvolta pensavo di essere stupida a tenerla con me. Tuttavia, con fede ostinata nell’amore di Dio, mi aggrappai alla sua Parola: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio». Tornai a casa, ma poco dopo la violenza eruppe di nuovo. Così, mi preparai la valigia e lasciai la casa nuovamente.

Con l’aiuto di Dio, accettai la richiesta di Bob di lasciargli i nostri due bambini. Anche se ciò mi spezzava il cuore, sembrava chiaro che questa era la cosa migliore da fare. Sapevo che se amavo Dio e facevo quello che sembrava giusto, Lui si sarebbe preso cura di loro; sapevo che, se amavo Dio, quanto facevo era amore per loro.

Dopo la nascita del bambino, cercammo ancora una volta di ricominciare da capo. Prima di tornare a casa – e molte volte dopo – mi vennero dei dubbi se quella decisione fosse veramente saggia. Certamente la vita sarebbe stata più calma se fossi vissuta da sola. Avrei così potuto fare ciò che volevo e quando lo volevo. Non avrei dovuto preoccuparmi di sostenere Bob, o solo di vivere con lui mentre stava attraversando un difficile periodo in cui era in trattamento presso un consulente matrimoniale. Forse non sono Parole di vita ma parole di delusione: non avrei dovuto cambiare me stessa, niente tagli o potature; che tentazione meravigliosa quan­do si è stanchi o esauriti! Certamente, il prezzo che avrei potuto pagare sarebbe stato piccolo se paragonato a ciò che avrei ottenu­to. So quanto Dio mi ama perché mi provava, mi spingeva e mi pungolava dentro finché sono riuscita a tagliare tutte queste tenta­zioni e questi dubbi.

Rilessi quelle Parole con l’anima: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio». E così feci un altro grande salto dalla mia montagna di dubbi. Ricordo ancora come pensavo di essere stata una stupida a tornare in una situazione che aveva provocato tanta sofferenza. Il miracolo delle «mie» parole era ritornato e capii che quello che dovevo fare era solo dare il mio 100%; e se ciò costi­tuiva solo una frazione di quanto era necessario, Dio avrebbe fatto sicuramente il resto.

Così tornai a casa. Durante tutto questo periodo, tante perso­ne avevano pregato per noi e ci avevano voluto bene; e questo era stato il più grande dono per noi. Ciò ci diede anche la forza per fare tanti tagli e cambiamenti che non avrei mai pensato possibili.

Qualche volta mi lamentavo: «Sicuramente ci sarà un qualche altro modo in cui io posso amarti, Signore!». Ma Lui ci mostrava la via, e così pure ci dava la grazia. Alla fine, veramente compresi che cambiare non vuol dire togliersi una giacca per infilarne un’al­tra. Vedevo Bob mettere tutta la sua forza per farsi veramente a pezzi e quasi scalpellare via da sé quelle cose che erano «non amore», e che avevano radici profonde dentro di lui. Col suo esempio e col suo sostegno, io lavoravo – e ancora lavoro – a buttar giù le mie difese, ad aprire il mio cuore e a fidarmi. Ma queste barriere all’amo­re non sono solo pareti intorno a me. Dopo tutti questi anni di soffe­renze, esse sono parte di me. Ogni giorno, quando cerco di dire «sì» a Dio e di amare con tutto il mio cuore, in realtà sto offrendo di «ta­gliare la mia mano o di cavare il mio occhio». Non è una decisione facile, ma rende il dono che voglio fare a Lui molto più bello, e dona­re a qualcuno che si ama è sempre una grande gioia.

La lotta dentro di me per imparare di nuovo a fidarmi sem­brava non avere mai fine, non cambiare mai, non risolversi mai. Ma continuavo a cercare e pregare che mi si mostrasse il modo in cui poter aprire il mio cuore, e renderlo vulnerabile.

Passò altro tempo, e dei risultati medici mostrarono la neces­sità che io mi sottoponessi ad un intervento chirurgico. In ospeda­le, dopo l’operazione, nonostante l’amore incredibile e l’armonia che era cresciuta fra noi, avevo paura di tornare a casa. Mi accorgevo, forse per la prima volta nella mia vita, che non avevo nulla: non riserve di energia, nulla su cui poggiarmi se le cose fossero andate male, nessun modo di aiutare Bob che era stanco e sciupato per aver sostenuto la famiglia durante la mia assenza. Ero proprio vuo­ta, non avevo nulla. Dovevo tornare a casa ed avevo paura. «Ama solo Dio»: la mia Parola di vita veniva a sostenermi. Così, nel mio cuore affiorò l’offerta: «Se lo vuoi Tu, lo voglio anch’io; e con nulla e con la pace andrò a casa». Il centuplo venne ad inondare il mio cuore. Le difese e le barriere contro la fiducia che io avevo mante­nute fra di noi, e contro le quali avevo combattuto per così tanto tempo, crollarono, furono spazzate via lasciando spazio ad un tale fiorire d’amore come mai avrei pensato. E nell’unione mi è rima­sta la convinzione profonda di aver toccato con mano che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».

