La guarigione dello sguardo

Ha gli occhi socchiusi tipici di chi è stato abituato dalla Vita a scrutare l’orizzonte con la massima attenzione e le sue rughe raccontano una vita non facile, ma sicuramente “vissuta”.
E’ seduto davanti a me e mi chiede calmo: Siete in tre?
“Sì” rispondo sorridente.

Quest’anno la fioritura di Castelluccio l’ho voluta regalare alle due nipotine più grandi.
Una specie di attestato di garanzia valido per sempre, atto a certificare che la vita è davvero meravigliosa.
Così, per festeggiare il sole ed i papaveri, abbiamo deciso di farci un romantico giro tra i fiori della Grande Piana di Castelluccio, su un carro trainato da fieri cavalli.
Il signore dagli occhi socchiusi e dallo sguardo penetrante, ci accompagnerà.

Ho una specie di sesto senso per le persone.
Mi accade spesso.
Incontro una persona per caso, in circostanze assolutamente fortuite e “sento” con misteriosa certezza che da lei potrò imparare qualcosa di prezioso.
Il 30 giugno 2020, alle 14.30, sotto il sole cocente della grande Piana, ho “sentito” che valeva la pena ascoltare Gilberto (mi dirà il suo nome solo alla fine del giro quando, oramai scesi dal carro, gli ho chiesto il permesso di scrivere almeno un po’ del tesoro di esperienze che mi ha raccontato nella mezzora di passeggiata a cavallo).
Tutto è nato con la mia domanda iniziale, ispirata dal ritmo antico degli zoccoli dei cavalli: “Mi scusi, ma lei è nato qui?”
E poi sono stata catapultata nel film storico di Gilberto.

“Certo che ci sono nato. Questo è un luogo bellissimo ed esigente. Bisogna essere forti per vivere qui. Vede: qui vengono tanti turisti. Li vedo fare foto…mangiare…fermarsi… Questo periodo poi, può immaginare la folla di persone che arriva ad ammirare la fioritura … ma io questo luogo lo amo anche (o forse ancora di più) quando non c’è folla. Per carità, il turismo porta lavoro. Ma sapesse che meraviglia è stare qui nel silenzio. Anche solo per contemplare un fiore”
Che bello!” esordisco io, sinceramente affascinata.
Ma Gilberto mi riporta alla realtà.
Mi parla di una vita dura che lui ha visto lì.
Durissima.
Fatta anche di morti di freddo nella vallata.
Eppure mi racconta che, nonostante le difficoltà, a Castelluccio ha imparato l’essenziale della vita.
“Quando io ero piccolo non c’era un negozio di alimentari, una farmacia, le poste, un telefono … ricordo come le donne facessero il pane prenotando il forno per cuocerlo. Poi il fornaio, dopo la prenotazione, accendeva il forno e il pagamento della casalinga consisteva in una o due file di pane”.

Io lo ascolto e osservo da lontano Castelluccio, ancora troppo ferito. Distrutto sia dal terremoto del 2016 che dall’inaffidabilità vergognosa di politici parolai.

Gilberto continua: “L’unica persona del paese che faceva da tramite tra Castelluccio ed il resto del mondo era il postino che aveva due muli: uno da carico ed uno per lui. E lui aveva la delega su tutto! Riscuoteva le pensioni, pagava le tasse, registrava le nascite e le morti… ogni giorno, con i suoi muli, si recava in città, con le sue belle quattro ore di viaggio per l’andata ed altre quattro ore per il ritorno”
Ma questo postino era di Castelluccio?” domando io, ancora incapace di immaginarmi un mondo così isolato, eppure comunitariamente organizzato.
Gilberto mi risponde con un deciso: “Ma certo!!! Anche lui era di Castelluccio. Aveva le deleghe per ogni cosa dai suoi stessi compaesani”
E tra me e me dico: “Domanda stupida la mia; tipica di chi non riesce ad immaginarsi senza internet neanche per un giorno”.

Mi sembra di essere di nuovo a Matmata, in quel villaggio tunisino, davanti all’anziano berbero che rispondeva alle mie domandi incalzanti, con la calma di chi ha la contemplazione della vita in tasca e ne deve spiegare l’”ABC” ad un’analfabeta.
Quel giorno, seduta avanti alla sua abitazione dall’architettura troglodita, ero partita con le mie domande stupide (“Ma per andare a scuola come fanno i bambini?” “Ma per fare la spesa come vi organizzate?” “E se c’è un’emergenza come…”) ma poi avevo finito con l’ascoltare silenziosamente la fragranza di una focaccia appena cotta, offertami da due occhi sereni persi nell’orizzonte del deserto.
Ecco: Gilberto mi ha ricordato quegli stessi occhi liberi dell’anziano berbero.

