Storia vera di un crocifisso che non è fuggito

Gesù non è una statua di legno.
E non è nemmeno un pezzo di marmo, anche se meravigliosamente scolpito da artisti senza tempo.
Ma chi non lo sa, tutto questo?
Chi è l’ingenuo che scambia un pezzo di pietra con Colui che ha creato le montagne?
Chi confonderà pochi centimetri di legno con il Re dell’intero universo?
Questa è una premessa necessaria per evitare travisamenti quando si parla di “crocifisso miracoloso”.
Il crocifisso è legno. Non si muove. Non parla. Non fa miracoli.
Però le creature umane non mettono (per fortuna!) un muro divisorio tra materia e spirito. Spesso accade che su un oggetto mettiamo una bella firma chiamata “significato” o “simbolo”.
E’ un po’ come andare “oltre” e vedervi qualcosa di più grande.
Accade per un anello, o per una bandiera, o per uno scettro, o per una foto, o per un fiore…
Potrei continuare all’infinito.

Anche la materia può farci sognare.
A patto che sappiamo regalarle un significato.
Anche un crocifisso può farci pregare.
A patto che sappiamo farci illuminare da “Chi” rappresenta.
Solo così riusciamo ad ascoltare il sussurro spirituale che ci dice “Guarda più in là”.

Ed ora, con questa premessa che allontana qualsiasi dubbio su una possibile critica di ingenuità idolatrica che in questi giorni mi è capitato di leggere in giro, siamo pronti a guardare “più in là”.

Tutto inizia a Roma in una data ben precisa: è il 23 maggio 1519.
E’ notte.
Siamo nella chiesa di san Marcello, dedicata al papa (Marcello, per l’appunto) che ha resistito solo due anni nel suo ruolo (308-309) perché, perseguitato da Massenzio. Condannato a compiere i lavori più umili nelle stalle del catabulum (la sede delle Poste Centrali dello stato, che qui si trovava), vi morì di sfinimento.
In questa chiesa sorta proprio dove papa Marcello morì, in quella notte del 1519, scoppiò un incendio terribile che la distrusse completamente.
Un disastro improvviso ed inimmaginabile.
Potete immaginare lo spettacolo desolante che apparve agli occhi dei romani la mattina, quando andarono di corsa a vedere i terribili danni del fuoco.
Tutto era andato distrutto e la chiesa non c’era più.
La folla guardava quel tristissimo spettacolo di desolazione e tutto era angoscia fumante.
Qualcuno prese coraggio ed iniziò a farsi largo tra le macerie quando, ad un certo punto, si accorse di quel crocifisso.
In mezzo alle rovine ancora fumanti, si scorgeva il crocifisso dell’altare maggiore perfettamente integro. Ai suoi piedi ardeva ancora la piccola lampada ad olio.
Potete immaginare quanto, tutto questo, colpì gli occhi ed il cuore di coloro che vagavano tra le macerie, convinti che oramai lì vi avrebbero visto solo un tragico finale.
Era stata distrutta la casa, ma il suo abitante principale non era scappato.
Era ancora lì.
Da quel mattino partì un desiderio grande tra la gente: neanche noi scapperemo!
Resteremo accanto a Gesù crocifisso.
Alcuni dei testimoni iniziarono a vedersi ogni venerdì sera per recitare preghiere ed accendere lampade. Con l’andare avanti del tempo queste riunioni divennero sempre più organizzate e portarono alla creazione di una comitiva che venne chiamata “Compagnia del SS. Crocifisso”.

