Dio ci vuole felici, a dispetto di noi stessi

“Grazie Cri per i tuoi consigli. Non riesco a metterne in pratica nessuno X ora ma, anche se arrivano solo virtualmente, mi aiutano.

In teoria, sappiamo già tutto… In pratica non li realizziamo

Però Dio c’è e la sua proposta per la nostra vita è la gioia: a dispetto di noi stessi!

 

Cara Donatella, mi hai sgamato!

Io scrivo agli altri, ma parlo a me stessa.

Consiglio gli altri, ma sto porgendo la mano a me stessa.

Io sto viaggiando esattamente sul tuo stesso treno e lo vedo anche abbastanza affollato.

Non siamo sole. Non siamo le uniche.

Tutti, infatti, sappiamo bene qual è la cosa migliore da fare, ma poi facciamo l’opposto. Siamo in tanti a vincere la medaglia della contraddizione vivente”.

Ogni mattina diamo il benvenuto alle ventiquattrore che ci aspettano, ma con lo sguardo rivolto all’indietro verso il passato. C’è sempre questo doloroso torcicollo che ci perseguita.

Camminiamo da una parte e ci volgiamo dall’altra.

In teoria sappiamo…ma poi non realizziamo.

Amiamo…ma poi litighiamo.

Avanziamo…ma poi barcolliamo.

Guariamo…ma poi ci feriamo.

La verità è che noi siamo benedetti nella nostra fragilità.

Dio l’ha vista.

La vede.

E non si ritrae da noi. Non si scandalizza come noi.

Per tranquillizzarci, basterebbe leggere la Bibbia e tutto quel che hanno combinato i nostri fratelli nella fede prima di noi. Se Dio non li ha  mai abbandonati, un motivo ci sarà. Forse è proprio vero che ci ama tanto. Forse è proprio vero che noi siamo preziosi ai suoi occhi, a prescindere.

Forse è vero che possiamo permetterci di voler bene a tutto ciò che ci sfiora e a tutto ciò che siamo, perché anche Dio fa così.

Siamo benedetti nella nostra umana vulnerabilità.

“O Signore, fammi conoscere la mia fine e quale sia la misura dei miei giorni. Fa’ ch’io sappia quanto sono fragile” (Salmo 39:4).

Non dobbiamo vergognarci della nostra pochezza, perché probabilmente è proprio quella che aumenta la tenerezza di Dio nei nostri confronti.

Un po’ come quando vediamo un bimbo piccolo imbrattarsi tutto mentre tenta di imparare a mangiare da solo. Noi adulti sorridiamo sereni perché ci concentriamo sul suo tentativo del bambino di imparare, più che sul suo bavaglino sporco.

Sono i nostri continui tentativi di nutrirci per bene e per il bene che ci rendono figli della Luce.

Non siamo sempre all’altezza della situazione, ma possiamo restare sereni con Dio. Lui non ragiona come gli uomini e non ama come se fosse una creatura.

E’ il Creatore.

Lo sa che siamo gracili. Siamo fiori delicati a cui basta un colpo di vento per spezzarsi.

Qualche volta ci spezziamo sotto le folate della superbia e qualche volta ci spezziamo sotto le raffiche dell’amarezza.

I sensi di colpa, la mancanza di fede, l’arroganza fiera, la sicurezza economica, l’insicurezza interiore, la bellezza ostentata, la paura dell’altro, la gelosia feroce, lo scoraggiamento autodistruttivo, l’amore elemosinato, l’egoismo radicato… i colpi di vento che staccano i nostri petali, possono avere i colori di tutte le emozioni del mondo.

E Dio le conosce tutte.

Vorremmo mangiar bene senza sporcare il nostro bavaglino…

Vorremmo ergerci nel prato senza tentennare sotto i colpi di vento…

Vorremmo essere guerrieri senza macchia e senza paura…

Vorremmo acciuffare un po’ di perfezione, per sentirci di meritare un po’ di bene in cambio.

Ma non funziona così nella vita.

Siamo amati gratis e Dio ci vuole felici, a dispetto di noi stessi.

L’unica strada è provare ogni giorno a guardarci con gli occhi di Dio.

“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28).

“Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Matteo 9:36).

La fatica di riuscire a guardarci con gli occhi di Dio, la facciamo tutti.

L’ha fatta persino san Francesco.

