Guai a dimenticare le anime salve della nostra Italia 

È il primo luglio 1989 e un ragazzo sta facendo il baciamano alla sua sposa.
Sono felici.
Lo sposo è Antonino (Nino) Agostino.
Lui non lo sa, ma ha solo pochi giorni di vita.
Lui, lei ed il bimbo in grembo.
Moriranno tutti e tre il 5 agosto.
Ammazzati dalla mafia.
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Fai bei sogni!

Tutto è nato così: da una mia amica che insegna alle medie inferiori di una città che qui non preciso, che mi ha riferito che quando ha detto ai suoi alunni di terza media quel semplice: “Avete sentito che è stato arrestato un importante mafioso?” si è sentita rispondere altrettanto semplicemente: “Che figo!”

Così questa settimana, a scuola, con i miei studenti (anch’essi cresciuti a pane e Gomorra), abbiamo fatto insieme una riflessione.
Siamo partito proprio dall’ABC.

Ma che significa la parola “peccato”? Abbiamo fatto una passeggiata nel sentiero che mi attrae tanto da sempre: l’etimologia ebraica (una lingua molto concreta e poetica nei suoi significati).
“Peccato” ha la sua radice in khaw-taw che significa “mancare, sbagliare il bersaglio (parlando di un arciere) o inciampare”.

E così abbiamo fatto il parallelismo tra due arcieri: Matteo Messina Denaro e fra Biagio Conte.
Entrambi siciliani.

30 anni di fuga e latitanza da una parte.
30 anni di Missione e Speranza dall’altra.

Una vita sterile come un albero secco, che ha creato morte e solitudine da una parte.
Una vita feconda come un albero rigoglioso che ha donato bene e guarigione dall’altra.
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Grazie Paolo!

“Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva, il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere. Mi conforta oggi possedere tre preziosi gioielli: Lucia, Manfredi, Fiammetta; simboli di saggezza, purezza, amore, posseggono quell’amore che tu hai saputo spargere attorno a te, caro Paolo, diventando immortale. Hai lasciato una bella eredità, oggi raccolta dai ragazzi di tutta Italia; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud – non siamo soli. Continua a leggere Grazie Paolo!

Storia vera di un amore

Il 23 maggio 1992 Francesca Morvillo non morì subito.
Un attimo prima era accanto al suo Giovanni, in auto.
Un attimo dopo era morente in ospedale.
Morì intorno alle 23,00 e le sue ultime parole furono: “Dov’è Giovanni?”
Il magistrato Francesca Laura Morvillo nasce a Palermo il 14 dicembre 1945.
Suo padre è sostituto procuratore, suo fratello entra in magistratura ed anche nelle sue vene scorre la voglia di giustizia.
Francesca entra in magistratura il 10 marzo 1971 come giudice del Tribunale di Agrigento. Dopo pochi anni viene nominata sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo.
E’ bravissima (e lo dicono tutti), si impegna con grande passione senza contare ore o sacrifici ma, soprattutto, è seriamente impegnata nella difesa dei minori. E’ in questo campo che molto spesso conosce ragazzi provenienti da famiglie mafiose.
Arriva il 1979 e ad una cena a casa di amici conosce Giovanni Falcone. Lui è arrivato nel capoluogo siciliano da un anno, con un matrimonio alle spalle con la moglie Rita. I due si innamorano perdutamente uno dell’altro.
Francesca è l’unica donna che comprende perfettamente i sacrifici e la passione per la giustizia del suo Giovanni. Solo lei riesce a supportare quell’uomo, sopportando la vita blindata che li attende.
Arriva la scorta, arriva la paura, arriva la lotta alla mafia fatta fino all’ultima goccia di vita.

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Felicia Bartolotta: la madre che aveva vene piene di dolore, coraggio ed amore!

Si chiamava Felicia. Felicia Bartolotta.
Era nata in una famiglia che aveva qualche appezzamento di terra, coltivato ad agrumi e ulivi. Una vita semplice. Il padre era impiegato al Comune e la madre casalinga.
Nel 1947 Felicia si sposa con Luigi Impastato.
Luigi proveniva invece da una famiglia di piccoli allevatori, ma legati alla mafia del paese.
Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe, detto Peppino e nel 1953 arriva il secondogenito Giovanni.
Luigi Impastato aveva una sorella sposata con il capomafia del paese: Cesare Manzella. Nel 1963 il cognato verrà ucciso nella sua auto imbottita di tritolo.
Booom!
Quel boato esploderà ed esploderà tante volte nella mente di Peppino, un adolescente di quindici anni pieno di domande e di voglia di capire. Già da tempo aveva iniziato a riflettere sui dialoghi sentiti tra il padre e lo zio.
Felicia racconterà che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora!».
Piano piano Peppino scoprirà che l’ingiustizia e la violenza passavano vicino casa sua. Dentro casa sua!
Felicia è una donna intelligente e l’affiatamento con il marito durerà molto poco. Subito le cose andranno per storto invece che per dritto.
Lei stessa dirà: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre’».
Felicia non è un’ingenua. Intuisce. Capisce. Non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Cesare Manzella.
Litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico.
Felicia non vuole stare dalla parte della prepotenza.
Il marito invece ci è sempre convissuto senza tanti problemi.
Il contrasto tra loro due diventerà enorme quando Peppino inizierà la sua attività di denuncia della mafia.
Quel figlio parlava di giustizia, il marito correva dietro all’ingiustizia.

