“Quando provate dolore nell’anima, uscite fuori e guardate le stelle” (Pavel Florenskij)

Oddiooo!!! Ma chi è?!!!”

La strada è di montagna ed è buio pesto. Io freno un po’ e Roberta, seduta accanto a me, spalanca gli occhi e si gira indietro per cercare di vedere chi cavolo era quella sagoma nera spuntata all’improvviso nel lato sinistro della strada.

Dietro Margherita e Giulia si zittiscono, indecise se l’ombra sia innocua o no. Margherita ha nove anni, Giulia due e sono con noi per cercare un angolo di terra dove poter vedere bene la volta stellata di agosto.

Proseguiamo e ci fermiamo vicino ad un monastero isolato.

Ma ci sono due lampioni. Due di numero. Ma noi cerchiamo il buio perfetto.

Decidiamo di tornare indietro per prendere un altro bivio.

“Ora dovremmo rivedere la sagoma nera Cri!”

“Rallento così vediamo chi è, dai!”

“Eccolo! E’ laggiù zia!!!” urla Margherita da dietro.

La sagoma è immobile. Le passiamo accanto. E’ di spalle e non si muove. Sembra una statua nera. Fissa. Come bloccata. Ma quando le siamo proprio accanto, vediamo chi è. E’ un monaco. Probabilmente arrivato fin lì dal suo monastero. Un monaco con lo sguardo fisso sulle stelle. Neanche si volta un poco quando passiamo noi. E’ fermo. Fisso sul cielo.

Le nostre luci hanno rovinato il buio perfetto, ma non la sua contemplazione perfetta.

 

Quando provate dolore nell’anima guardate le stelle. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa o vi sovrasta la tempesta interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo” (Pavel Florenskij).

 

 

Quel monaco è in estasi, a tu per tu con il cielo.

“Bimbe, tra un po’ ci fermiamo ed anche noi staremo ferme ferme a guardare le stelle!”

“Nonna, ma è buio!”

“Deve essere così, Giulia!”

Effettivamente, dove le farò scendere, non si vede niente.

Margherita e Giulia si tengono per mano e, con il nasino all’insù cantano: “Stella stellina la notte s’avvicina: la fiamma traballa, la mucca è nella stalla…”

Io penso che starei delle ore lunga sull’erba a guardare il cielo stellato. Penso che quando a scuola insegno la famosa citazione di Kant “Due cose riempiono l’anima di ammirazione e di venerazione, il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” faccio un peccato mortale a farlo lì, in un’aula.

Penso che il manto stellato trasforma ogni mia spiegazione in un blablabla schiacciato dal soffitto bianco di un’aula. Percepisco che l’ammirata venerazione che si deve al cielo e lo stupore misterioso che suscita la coscienza di ogni uomo si può capire solo sotto il brillare delle stelle.

Quelle stelle senza fine e senza fondo che sussurrano un’armonia tra microcosmo e macrocosmo. Quelle stelle che con la loro luce cantano una connessione divina tra Lassù e quaggiù.

Lucciole brillanti che ci uniscono a tutte le creature passate sulla terra prima di noi.

Una mia cara amica a cui era morta poche settimane prima la sorella, la sera di san Lorenzo si era seduta sul suo terrazzo a guardare il Cielo, per parlare un po’ con la sorella. Innamorate entrambe delle stelle cadenti, quella sera lei ne vide una densissima di luce. Una cosa spettacolare. Mai vista così in vita sua.

Chi, vivendo un’esperienza del genere, non dilata il cuore fino al Regno dei Cieli, sperando che quella stella cadente sia il sigillo dell’unione tra due sorelle ancora in dialogo?

Ed il cielo stellato di Abramo non continua a farsi vedere fino a noi, suscitando ancora intuizioni divine e preghiere? Quando vidi il cielo stellato del Sinai, avrei voluto fermare il tempo. Con quelle stelle brillanti era impossibile non sussurrare: E’ vero Signore! Neanche io, come Abramo, riesco a contarle. E sapessi come sono felice di essere così incapace di contare le tue promesse! Troppo grande sei per me ed io ne sono estasiato”

La distanza siderale tra me e le stelle, mi attira. Non mi scoraggia. Non mi porta ad arrendermi. Anzi. Quelle luci che brillano nel buio mi conducono in alto. Mi raccontano che la nostalgia che sento è piena di promesse. Fanno riposare le mie elucubrazioni razionali e liberano un’intuizione che rasenta quasi la certezza: io vengo e tornerò lassù.

“L’amor che move il sole e le altre stelle” ha affidato ad una stella cometa l’annuncio del suo arrivo sulla terra. Ed ancora oggi continua a poetizzare con noi, sollevandoci dalle selve oscure in cui troppo spesso ci addentriamo, con una Sacra Scrittura scritta nel cielo.

Ecco perché quel monaco era immobile al buio.

Era un concentrato di nostalgia e desiderio.

Come Giulia e Margherita che, di fronte alle stelle, cantavano “Stella stellina la notte s’avvicina: ognuno ha il suo piccino, ognuno ha la sua mamma e tutti fan la nanna

Quando la vita ci fa sentire smarriti e soli, basta alzare lo sguardo per tornare a riveder le stelle”.

Nelle grandezze verticali e nella vastità di orizzonti, possiamo dolcemente naufragare, perché quel mare di stelle continua a sussurrarci la nostra essenza: Dormi tranquillo. Tu sei un amato

 

 

“Il Signore risana i cuori affranti e fascia le loro ferite;

egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome. (Salmo 147)

 

P.S. Pavel Florenskij (filosofo, matematico e presbitero russo), il 26 febbraio del 1933 venne condotto agli arresti, condannato a dieci anni di gulag e più tardi trasferito in un campo di prigionia presso le isole Solovki, nel Mar Bianco. Qui, al posto di un antico monastero, era stato eretto il primo campo di detenzione e “rieducazione” comunista. Pavell Florenskij venne poi fucilato l’8 dicembre del 1937, nei pressi di Leningrado (nello stesso anno in cui il fratello Aleksandr veniva arrestato, condannato a cinque anni di lavori forzati per andare infine a morire nell’ospedale del lager di Berelech l’anno successivo)

Alle stelle Pavel affidò la sua vita quando era nella selva scura del Gulag.

Del suo “affidamento” ha parlato papa Benedetto XVI, citandolo in un mattino del marzo 2014: “Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle…” (https://www.youtube.com/watch?v=9X2fQWJDicw ) Vale la pena ascoltarlo! 

 

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