“L’occasione che la madre dà al suo bambino, è ogni volta un miracolo” (Alda Merini)

Sto leggendo il libro “In te mi rifugio”. Me lo sto proprio gustando, ma una cosa non riesco a mandarmela giù: la lettera sull’aborto. Io sono fermamente convinta che l’aborto debba essere un diritto. Ora mi spiego.

Sa benissimo quanto anche io sia credente (e non solo perchè lo dice il Papa). Credo che una vita mancata, sia più mancata per la madre (e per il padre, volendo) che per il figlio stesso che non ha avuto la possibilità di venire al mondo.

Però le donne devono essere libere; libere di vivere il proprio corpo senza dover rendere conto a nessuno. L’aborto lo vedo come un momento così intimo e profondo, in cui la donna deve poter parlare a qualcuno della sua paura. Perché credo che la decisione di abortire, sia frutto di una paura. La paura di rimanere per sempre da soli, con questo nuovo fardello a complicare le cose. Ma se non ci fosse la possibilità di dirlo a qualcuno, se fosse vietato, allora sì che si rimarrebbe veramente da soli.

Se magari si tenesse il bambino senza volerlo, ci sarebbero due vite obbligate e rovinate. E se invece si decidesse di passare per altre vie, ci si ritroverebbe con un po’ di candeggina tra le gambe e morte per intossicazione.

Come può non essere un diritto l’aborto?

Come può essere detto a qualcuno “No, tu non puoi abortire perché se lo fai sei una persona orribile, fuori da ogni legge e giustizia nel mondo; sei stata una sgualdrina e ora tieniti il frutto del tuo comportamento immorale”. Perché, diciamoci la verità, è questo quello che riuscirebbe a partorire il nostro mondo ancora più che maschilista.

Per quanto riguarda la storia della ragazza, che è stata indotta dai genitori, beh questo lo trovo inconcepibile. Io avrei lottato
fino all’ultimo per far andare le cose in modo diverso. 
Esistono
troppi aiuti, ad oggi, per cadere in queste stupide trappole.

Sono pensieri che mi passano in testa mentre leggo e so che le fa piacere avere anche i feedback…”

 

Cara Veronica, il destino ha voluto che in questo mese, tre ragazze mi abbiano confidato che stanno per abortire. Non vorrebbero, ma…

E mentre risento tristezze e solitudini già tante volte ascoltate (“il mio ragazzo non se la sente di averlo”… “mia madre ha detto che è questione di pochi minuti”…”come faccio, prof, da sola?”…), ripenso ad altre lacrime incontrate (“Io non credevo che sarei stata così male”…“Prof, se vuole vengo a raccontare io cos’è veramente l’aborto”…“Gli altri pensano che tutto sia a posto dentro di me, invece è un macello”…)

Qualcosa ho raccontato nel blog (https://www.intemirifugio.it/laborto-lascia-una-scia-di-lacrime-dio-le-asciuga/ e https://www.intemirifugio.it/aborto-il-dolore-delle-donne/ ). La protagonista del secondo racconto era stata così violentemente travolta dall’angoscia, che si era detta disponibile a parlarne nelle classi per evitare che altre soffrissero come lei . Ovviamente non gliel’ho permesso: dovevo tutelare la sua privacy e dovevo proteggerla dalle critiche troppo facili.

Lo hai fatto anche tu, scrivendo: Per quanto riguarda la storia della ragazza, che è stata indotta dai genitori, beh questo lo trovo inconcepibile. Io avrei lottato fino all’ultimo per far andare le cose in modo diverso..

E se anche a te, che hai ricevuto dalla natura un’empatia istintiva verso i deboli, hai avuto per lei parole così dure, non oso pensare cosa avrebbero detto di lei gli alunni. No; dovevo assolutamente proteggerla.

 Io risponderei alla tua lettera, con tre punti fermi. 

Abortire, in Italia, è possibile. Non credo ci sia il pericolo, oggi come oggi, di donne che si ritrovino con un po’ di candeggina tra le gambe e morte per intossicazione”. L’Interruzione Terapeutica di Gravidanza (ITG) è regolata dalla famosa legge 194, che permette di abortire anche dopo i primi novanta giorni di gestazione e, in casi particolari, fino alla venticinquesima settimana (se il parto può essere rischioso per la vita della madre o se si siano accertati processi patologici -tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro- che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna).

Ma sapessi quante volte l’aborto viene usato come un anticoncezionale, una soluzione dopo uno “sbaglio… Quindi il termine “terapeutico” in molti casi è, purtroppo, fuori luogo (una sera ho fatto notte ad ascoltare la tristezza infinita di un ginecologo che, dopo tanti anni di convinta asserzione all’aborto, aveva scelto di diventare obiettore perché sdegnato dalle frivole motivazioni di troppe donne) 

Detto questo, potrei scrivere di cosa sia “tecnicamente” un aborto o di quel
che succede in una donna, dopo un’interruzione di gravidanza. Ma non lo farò. Non voglio fare un post che esasperi gli animi, dividendo i lettori nelle due fazioni principali che, anche nella realtà, si urlano contro Assassini; pentitevi” e Fate terrorismo psicologico; vergognatevi!”.
 

Non mi piace entrare in questa dicotomia, perché non voglio affrontare quest’argomento come se fosse una disputa tra cattolici ed atei; religiosi e laici. Voglio invece parlare di vita, patrimonio di tutta l’umanità, sostanza di cui tutti siamo fatti.

Non l’abbiamo meritata o conquistata. Semplicemente ci siamo ritrovati dentro, con il potere di espandere altri battiti di vita intorno a noi.

Per salvarne una rimasta sotto una valanga, ci muoviamo in mille pur di sottrarla alla morte.

