Questo volo è iniziato tanto tempo fa

Questo volo è iniziato un po’ di anni fa. ❤
Io me la ricordo quando faceva il primo anno delle superiori.
Bella e impossibile da sopportare.
Era arrabbiata col mondo intero.
Con i suoi capelli lunghi ed il suo sguardo da cerbiatta, sembrava un fiore delicato in balìa dei pesi della vita.
Ed in effetti la vita aveva picchiato duro su di lei.
Ma dopo un po’, a scuola abbiamo iniziato a capire che dietro tutta quell’aggressività che si scatenava con troppa facilità, c’era una vita personale difficilissima.
A quel punto l’avevamo scoperta ed il suo gioco aveva iniziato a perdere forza.
Si era smorzato.
Ci sono voluti anni.
Non è stato facile.
Ma pian piano, Sara (la chiamerò così) ha iniziato prima a chiedere aiuto e poi a sorridere sempre più spesso.
Insieme ai sorrisi, mischiava le lacrime.
Non è stato facile.
Ma almeno comunicava.
Con le parole, con gli occhi e con i messaggi.
Infine, dopo circa tre anni di cammino, ha iniziato ad andar finalmente bene a scuola.
Quest’anno?
Quest’anno va BENISSIMO!!!
Sorride alla vita (anche se avrebbe potuto voltarle le spalle) e ringrazia tutti noi che abbiamo fatto il tifo per lei (anche se dovrebbe ringraziare per primo lei stessa).
E ieri mattina il finale.
Lei aveva un grande desiderio: finire il percorso scolastico con un passaggio fatto “alla grande” (più di questo non posso dire per non entrare nella sua privacy).
Noi insegnanti l’abbiamo incoraggiata ed aiutata in tutti i modi, ma poi…
Poi è arrivato l’alt!
E’ arrivato dall’elefantiaca burocrazia e dal timbro insensibile di un ufficio.
Ma a questo punto si è mossa la grinta della scuola in cui insegno.
Come una madre agguerrita, non si è arresa.
E mentre la ragazza aveva l’animo accasciato al suolo per la delusione insopportabile di quell’”ALT“, la scuola si muoveva.
Ha usato il telefono, gli scritti, le spiegazioni, la grinta, il cuore, l’amore e la testardaggine.
Ieri mattina, mentre Sara non vedeva più il suo futuro a causa di quell'”ALT” e le sue parole erano solo colorate di nero, la scuola attendeva la risposta all’ulteriore sua insistenza.
Ed è stato allora che è accaduto.
Avevo un’ora buca ed ero uscita per fare fotografie.
C’era un cielo che mi piaceva.
Mentre scattavo foto mi sono fermata: ero affascinata da un volo di uccelli che mi raccontava libertà ed entusiasmo.
Mi volavano intorno.
Scendevano.
Si rialzavano in volo.
Si avvicinavano di nuovo.
Riprendevano quota.
Io scattavo foto e sentivo che quel volo mi stava dicendo qualcosa.
In quell’istante ho sentito un “E che palle!” detto con tutto il cuore.
Mi volto.
Era la mia collega che aveva messo per giorni la sua anima nel cercare di portare a buon fine il sogno di Sara.
Stava parlando a telefono.
Ci incrociamo.
Lei sorride nel vedermi.
Io pure.
Mi fa capire che è al telefono per regalare a Sara il lieto fine sulla sua vicenda.
Io continuo a fotografare mentre la mia grintosa collega si allontana stando al telefono con un’altra persona che ha preso a cuore il futuro di Sara.
Io guardo quel volo e mi sembra così di buon auspicio.
Sara piange.
Tutta la scuola combatte.
E nel cielo c’è un volo armonico e testardo.
Passa pochissimo tempo ed arriva il messaggio: “Ce l’abbiamo fatta! La richiesta per Sara è stata accettata!”
La collega ci manda questa immagine di Mafalda per annunciarcelo.
La felicità?
E’ vedere una giovane donna volare alto!
Buon viaggio Sara!❤