“All’epoca l’analfabetismo era tanto e gli unici punti di riferimento per tutti, erano il prete e il dottore. C’erano anche i maestri ma quelli stavano per i mesi necessari e poi se ne andavano via. Ma il prete ed il dottore rimanevano. E stavano qui fissi, eh! Il medico faceva tutto: toglieva i denti, aiutava partorire, somministrava i vaccini… a me fece il vaiolo!” specifica Gilberto sorridendo divertito.

Poi passiamo davanti al bosco a forma d’Italia che tutti i turisti fotografano.
“Lo sa come è nato questo bosco?” mi chiede a bruciapelo Gilberto.
Oddiooo!!! E no che non lo so.
Ma questa guida speciale che mi sta spiegando i fiori della piana, le ricette del pisello selvatico e come rapportarsi con i cavalli, non mi lascerà andar via con questo punto interrogativo.
Anche perché ogni anno, quel bosco di conifere con la forma dell’italico stivale posto alle pendici del Poggio di Croce, lo fotografo.
Io attendo il suo racconto, ammirando intanto l’imponenza del gigantesco Monte Vettore.
“Era il 1961 ed il ministro Mariano Rumor (a quei tempi titolare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) pensò di organizzare una grande Festa della Montagna proprio qui. L’occasione era il primo centenario del Regno d’Italia. La vede quell’edicola votiva? Anche quella fu fatta in quell’occasione. Tutto in memoria del primo centenario dell’unità dell’Italia! Quindi, se vuol pregare, può fermarsi lì…”

E poi mi racconta di una vita avventurosa dove i pastori, ritornando dopo mesi di assenza, creavano con le proprie mogli, incontri erotici e appassionati già sulla strada del ritorno.
“Sto tornandoooo!!!” e le mogli accoglievano i mariti prima che loro arrivassero alla soglia di casa.
Appuntamenti appassionati che facevano poi esclamare nei racconti tra amici: “In quel punto ho concepito l’ultimo mio figlio!” 
Mi parla di un’unione fortissima tra i compaesani, con il perdono che faceva parte della quotidianità. Si litigava, si faceva pace, si ricominciava.
La solidarietà ritornava con facilità e l’invidia veniva tenuta fuori.
Mi mette a parte di così tanti aneddoti che, in mezzora, riesce a farmi innamorare della vita “semplice”, facendomela sognare come una concretissima possibilità.

“È molto semplice essere felici, ma è molto difficile essere semplici” diceva Rabindranath Tagore.
Viva la semplicità!
Possiamo vivere in un guscio di noce e sentirci abitanti dello spazio infinito.
Possiamo volare di fiore in fiore e portarci appresso un po’ dei loro colori.
Possiamo andare nella Piana di Castelluccio e guarire il nostro sguardo sul mondo.

Possiamo passeggiare accanto ai fiori, contemplandoli e non calpestandoli per farci una narcisistica foto.
Possiamo attraversare la Piana con la nostra auto, senza distruggere la delicata colonna sonora dei campi in fiore con la nostra musica a tutto volume.
Possiamo ringraziare il Cielo per tanta bellezza guarendo il nostro sguardo sul mondo.
E’ così bella la vita e quello che ci pone davanti.
Amici, libri, sole, profumi, esperienze, cibi, fiori, animali, lenticchie, sorrisi…
Bisogna guardare.
Accorgerci.
Contemplare.

“Spesso gli uomini si ammalano per essere aiutati.
Allora bisogna aiutarli prima che si ammalino.
Salutare un vecchio non è gentilezza,
è un progetto di sviluppo locale.
Camminare all’aperto è vedere le cose
che stanno fuori, ogni cosa ha bisogno
di essere vista, anche una vecchia conca
piena di terra, una piccola catasta
di legna davanti alla porta, un cane zoppo.
Quando guardiamo con clemenza
facciamo piccole feste silenziose,
come se fosse il compleanno
di un balcone, l’onomastico
di una rosa”
(Franco Arminio)

Il 30 giugno mattina, man mano che ci avvicinavamo in auto a Castelluccio, mi sono messa ad ascoltare i sogni di Margherita e Giulia.
Di curva in curva, le sentivo esclamare…
A me piacerebbe vivere qui!” diceva Margherita.
“Ma anche qui sarebbe bello!” le rispondeva Giulia dopo un po’.
“Ooohhh!!! Guarda che bello anche qui!” insisteva Margherita nella sua ricerca di meraviglie paesaggistiche.
Finchè la piccola Giulia, con i suoi cinque anni e mezzo di esperienza, ha detto: “Ci sono talmente tanti posti belli sulla terra che non saprei dove fermarmi a vivere!”

Ogni cosa va guardata per il semplice fatto che, miracolosamente, è venuta davanti ai nostri occhi.

Buona giornata a tutti!!! 

 

 

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