Si piange di gioia per un malato guarito e si fa il tifo per la scienza medica quando scopre cure innovative.

Sentiamo che la Terra è madre e ci commuoviamo per un uccellino che prende il volo.

Siamo stati creati per la vita e dalla vita.

Ogni volta che la eliminiamo, lo facciamo sempre per motivi brutti (soldi, potere, panico, dolore…)

L’aborto, un diritto?

Un diritto è qualcosa che non fa del male a nessuno.

E’ una scelta che lascia scie di giustizia e libertà.

E’ un tesoro che fa del bene a tutti.

Nell’aborto ci sono due protagonisti principali: la mamma ed il suo bambino.

Qui si gioca tutto il discorso.

Entrambi (mamma e bambino) vanno protetti.

Dalla solitudine, dalla paura del futuro, dal moralismo, dal timore di non avere possibilità economiche per provvedere al bambino, paura della malattia, del parto, paura di perdere il posto di lavoro, paura…

Ci sono persino paure vergognosamente stupide (paura di perdere il proprio bel corpo a causa di una gravidanza o paura di lascarsi sfuggire l’occasione della vacanza prenotata proprio nel periodo della gravidanza inoltrata)

Siamo prigionieri che non sanno di esserlo. 

E questo è il secondo punto di cui tutti dovremmo essere convinti: l’aborto non è un diritto. E’ l’esplosione delle paure, è una tristezza che spesso ti insegue anche dopo, è una vita che non ce l’ha fatta, è una scelta presa con le spalle al muro, qualche volta è anche il male minore…ma non ce la faccio proprio a vederlo come un diritto perché le donne devono essere libere; libere di vivere il proprio corpo senza dover rendere conto a nessuno”.

Ed invece è alla vita che bisogna rendere conto.

Quando tutti saremo innamorati della vita (qualsiasi tipo di vita ed in qualsiasi stato), non vedremo più la sua eliminazione, come un diritto.

Un anno prima della sua morte (era il 2008), la grande poetessa Alda Merini rilasciò un’intervista proprio quando un appello della rivista laicista Micromega l’aveva (senza permesso) iscritta come firmataria ad un manifesto pro-aborto.

Queste sono alcune frasi uscite da quella mente straordinaria e da quel cuore libero: «Mi ha telefonato una voce femminile e mi ha chiesto se sarei stata d’accordo con un appello a favore delle donne e dei loro diritti fondamentali. Ho risposto che ovviamente i diritti vanno salvaguardati, ma non ho firmato alcunché e d’altra parte mai mi sognerei di annoverare l’aborto tra i diritti. Semmai posso arrivare ad accettare che sia una dolorosa necessità in casi davvero estremi, ma figuriamoci se Alda Merini, la cui biografia è tutto un inno alla maternità, chiede la pillola abortiva libera alla portata delle ragazzine…I casi estremi possono essere un figlio gravemente deforme e la disperazione della madre…non giudico perché posso capire la debolezza umana. Ma il vero diritto di una donna è quello alla maternità: il figlio è il più grande atto d’amore e il suo mistero resta intatto. L’occasione che la madre dà al suo bambino è ogni volta un miracolo, ed è una bestemmia negare tutto questo in nome di un femminismo che è l’opposto dell’essere femmina, nel senso più alto del termine…il bambino non si può annientare, nasce da un atto di poesia. Davide Maria Turoldo, quando prese in braccio la mia prima figlia Manuela, mi disse “è la tua poesia più bella”…Queste controversie su vita o morte di un figlio mi lasciano senza parole. …Posso soltanto dire che dopo i dolori del parto subito dimenticavo quella crocifissione per gioire della vita nuova. Non sono in grado di dare altri giudizi e sono ben lontana dal fare politica o dall’essere femminista, solo vorrei che tra uomo e donna si stabilisse quell’intesa meravigliosa che si chiama amore, in cui il figlio rappresenta la chiave della verità». 

http://alzalosguardo.blogspot.it/2008/02/alda-merini-firmato-un-manifesto-pro_5241.html

Cara Veronica, il terzo punto è dedicato a tutte le persone credenti come te.

Rileggi tutto ed al posto della parola vita, mettine un’altra.

Il risultato non cambia!

 

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?».

Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14)

Dove c’è vita, c’è Gesù Cristo.

 

Per questo, fino in ultimo, lui non ha torto un capello a nessuno ed ha perdonato tutti. Perché in tutte le forme di vita, anche nelle più difficili da amare ed accettare, c’è Lui. 

 

P.S. So che ti piace leggere; appena puoi acquista questo libro “SCARTATI, La mia vita con l’aborto” di Abby Johnson

https://www.ibs.it/scartati-mia-vita-con-aborto-libro-abby-johnson/e/9788849843125

Nell’ottobre 2009, quando Abby Johnson si licenziò da direttrice di una clinica texana dell’organizzazione Planned Parenthood in cui si eseguivano aborti, il suo caso ebbe una grossa risonanza. I giornali e le televisioni accorsero in massa per conoscere la sua storia. In questo libro la Johnson racconta la sua drammatica conversione da sostenitrice dell’aborto ad attivista cristiana per la vita. Non si tratta però di un libro ideologico. L’autrice narra i fatti che ha vissuto in prima persona, le sue emozioni, il suo dialogo con Dio, le motivazioni ideali che l’avevano spinta a entrare in Planned Parenthood e gli scrupoli morali che l’hanno portata a rifiutare per sempre l’aborto come soluzione ai problemi delle donne. Abby Johnson non esita a parlare dei segreti più terribili della sua vita, ma non usa mai, verso nessuno, parole d’odio o di condanna. La sua vicenda dimostra che l’amore, la gentilezza e la compassione possono fare la differenza nel dibattito sull’aborto.

 

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