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Le ragazzine si sposavano a 12 anni e andavano nei campi a coltivare cipolle, adesso il 100% frequenta le lezioni

Non mi dite che non ha un bello sguardo questo ragazzo!????❤
Si chiama Ranjit Disale, è un maestro elementare indiano ed è il miglior insegnante del mondo.
Forse la prima cosa che si vede di un insegnante veramente bravo, è lo sguardo.
Da lì, poi, parte tutto!
E’ uno sguardo che sa vedere inevitabilmente nel futuro.
Se si ferma al presente, è fregato in partenza.
Ma questo, chi non lo sa?
Però c’è un particolare di una frase di Ranjit che mi ha colpita: “Gli insegnanti sono i veri creatori del cambiamento che stanno cambiando la vita dei loro studenti con un misto di GESSO e SFIDE”
IL GESSO.
Uno dei miei colleghi più geniali con cui abbia avuto l’onore di lavorare, mi lasciava tutta la lavagna intrisa di appunti di gesso. Qualche volta arrivava a scrivere fino alla cornice in legno della lavagna.
Ci ridevamo tutti. Lui anche!
IL GESSO.
Chi ci pensa più?
Eppure il richiamo di Ranjit al gesso mi ha riportata alla memora la scuola di un tempo. Umile. Poco attrezzata. Eppure con maestri armati di gesso e di passione.
Chiarisco subito: non sono contro la tecnologia.
La uso e mi piace farlo.
Ma è che quel richiamo al “gesso” è pieno di forza educativa!
Ci racconta che la vera potenza della scuola non sta tanto nella tecnologia (che va bene, certamente, se usata in contesti e con metodologie adeguate) quanto nella genialità educativa del “far lezione”.
Un misto di ascolti, domande, curiosità provocate, emozioni condivise, voglia di imparare, entusiasmo nel provare senza paura di sbagliare…
LE SFIDE.
Ranjit racconta: «Le ragazzine si sposavano a 12 anni e andavano nei campi a coltivare cipolle, adesso qui il 100% frequenta le lezioni».
Lui ha 32 anni ed insegna in una scuola elementare del Maharashtra, in India.
SI INSEGNA CON LA PAROLA, MA CON L’ESEMPIO DI PIU’.
E migliore lezione non poteva arrivare da Ranjit che ha voluto condividere metà del suo premio con gli altri insegnanti finalisti.
Soldi.
Cash.
Tanti.
La metà di un milione di dollari.
A tanto, infatti, ammonta la somma che gli spetta, in quanto vincitore del Global Teacher Prize, una sorta di Oscar per il migliore professore del pianeta organizzato dalla Varkey Foundation di Londra con l’Unesco.
Soldi da investire in progetti didattici.
Ha detto: “Credo che insieme possiamo cambiare questo mondo perché la condivisione sta crescendo”.
LA SUA SFIDA PERSONALE
Ranjit ha raccontato: «Dovevo diventare ingegnere ma mi bullizzavano perché ho la pelle scura… La scuola all’inizio è stata un ripiego»
Così arrivò a Zilla Parishad Primary School di Paritewadi, Solapur, nello Stato indiano del Maharashtra, nel 2009.
Giovanissimo.
Aveva solo 22 anni.
Quando arrivò trovò solo un piccolo edificio “fatiscente, una via di mezzo tra una stalla e un deposito”. Ogni mattina doveva fare i conti con aule disastrate e con vite sull’orlo del fallimento.
Lui sistemò l’aula, riuscì ad garantire che tutti gli scolari avessero libri di testo nella loro lingua locale e inventò un sistema educativo che, utilizzando il codice QR permette agli studenti di accedere a poesie, racconti, video letture e compiti.
DA GESSI E SFIDE E’ NATO UN NUOVO SISTEMA EDUCATIVO.
Oggi il sistema di Disale è stato adottato dal ministro dell’istruzione del Maharashtra per tutti gli istituti dello stato, poi dal ministero centrale dello Sviluppo delle risorse umane, che, nel 2018, ha inserito il QR in tutti i libri di testo del NCERT, il Consiglio nazionale per la ricerca e la formazione educativa del Paese.
Disale è anche autore del progetto “Let’s Cross the Borders”(“Attraversiamo le frontiere”) che ha già fatto interagire su una piattaforma internet 19mila studenti di Paesi tra loro in conflitto, come India e Pakistan, Palestina e Israele, Iraq e Iran, Stati Uniti e Corea del Nord.
NON “IO” MA “NOI
Tra i nove finalisti c’è anche un italiano: Carlo Mazzone, docente di ICT e informatica dell’Istituto Tecnico ITI “G.B.B. Lucarelli” di Benevento. Dedicherà i 55mila dollari ai suoi progetti educativi. Ha detto: “Un gesto così grande mostra al mondo cos’è un individuo esemplare e altruistico come Ranjit. Non potrebbe esserci modello migliore per gli insegnanti. Nell’anno del Covid, che ha sottoposto a sfide inimmaginabili la scuola di tutto il mondo, Ranjit è un simbolo splendente dell’incredibile lavoro che fanno gli insegnanti. Ecco perché io e gli altri finalisti siamo così orgogliosi di chiamarlo nostro amico. Grazie Ranjit”.
A Loppiano, la cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, papa Francesco ha detto: «Portate la spiritualità del noi» Per spiegare in cosa consiste, Francesco ha raccontato un aneddoto a braccio: «Un prete ha fatto a me questo test: ‘Mi dica, padre, qual è il contrario dell’io? E io sono caduto nel tranello: ‘tu’. No, il contrario di ogni individualismo è il ‘noi’. È questa spiritualità del noi quella che voi dovete portare avanti, che ci salva dall’interesse egoistico…Non è un fatto solo spirituale, ma una realtà concreta con formidabili conseguenze, se la viviamo e ne decliniamo con autenticità e coraggio le diverse dimensioni – a livello sociale, culturale, politico, economico».