 

Bob  Sono cresciuto in un’atmosfera di violenza e di rab­bia. I miei genitori spesso discutevano e si minacciavano a vicen­da. Qualcosa mancava nella mia famiglia, qualcosa che talvolta avevo notato in altre famiglie: la pace e la gioia che generano l’armonia.

Dopo qualche mio scoppio di violenza, mentre ero ancora ado­lescente, l’atmosfera a casa sembrava migliorare. Ma purtroppo non era così. Ero soltanto io che mi stavo costruendo un muro di pro­tezione attorno per non essere ferito o non sentirmi escluso.

Durante gli anni passati a scuola, sentivo parlare di Dio e di quanto Lui ci ama; eppure, io vivevo una vita di miseria e di sof­ferenza. Poiché non avevo imparato ad amare o a fidarmi, comin­ciai a dubitare dell’esistenza di Dio. Diversamente, perché io e la mia famiglia dovevamo soffrire tanto?

Quando terminai gli studi, c’era dentro di me tanta rabbia e risentimento che, insieme ad un senso di fallimento, fece di me una persona amareggiata, egoista e inconsiderata, preoccupata solo di sé e del proprio benessere, senza alcun riguardo per gli altri.

Ho incontrato Mary quando avevo poco più di 20 anni. Era una persona come mai ne avevo incontrate prima e che sembrava veramente interessata a me. Un giorno mi invitò ad andare a Mes­sa con lei. Era la prima volta che ci andavo nella mia vita e la pri­ma volta, dopo tanti anni, che entravo in una chiesa.

A poco a poco, ho cominciato ad andare a Messa con lei più o meno regolarmente e col passare del tempo ho sentito il bisogno di diventare un membro attivo della mia parrocchia: cosa che feci verso la fine di quell’anno.

Fu cosi’ che la mia vita cominciò a cambiare senza che me ne accorgessi. Il cambiamento fu tale che, ancora oggi, me ne ricordo con stupore. Mi sentivo attratto da Mary ed i suoi mi accettarono con amore, come se io facessi parte della loro famiglia. Era tanto diverso da ciò che avevo sperimentato a casa mia.

Poco tempo dopo che ci siamo sposati, ho cominciato ad av­vertire che Mary mi criticava e cercava di erodere il mio modo di vivere; allo stesso tempo, mi sosteneva e mi aiutava. E così’, a volte, sentivo dentro di me come se ci fossero due persone: una arrabbiata, aggressiva e spesso violenta, attenta a non essere rifiutata e usata; l’altra, desiderosa di amore e di essere amata e che cercava di diventare libera, senza sapere realmente come fare.

Poiché diventavo sempre più furioso e frustrato, per il tumul­to che c’era dentro di me, divenni violento con Mary. Non imma­ginavo neppure lontanamente che i miei problemi venissero dal di dentro di me, invece che da Mary.

La mia vita proseguiva fra momenti di estrema bellezza e pe­riodi di rabbia e di amarezza. Mary continuava a cercare di amar­mi e di cambiare se stessa, quasi che i nostri problemi derivassero da lei piuttosto che da me. Io ero d’accordo con lei nel pensare che i nostri problemi erano i suoi problemi, e non i miei. Anche se sentivo un senso di rimorso e di colpa dopo ogni atto di violen­za, mi giustificavo sempre pensando cbe ero stato spinto oltre i miei limiti prima di aver reagito così.

Circa quattro anni fa, Mary ha sentito di voler provare a vivere la Parola di vita, ma solo se io ero contento di ciò. Dissi di sì, non perché avessi il desiderio di fare lo stesso, ma piuttosto per farla con­tenta. Secondo il mio modo di pensare, a quel tempo, l’unico modo di migliorarsi era quello di farlo ognuno da se stesso, perché ognuno di noi è una persona unica. Invece, la Parola di vita cominciava a cau­sare un profondo turbamento dentro di me, mentre un gran numero di sensazioni dolorose si manifestavano in superficie; gradualmente e lentamente provavo a vivere la Parola di vita e mi accorgevo di non essere stato l’unico a sentirmi solo nella vita. Comunque, continuavo a tenermi ad una certa distanza dal Movimento.

Nel 1985, siamo andati ad un suo incontro. Sapevo che Mary lo desiderava da molto tempo, ma io avevo sempre resistito rite­nendo che potesse esercitare un’altra tensione negativa sul nostro matrimonio. Alla fine di esso, siamo tornati con impressioni diver­se. Io cominciavo a scoprire chi ero veramente e cosa volevo dalla vita; e capivo anche che si può vivere in armonia, attraverso l’a­more reciproco. Mary, dal canto suo, aveva capito che il nostro ma­trimonio non andava bene.

