Partorite dal Padre

Carissima Cristina, io sono una povera donna che ha sempre sofferto. Non c’è un campo che mi sia stato risparmiato. In tutto questo, tuttavia, ho sempre cercato Dio ed è Lui che mi dà la forza, anche se spesso mi lascio andare allo sconforto. Tra i tanti problemi, il più grande è quello di non essermi sentita mai amata. Provengo da una famiglia che, dire che sia arida, è poco.

Le cose si sono complicate quando ho sposato un uomo che non ritenevano alla mia altezza, e me l’hanno sempre fatta pagare. Anche ora che l’ho perso.

Mi hanno allontanato i figli. Hanno fatto in modo che io non potessi vedere crescere il mio nipotino, perché hanno instillato in loro l’idea che io e mio marito siamo dei falliti.

Ho fatto un lavoro immane per riportarli un po’ a me. Con uno ci sono riuscita poco, con l’altro meno e questo mi fa soffrire moltissimo.

Non è bello vederlo trattare i suoi suoceri come se fossero i suoi genitori solo perché sono benestanti e sentirsi mettere ogni volta sulla bilancia perché non ho niente. Il mio atteggiamento è quello del silenzio, ma, credimi, ho proprio bisogno di sentirmi amata.

Ora sto per dirti una cosa che forse ti amareggerà: a volte desidero ammalarmi per vedere nei loro occhi un po’ di amore. Perdonami, non so neanche perché ti ho scritto. Mi mancano intorno persone come te. Che Dio ti benedica e ti dia quello che il tuo cuore desidera più di ogni altra cosa. Paola.

Carissima Paola, non mi hai amareggiata con le ultime tue tre righe. Non mi hai delusa. Mi hai piuttosto stupita per la tua trasparente ed ammirevole sincerità.

Tanto abbiamo tutti la nostra personale fame d’amore ed è per questo che tanti poeti ed artisti l’hanno descritta.

Il 5 luglio 1828 Giacomo Leopardi scriveva ad Antonietta Tommassini: “Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né di altre cose simili; ma ho bisogno d’amore”

Erich Fromm diceva che senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno“.

Nella piramide dei bisogni di Maslow, l’amore è compreso nel bisogno di appartenenza e accoglienza che precede (e quindi è più urgente) del bisogno di stima e di autorealizzazione.

Tutti cerchiamo l’amore con il lanternino e, consapevoli o meno, ci avviciniamo ad ogni sua possibile forma.

Talvolta prendiamo delle fregature perché lo cerchiamo nei surrogati, ma non sempre si riesce a resistere alla tentazione di trovarlo lì. I surrogati possono essere tanti. Fama, potere, denaro, posizione sociale… ed anche la malattia.

Sembra assurdo, ma si fa di tutto pur di sentirsi un po’ amati.

Di tutto!

Tu almeno hai avuto il coraggio di guardarti dentro.

Ora però c’è da fare la seconda parte: guardarti intorno.

Perché c’è sempre, intorno a noi, una soluzione per superare le nostre difficoltà.

Altrimenti rischieremmo di implodere in una bolla di pessimismo cosmico.

La tua situazione è molto difficile e la sofferenza potrebbe uccidere il tuo spirito.

Cosa si può fare allora?

Intanto diventare più attivi.

Raccontare a se stessi (o agli altri) le proprie sofferenze può anche essere un momentaneo sfogo salutare, ma elencarle troppe volte ci porta al convincimento che tutto ci vada male. Rimaniamo concentrati e non guardiamo più .

Si è come in attesa che qualcuno o qualcosa arrivi a risolvere la nostra situazione.

Cominciamo ad ascoltare i nostri desideri e a nutrire la nostra energia vitale facendo ciò che ci fa star bene.

Scoprire quello che ci piace è il più bel regalo che possiamo farci.

Guardare “là” e non fermarsi solo “lì” è ampliare la vita.

Altrimenti rischiamo di impazzire nel vortice delle nostre personali delusioni e sofferenze.

Poi iniziare ad utilizzare entrambe le ali.

Una volta chiesi a un vecchio: Che cosa è più importante, amare o essere amati?”

Egli rispose: Che cosa è più importante per un uccello, l’ala destra o l’ala sinistra?”

In altre parole, uno dei modi per uscire dal tunnel buio della nostra tristezza, è smettere di essere sempre concentrata “lì” per dare una mano agli altri.

Una mia cara amica con il figlio tossicodipendente, alla fine, per non impazzire tra una tragedia e l’altra, ha iniziato a dare una mano in una comunità di ragazzi in recupero. Solo così è riuscita a non uccidere la sua anima.

Se in famiglia, per mille tristi difficoltà, non è possibile quello scambio di amore che desidereremmo, dobbiamo trovare un fluire nuovo all’amore che portiamo in noi.

Volgere lo sguardo verso gli altri, ci aiuta a migliorare noi stessi, ci fa acquisire competenze, ci fa trovare nuovi amici e ci fa dire “grazie” a chi incontriamo.

Ed infine rivolgersi a Dio perché ci aiuti ad essere felici.