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La più grande fatica interiore è non sentirsi mai abbandonati

Group-HugProf, oggi facciamo una lezione da paura, eh!?!” Rido di fronte a questa esigente aspettativa di Linda, la mia bellissima alunna dai capelli stile “afro”. L’intera sua classe mi sta raggiungendo nell’aula LIM a gran velocità, per riuscire a accaparrarsi i primi posti. Luca dice deciso: “Prof, oggi le faccio io da assistente al computer, eh! E poi deve finire di parlarci  di don Pino Puglisi. L’altra lezione eravamo stati interrotti dalla campanella!”

Mentre sono travolta dall’entusiasmo dei miei studenti, sento vibrare il mio cellulare. Abbasso lo sguardo e leggo su What’sApp: Ti ricordi che lunedì hai il secondo incontro sull’aldilà con i ragazzi della mia parrocchia, vero? Dovrai parlare dell’Inferno. Devi proiettare qualcosa?”

Certo che mi ricordo. Già, l’inferno… come spiegarlo a quei ragazzi?

alla_luce_del_soleAlzo lo sguardo verso i mei studenti e li avverto: “Sappiate che nei primi cinque minuti di film, nelle altre classi molti hanno girato lo sguardo da un’altra parte. Non ce l’hanno fatta a vedere. Volete saltarli?”

So perfettamente che questo è il modo migliore per far alzare le antenne a tutti.

lucesole1Silenzio assoluto… il film inizia…un Ape mezzo scarcassato si ferma in un luogo della periferia palermitana. Intorno il senso di abbandono è evidente ed il grigio è opprimente. Alcuni ragazzini scendono dall’Ape con due scatoloni, da dove escono miagolii di paura che già commuovono. Un adulto dall’aspetto rude, freddo e trasandato, paga quel delicato contenuto ed invita i ragazzini a fare quel che devono fare. Basta un cenno della testa e questi capiscono.

Don-PuglisiSi avvicinano ad una gabbia con dentro due cani aggressivi. Abbaiano e sono inferociti, affamati, imprigionati e pronti alla lotta. Per loro non ci sono ciotole di carne per il pranzo, né carezze sul dorso. Pochi centimetri di gabbia che farebbe impazzire qualsiasi essere vivente ed un pranzo assurdo: micetti nati da poco, da sbranare.

La scena è allucinante per il sadico divertimento che i ragazzini provano nel gettare dentro la media347094gabbia, i micetti terrorizzati.

E poi la notte…il combattimento tra i due cani…il tifo infernale degli uomini…i guaiti di dolore …il sangue…un’altra corsa con l’Ape con sopra il cane quasi morto, grondante sangue dalla gola…il trasporto dell’animale mezzo morto, su per una scalinata di cemento di un palazzo in costruzione…il pianto del cane…e poi…uno, due, treee! Il povero cane, in fin di vita e con la gola squarciata, è buttato di sotto, nella voragine di cemento, mentre il suo lamento si perde in lontananza come un ultimo urlo di dolore lasciato in eredità a nessuno. Continua a leggere La più grande fatica interiore è non sentirsi mai abbandonati

Leonardo Vitale non era un pazzo

uomodivetro3 Le urla…la violenza…la solitudine…l’omertà…la paura…l’elettroshock…la coscienza che reclama il pentimento…lo Stato che non lo ascolta…i morti che si moltiplicano…la conversione che lo trasforma…la fede che lo fa rinascere…

ed infine la mafia che lo ammazza all’uscita dalla messa, mentre è in  compagnia della madre.

Leonardo_Vitale

 

 

E’ domenica 2 dicembre 1984 e due colpi di lupara alla testa mettono la parola “fine” alla vita di Leonardo Vitale.

Non dimenticate questo nome.

 

 

Io l’ho fatto per alcuni anni.

uomodivetroLa prima volta che l’ho sentito era il 2007.

Era notte fonda e quel film che avevo scelto per caso mi aveva coinvolta fin dai primi istanti. Il titolo era L’uomo di vetro e la storia che narrava era vera e tragica.

Guardavo il film e capivo che stavo entrando nella storia del primo collaboratore di giustizia; onestamente e drammaticamente pentito e, infine, convertito.

Ricordo che per giorni mi ero chiesta: Ma perché non ho mai sentito parlare prima di Leonardo Vitale? Come si fa a non gridare ai quattro venti la sua storia?”

Già; come si fa?

Esattamente come ho fatto io: facendo passare i giorni, poi i mesi e gli anni, senza parlarne. Infine facendo entrare nel dimenticatoio il film e la storia di Leonardo Vitale (lo ripeto: voi non dimenticate questo nome!)

vitaleleonardoPoi…poi un po’ di tempo fa vengo contattata da una persona che mi scrive di Leonardo Vitale (ci crederete che, lì per lì, dopo anni, non ricordavo più chi era? Ma voi non lo fate!).

Leggo quel che mi dice in chat, mi concentro…dove ho già sentito questo nome? Continua a leggere Leonardo Vitale non era un pazzo