Con mia sofferenza, durante questo periodo ci eravamo rivol­ti ad un consultorio matrimoniale. Mary mi aveva anche dato un ultimatum: se ci fosse stato ancora qualche atto di violenza, sareb­be andata via da casa. Cosi, poco tempo dopo, lei e i due bambini sono andati via. In questa situazione, ebbi molto tempo per pensa­re e divenni ancora più convinto che lei immaginava dei problemi che non c’erano. Solo più tardi, mi resi conto che invece erano reali allorché divennero quasi un trauma.

Mary si ammalò mentre era via e dovette essere ricoverata in ospedale. Aspettava il nostro terzo bambino e per la prima volta nella mia vita mi trovai ad essere preoccupato per qualcuno che non fossi io stesso. Dopo circa un mese, Mary e i bambini torna­rono a casa e per due settimane tutto sembrò andare bene. Però, ancora una volta, ridivenni violento. Mary capì che non poteva an­dare avanti cercando di mettere amore nella nostra situazione, specialmente dopo che ogni assicurazione che le avevo dato veniva regolarmente meno.

Così, per la seconda volta fu costretta ad andare via da casa. Ma questa volta riuscii a farmi lasciare i bambini, con la scusa che la sua salute non era buona abbastanza per poterli accudire.

Fino a che avevo i bambini con me, sentivo che avevo in ma­no la situazione della famiglia e che, col passare del tempo, Mary avrebbe capito l’errore del suo modo di fare.

Dopo qualche giorno che stavo da solo con i bambini, Mike, il fratello di Mary, mi chiese se volevo un po’ di compagnia. Mi sentivo solo, come mai mi ero sentito nella mia vita. E fu cosi che in un senso concreto la Parola di vita entrò nella mia esistenza. Mike venne a stare con me e i bambini. Durante la sua permanen­za, man mano che le situazioni si presentavano, mi aiutava a ve­derle nel contesto della Parola di vita. Mi parlò di Chiara Lubich e di come lei aveva capito che, se noi ci sforziamo di vivere la Pa­rola, grandi cambiamenti possono verificarsi nella nostra vita, co­me testimoniava la sua, quella delle sue compagne e l’esperienza di tutto il Movimento.

Una sera, dopo aver parlato a lungo, sentii il bisogno di fare qualcosa per salvare il mio matrimonio e di chiedere l’aiuto di un professionista per chiarire la confusione dentro di me. Dissi la co­sa a Mike e insieme cercammo di vivere la Parola di vita del mese:

«Se Dio è con noi, chi può essere contro di noi?». La speranza ci fa capaci di superare qualunque ostacolo, se ci poggiamo sul fatto che Dio ci ama. Qualunque cosa io facevo da me stesso non fun­zionava, così pensai di non aver nulla da perdere se avessi vera­mente cercato di vivere la Parola di vita. Scoprii che non tutto di me era senza amore, ma solo una parte.

Durante il tempo che Mike stette a casa nostra, lui fu un esem­pio di come essere amore per tutti, fino al punto di dimenticare le sue personali sofferenze, dal momento che neppure lui stava be­ne in salute.

Per la prima volta capii cosa voleva dire essere amato e quella. che era stata amicizia cominciò a crescere come carità che conti­nua a crescere man mano che io imparo ad amare. Questo fu l’inizio.

Mi resi conto attraverso l’amore di tanti nel Movimento, per­sone che conoscevo e altre che non conoscevo e che pregavano per me e per Mary, che una delle cause della mia rabbia, frustrazione e certamente violenza, era il mio non sapere come amare.

Cominciavo ad apprezzare come la Parola di vita stava com­piendo un cambiamento in me, cioè come la parte negativa di me stava per staccarsi permettendo cosi alla parte positiva di venir fuori.

Mary e io abbiamo cominciato una nuova vita, in cui la Paro­la ha una parte assai importante; come dire, il progetto su cui cre­scere e amare.

Recentemente, abbiamo vissuto la più grande esperienza della nostra vita. Lei è stata sottoposta ad un intervento chirurgico per rimuovere un tumore alla base del cervello. Mentre un anno fa mi sarei disperato per questa nuova prova, adesso mi accorgevo che questa sofferenza ci faceva crescere nell’amore e nell’unità. Non so­lo, ma che essa sarebbe stata un dono tanto grande se fossimo riu­sciti ad abbracciarla.

Quella mattina andai presto a Messa e uscii dalla chiesa con un senso di pace e di certezza che Gesù sarebbe stato con me in quel giorno. Durante la giornata, infatti, mentre Mary veniva ope­rata, ho avuto la comprensione più diretta che Dio ci amava, e sem­pre più forte si va facendo in me la certezza che lo Spirito Santo farà di me una persona nuova.

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