Perché quando la sofferenza è troppa, riemergere dall’acqua alta non è semplice.

Nuotare fino allo sfinimento per non lasciarsi andare verso il fondale, è dura.

Ci vuole un surplus di forza interiore.

Dio ci è sempre accanto per non farci affogare nella solitudine.

In questo periodo ho acquistato il libro Partorite dal Padre di Maria Luisa Eguez.

Mi ha intrigato il sottotitolo: Storie di donne eccezionali del Novecento. Così la mia curiosità mi ha spinta a leggere di quali donne si parlasse.

Gabrielle Bossis, Madeleine Delbrȇl, Etty Hillesum e Simone Weil.

Wow!

Donne eccezionali che hanno segnato il Novecento.

Donne che sono vissute in un contesto storico drammatico segnato dai due conflitti mondiali.

Donne che non si sono mai conosciute tra loro.

Eppure donne che sono accomunate da una costante ricerca di Dio e dalla voglia di dialogare con Lui.

Donne concrete e mistiche.

Donne cattoliche ed ebree.

Donne coraggiose, amanti tutte della giustizia e di Dio.

Donne anticonvenzionali in tutto; anche nel rapporto con il Padre. Appassionate e, proprio per questo, intimissime con Colui che è Amore.

Donne che, con la loro vita, hanno risposto di “sì” alla domanda: È possibile essere mistiche senza avere visioni o estasi, e al contempo laiche, lavoratrici, impegnate nel sociale?”

Sì.

Mille volte “Sì”!

Quattro donne che, in mezzo alle tempeste della loro vita, si sono rivelate figlie generate da Dio.

Meglio: partorite da Dio (traduzione letterale di Gv 11,52).

Donne che hanno percepito di essere abitate da una muta e allo stesso tempo eloquente presenza, come il sussurro di una brezza leggera (1Re 19,12).

Ci si può sentire guidati, protetti ed amati, anche nelle tenebre più fitte?

Senti cosa scrive la Hillesum due mesi prima di essere deportata ad Auschwitz:

“Mi sembra di essere uno degli innumerevoli eredi di una grande fortuna spirituale. D’ora innanzi ne sarò la fedele custode. La condividerò con molti altri, finché ne avrò forza”.

Lei non sapeva che i suoi scritti sarebbero stati condivisi da una moltitudine di gente. Ma Dio è così: ci mette in testa un sogno, noi ci mettiamo la buona volontà ed infine Lui porta tutto al successo.

Tutte e quattro hanno avuto la gioia in dono.

Josep Vleeschhouwer, amico di Etty Hillesum, ha raccontato che lei, dal vagone n.12 del treno in partenza per Auschwitz, ha salutato chi restava ancora nel campo con un gioioso Ciao!!!” .

Ma poi, vogliamo parlare della Weil? Intelligentissima, combattiva, coraggiosa, indipendente, filosofa, mistica, scrittrice, insegnante, amante della giustizia fino all’ultimo suo respiro. Un’indomabile figlia di Dio.

Scriverà a padre Joseph-Marie: “Alcuni santi hanno approvato le Crociate, l’Inquisizione. Ebbene, non posso fare a meno di ritenere che abbiano avuto torto. Non posso ricusare la luce della coscienza. Se penso che io, così al di sotto di loro, su questo punto vedo con maggiore chiarezza, sono costretta ad ammettere che devono essere stati accecati da qualcosa di molto potente. Questo qualcosa è la Chiesa in quanto cosa sociale”

Della Weil, Laure Adler scrive: “I clichè di una Simone Weil disincarnata, secca, autoritaria, priva di affettività, il naso sui libri, intenta solo a dialogare con Dio, persistono e circolano ancora. Simone Weil era,, al contrario, una giovane donna piena d’amore, premurosa, fedele nelle amicizie, in cerca di relazioni intense con esseri con cui voleva condividere tutto. Amante del riso, gaia, generosa, sempre pronta ad aiutare, si mostrava d’una disponibilità rara… C’è (…) in lei una visione “materna” del mondo. Vuole abbracciarlo, portarlo, stringerlo…C’è un lato solare in Simone Weil. Amava mettersi al sole, fare il bagno, andare nei locali, danzare”

Ma mi fermo qui.

Se mi metto a raccontare dell’altro, verrebbe un post troppo lungo.

Lungo come la fantasia di Dio nel partorirci! 

 

Vitorino Nemésio nel De Profundis scriveva: Apri Signore i tuoi fianchi: partoriscimi (ché tutto puoi) un’altra volta”.

 

Quando abbiamo voglia di ammalarci pur di ricevere qualche briciola di amore, proviamo a fare questi tre passi.

Un po’ al giorno. Piano piano. Senza demordere. 

Volerci bene e fare ciò che ci rende felici

Voler bene e far fare agli altri ciò che li rende felici

Farci voler bene da Dio e ridere con Lui

 

Che la mia mente si fissi in Te,

dàlle gioia, dàlle gioia, dàlle gioia”

(Robindronath Tagore, Fa o Signore, che la mia anima)

 

 

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