Leggi questo bellissimo racconto. E’ tratto dal libro “Nei luoghi di Francesco per incontrare Dio”.

Leggiamo e rassereniamoci.

Dio non ci vuole col torcicollo, rivolti all’indietro.

Ci vuole tutti felici, a dispetto di noi stessi.

 

“Buon giorno, buona gente!”.

È l’estate del 1208 e Francesco d’Assisi entra nel borgo poverissimo di Poggio Bustone, salutando così i suoi abitanti.

San Francesco ha circa 26 anni e la memoria del suo passato giovanile, fatto di tanti errori e di molta voglia di potere, è ancora lì sulle sue spalle. Il senso di colpa ancora lo afferra e lo fa star male. Quel giovane ragazzo assisano sta sperimentando la fatica di sentirsi un perdonato. Ogni persona, infatti, ha nel suo profondo regioni inesplorate e quasi inespugnabili, dove elementi antagonisti si fanno guerra in una perenne e contraddittoria fusione e Francesco è tristemente immerse proprio in questa lotta.

Proprio lui, che conosceva bene il mistero dell’Eterna Misericordia di Dio e che aveva ricevuto nella sua anima ondate benefiche di consolazioni e grazie, dubita.

Lui, che aveva sperimentato l’infinita pietà dell’Altissimo, si convince che il cumulo dei suoi peccati è troppo grande per la misericordia di Dio.

Nell’anima di Francesco affiorano, dalle regioni ignote al piano di coscienza, frange sconosciute che gli fanno credere che il perdono, per lui, non potrà esserci.

Ciò che sapeva prima, ora non lo sentiva più.

Per questo, arrivato a Poggio Bustone, oltrepassa il paesetto e continua a salire fino a mille metri di altezza dove trova una grotta.

Tutto intorno c’è desolazione assoluta e aspra e quello è decisamente il luogo ideale per il combattimento che Francesco dovrà fare.

Vale assolutamente la pena inerpicarsi sul sentiero che conduce fino a quell’eremo; luogo solitario, immerso in una natura che somiglia ancora a quella che Francesco vide e amò. È circondato da boschi verdeggiati e apre lo sguardo su un panorama che ha del mistico!

Qui Francesco, alla fine della sua lotta spirituale, ebbe la visione che gli confermò il perdono per i peccati giovanili.

Povero Francesco; anche lui, benché santo, fu un uomo ferito dal suo passato; proprio come capita a tanti di noi! Dovette intervenire Dio stesso per guarirlo.

Bonaventura racconterà: “un giorno mentre, ritirato in un angolo solitario, Francesco piangeva ripensando con amarezza al suo passato, si sentì pervaso dalla gioia dello Spirito Santo, da cui ebbe l’assicurazione che gli erano rimessi tutti i peccati. Rapito fuori di sé e sommerso totalmente in una luce meravigliosa che dilatava gli orizzonti del suo spirito, vide con perfetta lucidità l ’avvenire suo e dei suoi figli. Dopo l ’estasi ritornò dai fratelli e disse loro: “siate forti, carissimi, e rallegratevi nel Signore”. (da Leggenda Maggiore – Vita di san Francesco d ’Assisi di San Bonaventura da Bagnoregio)

Il Celano, dopo la narrazione di questo episodio, scriverà: “Quando finalmente si dileguarono quella soavità e quella luce, spiritualmente rinnovato, sembrava essersi trasformato in un altro uomo”. (da Vita prima di san Francesco d ’Assisi di Tommaso da Celano)

Dio stesso era entrato nelle ferite della sua anima, guarendole con il balsamo delle sue parole: “Povero Francesco, perché ti preoccupi? Io Sono. Io sono l’aurora senza tramonto, sono il presente e il passato. Io sono l’eternità. Sono l’immensità. Sonosenza contorni e senza frontiere. Io Sono. Io posso tutto: dalla fredda pietra tiro fuori figli palpitanti; in un istante rimetto in piedi generazioni sepolte. Francesco, figlio di Assisi, credi in me; spera in me. Fa il salto, Francesco, vieni verso di me. Ti manca solamente di metterti nelle mie mani. Il resto lo farò io. Io sarò il tuo riposo e la tua fortezza, sarò la tua sicurezza e la tua gioia, la tua tenerezza, sarò tuo padre e tua madre. Io sono la Misericordia!”

 

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