Un attimo di santità

Questa mattina, appena accesa la tivù, è questa la notizia che mi è apparsa per prima.
Mi è sembrata l’emblema della stupidità del male che ci acceca.
Come sarà il nostro futuro?
E chi lo sa!
Però in questi mesi sto cercando testardamente e ovunque un senso a questa vita (anche se un senso non ce l’ha, direbbe il nostro Vasco).
E così tra tanti libri dove si narrano storie di rinascite (già che ci sono vi consiglio “Spingendo la notte più in là” e “Una volta sola”, entrambi di Mario Calabresi❤️) e tra le profondissime righe scritte secoli fa da un uomo che cercava una spiegazione alla presenza del male nel mondo (molto molto interessante il Libro Settimo del suo famoso “Le Confessioni”; occorre che cito l’autore?😊), ho trovato però un’autrice che mi ha rapita e mi ha costretta a leggere il suo Diario (quasi mille pagine di tragedia e illuminazione, di cadute e di risalite verso la Sorgente) non facendomene allontanare mai più.
Sì, sto parlando dell’immensa Etty Hillesum.🥰
E così stamattina, ascoltando la voce del giornalista che spiegava come la nuova bomba atomica sarà 28 volte più potente di quella usata nel 1945, ho ricordato alcune righe di Etty scritte il 3 luglio 1942.
“Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei […]. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia”.🌻
Una posizione, la sua, che non mancava di innervosire i suoi amici, alcuni dei quali militavano nelle fila della resistenza olandese.
Negli ultimi mesi della sua vita, prima di essere deportata, Etty troverà impiego come dattilografa presso il Consiglio Ebraico.
Negli stessi giorni Anna Frank, a pochi chilometri di distanza, iniziava nel suo nascondiglio a scrivere il suo diario.
Etty sa quello sta per accadere e ha anche la possibilità di salvarsi. Non lo farà – morendo assieme ai genitori e ai due fratelli – per la necessità interiore di rimanere fedele a sé stessa e al suo popolo. Mite testimone della dignità umana in un mondo sempre più disumanizzato.
Quel 3 luglio 1942 Etty scriverà tanto.
“E’ vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dio e il cielo e l’inferno e la terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e queste circostanze non possono essere ami così determinanti, perché esisteranno sempre delle circostanze – buone e cattive – che dovranno essere accettate, il che non impedisce poi che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Però di deve sapere per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno daccapo.” 🌻

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Storia vera di un uomo che, dalla notte di Nakasaki, ha camminato nella Luce, aiutando tutto e tutti, nonostante il suo dolore.

Ricordo che stavo tornando da Roma.

Era notte e cercavo sulla radio qualcosa che potesse tenermi sveglia.

Veramente stavo inseguendo musica bella ma, girando qua e là tra le frequenze, mi incuriosì la lettura di un libro.

Era il nove agosto di un po’ di anni fa e quella voce maschile mi stava catapultando tra le pagine di un libro che poi avrei amato tanto: Le campane di Nagasaki.

Quella lettura aveva la caratteristica che io metto al top nella scelta dei libri da acquistare: era autobiografico. Poi c’era anche la seconda caratteristica che io adoro: narrava il passaggio in una valle di lacrime e la vittoria sulla cattiveria. 

Credo che il motivo per cui io sia, da sempre, irrimediabilmente attratta dalle storie vere ed autobiografiche, sia nella mia ricerca perenne della vera felicità e forza interiore. E chi mi potrà insegnare la via, se non coloro che sono usciti vittoriosi dai colpi duri della vita?

Li vedo un po’ come quegli splendidi vasi giapponesi che, rotti per sbaglio, vengono riparati con l’oro. E’ la tecnica del Kintsugi che riunisce i pezzi di ceramica rotti con la preziosità dell’oro fino. Alla fine il vaso è più bello di quanto lo fosse all’originale.

Potrei definirmi una ricercatrice di creature umane ancora più splendenti di oro, rispetto all’inizio della loro vita.

Il protagonista del libro è Paolo Nagai Nakashi.

Siete pronti a saperne un po’ di più su di lui?

Se la sua storia e le sue parole sono riuscite a tenermi sveglissima in una viaggio notturno di ritorno da Roma, tanto più (ne sono certa) lo faranno con voi.

Oggi è il 9 agosto 2020 e racconteremo Nagasaki e la storia struggente e forte di un marito e medico eccezionale!

 

Takashi Nagai nasce nel febbraio del 1908 a Isumo (vicino a Nagasaki) in Giappone, in una famiglia discendente dei samurai, di religione scintoista. Sono cinque figli.

Fin da piccolo è evidente in lui una grandissima attitudine per gli studi ed il padre (esperto di medicina orientale) gli trasmette la passione per l’arte di curare. Nel 1928 Takashi si iscrive alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, in pieno clima positivista e di piena fiducia nella scienza e nella tecnica.
Racconta nel suo diario: «fin dagli studi liceali ero diventato prigioniero del materialismo […]; alla Facoltà di medicina mi fecero sezionare cadaveri: la struttura meravigliosa del corpo, l’organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. L’anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».

Nel 1930 sua madre subisce un colpo apoplettico e, senza poter parlare, gli rivolge un ultimo sguardo. Quell’addio materno sarà la svolta determinante nella sua vita. Continua a leggere Storia vera di un uomo che, dalla notte di Nakasaki, ha camminato nella Luce, aiutando tutto e tutti, nonostante il suo dolore.

La luce del Tabor, di Beirut e di Hiroshima

Il monte Tabor. Circa duemila anni fa.

Un fiore di luce esplode nel deserto e tre uomini lo vedono.

Ed è una meraviglia.

E’ un volto illuminato da “dentro” e Pietro, Giacomo e Giovanni l’ammirano.

E non vorrebbero più guardare da altre parti.

 

Beirut. Martedi 4 agosto 2020.

Un inferno di luce esplode nella città e tutto il mondo lo vede.

Ed è una mattanza.

E’ la stoltezza umana che esce tragicamente allo scoperto e sguardi atterriti la fissano.

E vorrebbero guardare da altre parti.

 

Hiroshima. Lunedì 6 agosto 1945.

Un fungo di luce esplode sopra il mattino appena sorto e le vittime lo sentono sulla pelle.

Ed è l’inferno.

E’ il male che si è organizzato per uccidere tanti fiori in un solo colpo mortale.

La terra piange. Il Cielo pure. Continua a leggere La luce del Tabor, di Beirut e di Hiroshima