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A Davide, il mio alunno innamorato

“Come state ragazzi? Fatemi vedere se siete belli come nel 2020!!! E come va il vostro mondo interiore? State cercando la felicità?”

E’ la prima ora: praticamente il momento in cui devi fare iniezioni di buonumore e grinta mattutina, pur di svegliarli. Anche a costo di dire battute sceme in DAD. 

La parola d’ordine è: sorridere e sdrammatizzare l’impatto delle 8.10 con la prof e lo schermo.

“Siete felici? O vorreste sbattere la testa sul muro ché non ne potete più di stare a casa?”

I ragazzi ridono.

Io pure.

Oooh. Abbiamo abbattuto sul nascere il muro del suono lamentoso.

Davide (lo chiamerò così) invece, oltre a ridere, risponde. Davide: un viso dolce con atteggiamenti estremamente delicati. Mi rimase impresso nelle prime settimane del primo anno delle superiori, per quel suo modo sensibile di fare e per quel suo linguaggio forbito nell’esprimersi.

Un giorno mi mandò un vocale mentre ero alla mia decima chemio. Lo ascoltai mentre l’infermiera stava iniettandomi Taxolo a volontà ed anche lei rimase stupita.

“Ma chi è?”

“E’ un mio alunno fantastico” le risposi.

Vabbè: poi vidi il video della classe intera che mi augurava buon cammino, e mi si sciolsero le cataratte.

Ma torniamo alla questione principale: Davide e la felicità. “Prof, io lo so cosa è la felicità”

“Davideee! Allora sei felice? Ma quanto sono contenta! In questo mondo di lamento perenne, tu sei la mia luce stamattina!”