Passarono gli anni. Ne passarono tre, per la precisione.
A Roma arrivò la peste, un’ondata terribile di malattia e di morte che, nei libri di storia, verrà poi chiamata la “Grande Peste”.
Ovunque c’era paura, in ogni vicolo c’era un contagiato ed il flagello non perdonava nessuno.
Il popolo romano decise allora di rivolgersi al crocifisso di san Marcello.
Non era scappato durante l’incendio del 1519, non sarebbe scappato neanche ora davanti alla peste.
Ne erano certi.
E così, superando i divieti delle autorità che temevano il contagio, lo andarono a prendere nel cortile del convento dei Servi di Maria dove era stato temporaneamente sistemato, e lo portarono in processione per le vie della città fino a farlo arrivare alla basilica di san Pietro.
La processione durò sedici giorni, dal 4 al 20 agosto del 1522.
Man mano che si procedeva, riportano gli storici, la peste dava segni di netta regressione e così ogni quartiere cercava di trattenere il crocifisso il più a lungo possibile.
Alla fine di questo suo cammino, il crocifisso fu riportato nella chiesa di san Marcello. Era finita la sua passeggiata nelle strade di Roma ed era finita anche la peste in giro per la città.
Roma si era salvata.
Per questo dal 1600, durante l’Anno Santo, vi è l’usanza di portare il crocifisso di san Marcello alla basilica di san Pietro con una processione solenne.
Sul retro della croce sono incisi i nomi dei vari Pontefici e gli anni di rispettiva indizione.
Ed è stato questo crocifisso a vedere, davanti a sé, papa Giovanni Paolo II in ginocchio, per implorare il perdono per i peccati commessi dai cristiani nei secoli. Era il 12 marzo del 2000, la Giornata del Perdono.

Venerdì 27 marzo 2020 Papa Francesco lo ha voluto ancora a san Pietro.
Non è un idolatrare una statua.
Nessuno è una superstizione da quattro soldi.
E’ che ancora abbiamo nelle cellule il DNA di coloro che ci hanno tramandato quello che hanno visto nel 1600.
Nei documenti storici ci hanno raccontato l’evento prodigioso e ci hanno dato in eredità la consapevolezza che vale la pena supplicare Gesù quando la barca traballa.
E Gesù ancora una volta risponderà.
Sa che noi siamo uomini fatti di carne e materia. Sa che abbiamo bisogno (ed è bello anche questo) di poter vedere quell’“oltre” di significati e di presenze, anche con l’aiuto della materia che lui ha creato.
Quel pezzo di legno che qualcuno ha scolpito nel 1600 Gesù lo ha ammirato insieme a noi.
E con la sua sapienza amorevole ce lo ha regalato come segno della sua presenza.
Si è fatto pane, si è battezzato con l’acqua, ha guarito con la saliva, ha moltiplicato i pesciGesù ha sempre usato la materia creata da lui per rimetterla davanti ai nostri occhi con un valore sacro.
“Guardate gli uccelli del cielo, guardate i gigli del campo…lì imparerete a guardare anche Dio che provvede a voi”.
Guardiamo, dunque, tutto quello che ci circonda.
Andiamo ad ispezionare anche noi tra le macerie fumanti del dolore del mondo in questo difficile 2020.
Tra lacrime e paura, potremo scorgerci la presenza di un crocifisso che non è scappato.
Potremmo riportarlo a san Pietro e da lì, far ripartire speranza per tutti!
La speranza che il mondo comprenda l’urgente cambiamento da fare ed il coraggio di metterlo, poi, in pratica.

Per questo papa Francesco, con i pugni chiusi dalla grinta della fede e con il cuore a pezzi, il 15 marzo 2020, a piedi, da solo, si era recato nella chiesetta barocca posta in una traversa della centralissima via del Corso. Davanti a quel crocifisso era andato a chiedere a Dio di porre fine all’ondata di morte, malattia, incertezza economica, desolazione sociale provocata da un virus invisibile agli occhi.
Ed è per questo venerdì 27 marzo 2020 lo ha voluto in piazza san Pietro, davanti allo sguardo del mondo intero.
Il crocifisso che non è fuggito dall’incendio del 1519, l’icona originale della Salus Populi Romani, Papa Francesco e tutti gli uomini di buona volontà del mondo, si sono radunati lì, a piazza san Pietro.
Eravamo milioni.
Tutti lì a sognare con Dio un mondo salvo da un virus terribile e dall’egoismo che uccide.
Tutti lì a rimboccarci le maniche per dirgli: “Siamo pronti Signore della Vita a fare la nostra parte. Ma Tu fai la tua. Che senza di Te, nulla esiste e nulla possiamo” 

 

 

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