Doppiamente felice. Non posso dimenticare, infatti, lo sguardo drammaticamente triste di Davide, nei primi due mesi di scuola. “Che succede? Che c’è?” Ma anche per una persona con una spiccata intelligenza introspettiva come Davide, era difficile trovare l’alfabeto giusto per spiegare il dramma dell’angoscia interiore. A volte essere sensibili ed intelligenti insieme, è un boomerang. Davide aveva cercato di farci capire. Noi avevamo tentato di aiutarlo. Ma “se bastasse una bella canzone”, cantava Ramazzotti.

Poi ricordo l’ultima lezione insieme, prima del lockdown. Lui, il mio assistente di fiducia al pc ed io al Registro Elettronico. Gli stavo dicendo cosa caricare sulla Lim per la lezione, quando mi uscì quel “Come stai?” quasi per caso. Anzi, proprio non volevo chiederglielo per non farlo trovare in quella tediosa situazione di dover decidere se essere falso (“va meglio”) e così tagliare ogni possibile ulteriore domanda, o essere crudo (“va male”) e lasciar entrare quella malinconica frustrazione che ribadisce che la cacciata della depressione non è cosa facile. Invece quel giorno lui mi stupì con effetti speciali. “Bene prof, Sto bene. Anzi, direi senza alcun dubbio: benissimo!!!” Alzai lo sguardo dal Registro Elettronico per indagare sulla veridicità della sua risposta. Non c’erano dubbi: Davide era chiaramente felice. Gli occhi gli brillavano. Continua a leggere A Davide, il mio alunno innamorato

Il pianto di Nedo Fiano

IN RICORDO DI NEDO FIANO, GIUNTO IN CIELO

Lo ricordo bene quel pranzo alla “Taverna da Ivo” del 9 gennaio 2006. Ero con Nedo Fiano, la moglie ed un cameriere gentile che ci stava elencando i piatti del giorno.

Nedo sorrideva e sceglieva. Io mi sentivo una privilegiata della vita ad averlo accanto e poter sentire ancora altre sue testimonianze.

Poi, improvvisamente, tutto è cambiato. Ricordo il cameriere allontanarsi e Nedo scoppiare a piangere.

Così.

Dal nulla.

Un pianto disperato, fatto di lacrime che emergevano da un dolore sovrumano quanto antico.

Io ero senza parole e senza spiegazioni.

Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.

Un attimo prima tutto era rosa ed un attimo dopo tutto era nero.

Ricordo che la moglie gli strinse teneramente la mano ed a me, con un tono delicatissimo fatto di parole sussurrate, mi disse: “Non si preoccupi professoressa. Nedo fa quasi sempre così dopo un incontro nelle scuole. Ricordare è un dolore enorme per lui. Ma lo fa perché i ragazzi devono sapere!”

Quel pianto improvviso mi insegnò più di mille racconti sull’olocausto.

Poi si ricompose, si asciugò le lacrime, la vita riprese il suo colore rosa e la sera, a cena a casa mia, tutto era tornato sereno.

Ma andiamo indietro di qualche mese. Andiamo al settembre 2005 e, precisamente, ad una lezione con una domanda precisa di un mio studente: “Lei prof che cosa ne pensa dei negazionisti? Di quelli che dicono che la Shoah non è avvenuta o che, comunque, non è stata così grave come ce la raccontano?” Continua a leggere Il pianto di Nedo Fiano

Vincent…c’è!

“Ma secondo voi, perché a Vincent piaceva tanto vedere il cielo stellato? E perché tante persone ne sono attratte?” 
 
I ragazzi sullo schermo del mio pc pensano.
Poi interviene Matteo.
Silenzioso spesso.
Vivace quanto basta.
Curioso su (quasi) tutto.
Testardo con il suo provocatorio atteggiamento da apparente menefreghista.

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Il Logos nasce sul bordo degli inferi

Classe prima (avete presente quei quattordicenni che non s’augurano a nessuno?)
Rublëv (avete presente quel sommo iconista russo che in pochi conoscono?)
Natività (avete presente quella durissima tenzone tra Luce e Tenebre che abbiamo quasi tutti superficialmente riassunto in un semplice dolce evento?)
DAD (avete presente quelle lezioni fatte al pc che ora, però, chiamiamo DID perché ci piace più la parola “integrata” che “distanza”?) ????
Ecco.
Ci siamo.

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Il tumore al seno dal punto di vista dei figli

7 ottobre 2020. Prime lezioni dell’anno. Voglia di ri-conoscerci dopo mesi di Didattica a Distanza e vacanze estive.

“Qual è il tuo colore preferito Anna?”

“Celeste prof, perché mi ricorda il cielo”

“Ed a chi somigli di più?”

“Alla mia mamma… ho i suoi stessi occhi…ed io…ecco…”

Improvvisamente, senza nessun apparente motivo, Anna inizia a piangere a dirotto davanti a tutti. Non riesce a trattenersi.

Vorremmo abbracciarla ma…il Covid… però le sue amiche la guardano con occhi che trasmettono amore intenso. Anna si soffia il naso ma non riesce a smettere di gettare delicatissime lacrime sulla sua maglietta.

La classe è in rispettosissimo silenzio e le regala tutto il tempo per calmarsi. Molti hanno gli occhi lucidi. Alcuni piangono.

Prof, è che…è che mia madre ha un tumore al seno ed ora sta facendo la chemio ed io ho tanta paura!” dice tutto d’un fiato Anna ed io l’abbraccio più che posso con lo sguardo.

Non è la prima volta che mi capita una situazione simile. Continua a leggere Il tumore al seno dal punto di vista dei figli

Vivere la vita per intensità e non per lunghezza

“Facciamo così: vi do un minuto di tempo per trovare un oggetto che rappresenti voi in questo periodo di quarantena e poi vi darò un altro minuto per spiegarlo.
Un minuto senza pause, senza domande da parte mia, senza interruzioni, senza giudizi. Sarà il vostro minuto! 

La Didattica a Distanza ci obbliga ad inventare modi nuovi per “sfruttare” il nostro entrare nelle case dei nostri ragazzi.
Vedo i miei alunni allontanarsi velocemente dalla telecamera per cercare l’oggetto.
Io, al microfono, cronometro il minuto.
Sessanta, cinquantanove, cinquattotto…
Tre, due, uno…stoooppp!!!
Ed eccoli tutti tornare avanti alla telecamera.
“Chi inizia ragazzi?”
Loro sanno quello che sto chiedendo loro, perché poco prima abbiamo visto due minuti del film “Una settimana da Dio”.
I due minuti in cui il protagonista Bruce, dopo una settimana vissuta con i poteri di Dio, ritorna da Lui con la coda tra le gambe. In una settimana era riuscito a combinare i peggio casini.
Il primo giorno era entusiasta all’idea…
L’ultimo giorno era angosciato per quello che aveva combinato e le conseguenze che aveva provocato.
E’ in quel momento che Dio (alias Morgan Freeman) gli mette un braccio sulle spalle e, come un padre paziente, gli spiega. Continua a leggere Vivere la vita per intensità e non per lunghezza

UNA SETTIMANA SENZA CELLULARE: UN GRUPPO DI STUDENTI L’HANNO FATTO PERCHE’…

COME TUTTO EBBE INIZIO: “Ragazzi, visto che quest’anno stiamo facendo il progetto “A scuola di libertà” e visto che stiamo parlando delle tante forme di dipendenza, perché non facciamo un esperimento sociale? Vi propongo di fare a meno del cellulare per una settimana. C’è qualcuno che vorrebbe mettersi alla prova?”

Tutto è iniziato così. Con la semplice curiosità di scoprire quanti avrebbero aderito sul serio.

All’inizio erano una ventina. Poi, ad una settimana dall’inizio, sono diventati una decina.

Dato interessantissimo: a quanto pare sopravvivere senza cellulare per sette giorni ha bisogno di una grande determinazione. Ma prima di continuare, vorrei chiarire che nessuno di noi ha mai avuto l’obiettivo di demonizzare telefono o tecnologia. Però volevamo toccare con mano quanto siamo immersi in un bisogno ossessivo dello smartphone.

LE REGOLE: i cellulari sarebbero stati chiusi dentro una scatola sigillata, messa poi dentro la cassaforte della scuola. Nella settimana dell’esperimento, nessuno avrebbe dovuto utilizzare un cellulare od un pc per collegarsi con qualche social (WhatsApp, Facebook, Instagram, Twitter …). Ammesso solo il telefono fisso per chiamate urgenti. Se qualcuno non ce la faceva più, avrebbe potuto richiedere indietro il proprio cellulare, in qualsiasi momento.

TERZO GIORNO SENZA CELLULARE: è successo un fatto strano: i ragazzi mi hanno chiesto dei libri da leggere! Per passare il tempo in cui erano soliti trastullarsi sui cellulari, mi hanno chiesto dei libri! Continua a leggere UNA SETTIMANA SENZA CELLULARE: UN GRUPPO DI STUDENTI L’HANNO FATTO PERCHE’…

Un essere umano è una creatura estetica prima ancora che etica

VENTO DI LEGALITA’…

Lui parla e tutta l’aula magna del Morea è in silenziosa concentrazione.

Lui si commuove, si ferma, ed i 400 ragazzi che lo stanno ascoltando, lo applaudono per incoraggiarlo.

Lui si muove sul palco, gesticola e coinvolge e gli studenti ridono divertiti.

E’ la mattina del 28 aprile 2018 ed io penso: “Ma Angelo Langè riuscirà davvero a farsi seguire da tutti questi ragazzi, per tre ore?

 

 

Ma ora vi racconto tutto dall’inizio.

Torniamo ad un anno fa.

 

Alzi la mano chi sa cosa è Legal@rte.

La prima volta che sentii questo nome, incuriosita, andai a visitarne il sito (http://legalarte.it/ ).

Mi intrigava la parola legalità fusa con la parola arte.

 

Mi rammentava quel famoso dialogo pronunciato da Peppino Impastato nel film “I 100 passi” con il suo amico Salvo (per la cronaca, dialogo mai avvenuto nella realtà ma voluto dai tre sceneggiatori del film Claudio Fava, Marco Tullio Giordana e Monica Zapelli).

 

PEPPINO: Sai cosa penso?
SALVO : Cosa?
PEPPINO: Che questa pista in fondo non è brutta. Anzi
SALVO [ride]: Ma che dici?!
PEPPINO: Vista così, dall’alto … [guardandosi intorno] uno sale qua e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre … che è ancora più forte dell’uomo. Invece non è così. .. in fondo le cose, anche le peggiori, una volta fatte … poi trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere! Fanno ‘ste case schifose, con le finestre di alluminio, i balconcini … mi segui?
SALVO:
Ti sto seguendo
PEPPINO:… Senza intonaco, i muri di mattoni vivi … la gente ci va ad abitare, ci mette le tendine, i gerani, la biancheria appesa, la televisione … e dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste … nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggerla la bellezza …
SALVO: E allora?
PEPPINO: E allora forse più che la politica, la lotta di classe, la coscienza e tutte ‘ste fesserie … bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza. Insegnargli a riconoscerla. A difenderla. Capisci?
SALVO: ( perplesso) La bellezza…
PEPPINOSì, la bellezza. È importante la bellezza. Da quella scende giù tutto il resto.
SALVO: Oh, ti sei innamorato anche tu, come tuo fratello?
A conclusione del dialogo:
PEPPINO: Io la invidio questa normalità. Io non ci riuscirei ad essere così
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