La cattiveria è degli sciocchi, di quelli che non hanno ancora capito che non vivremo in eterno. (Alda Merini)

Buona sera prof, spero di non disturbarla ma le vorrei parlare di un po’ di me. Io sono una persona molto dolce ma tutti vedendomi, mi credono la solita ragazza sfigata e facile
da prendere in giro. Perché? Per molte cose; una di queste è il mio aspetto.

Eh già; io mi odio e gli altri lo odiano.

Molti miei amici mi dicono “Sei bella sei carina” ma altri invece non hanno tentennamenti nel dirmi: “Grassa, maiala…” e via dicendo. Quando mi dicono cosi è come una fitta al cuore. Come se qualcosa si sgretolasse dentro di me. Ma dico io: la gente,
prima di parlare, non pensa ai sentimenti che prova chi riceve questi giudizi cattivissimi? E non immagina che chi li ascolta, già sa di avere quel difetto? E queste persone così dure nel dare risalto ai difetti altrui, non pensano che fanno stare ancora peggio, chi li riceve?

Ma no. Non ci pensano. Sono esseri troppo impegnati a fare i fighi, insultando gli altri.

Però, per fortuna, ci sono sempre persone per bene. Tipo un mio amico che mi dice che per, lui, sono bella e unica e che devo avere più autostima in me stessa. Ma dopo tutti i soprannomi che mi hanno appioppato, ormai si è sgretolata. E’ difficile dire a me stessa: “Sei bella”.

Quest’anno, per fortuna, un po’ le cose sono migliorate. Sto iniziando a recuperare un po’ la mia autostima, grazie al fatto che sono dimagrita. La gente mi cerca di più ed io ho capito che noi viviamo in un mondo fatto solo di pregiudizi. Lei che ne pensa di tutto ciò? Come possiamo evitare questi pregiudizi? Scusi tanto il disturbo e la lunghezza di questa lettera. Attendo la sua risposta prof!

Dimenticavo: che cos’è l’amore per lei?

 


Carissima Tiziana, le persone “per bene” non finiranno mai.

Proprio come il tuo amico che ti sta vicino, iniettandoti un po’ di dose di autostima.

Paul Brulat diceva che Basta un minuto per fare un eroe; ma ci vuole una vita intera per fare un uomo per bene. (Pensieri, 1919).

Bisogna cominciare il prima possibile ad allenarsi ad aprire la porta al bene. Ma deve essere un difficile esercizio, se è così vigliaccamente facile essere cattivi.

Un po’ di anni fa, acquistai un libro che tuttora, ogni tanto, sfoglio. E’ stato scritto da Viktor Frankl ( un neurologo, psichiatra e filosofo austriaco che, dal 1942 al 1945, fu prigionieri in quattro diversi campi di concentramento – tra cui Auschwitz e Dachau – ). Il titolo è Uno psicologo nei lager”.

Lui che si era ritrovato immerso nel male assoluto, ad un certo punto del libro, afferma: Da tutto ciò possiamo apprendere che sulla terra esistono soltanto due razze umane, e solo queste due; la «razza» degli uomini per bene e quella dei «poco di buono». Queste due «razze» sono diffuse ovunque, penetrano e s’infilano in tutti i gruppi. Nessun gruppo è composto esclusivamente da persone per bene o esclusivamente da «poco di buono».

Siamo grati alla vita ogni volta che ci tocca in sorte la vicinanza di una di queste creature piene di buona volontà. Come si riconoscono? Dopo il loro passaggio, siamo più sereni. Stiamo meglio. La vita sembra più accogliente e noi ci sentiamo rasserenati. 

Una cosa è certa, però: anche le persone che schiacciano gli altri per sentirsi forti, non saranno mai in via d’estinzione. Li chiamiamo con tanti nomi: bulli, prepotenti, aggressivi, spacconi, teppisti, arroganti…

Diamo anche tante spiegazioni per la loro cattiveria: vigliaccheria, fragilità, mancanza di empatia, insicurezza, carenza d’amore, maleducazione…

Ed alla fine, se siamo onesti, dobbiamo ammettere che la cattiveria è una malattia che sfiora tutti noi, pronta ad indebolirci per renderci brutti e febbricitanti.

Non occorre andare a pensare ai serial killer per guardare in faccia la cattiveria. E’ una sfida quotidiana. A chi non è mai capitato di essere trattato male senza motivo da un collega o ricevere una rispostaccia dall’impiegato a cui stavamo chiedendo delle informazioni.

Qualche volta siamo noi stessi a far finta di non vedere il compagno di scuola che sta trattando male l’altra compagna. In certi momenti diventiamo persino complici del male, contribuendo ad appesantire il carico sulla vittima di turno. Può bastare una risata di approvazione al bullo od uno sguardo divertito nell’ascoltare il pettegolezzo della vicina che sta denigrando la tipa appena arrivata nel condominio.

Davvero ci vuole una vita intera per diventare persone per bene.

Tutto dipende dall’empatia, cioè dalla capacità di “camminare nelle scarpe degli altri” e capirli. Il nostro cervello è come “programmato” per l’empatia. Ci piace essere uniti, allegri, felici. Quel “Tutti per uno e uno per tutti” è nelle nostre corde mentali.

Tuttavia, nella pratica, non ci riusciamo.

San Paolo nella sua lettera scritta ai primi cristiani di Roma, già duemila anni fa si era accorto di questa distanza tra il “dire” e il “fare: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”.

Dalle crudeltà dei lager nazisti fino alle prepotenze quotidiane, tutto sembra parlarci di assenza di empatia (con vari livelli di gravità, ovviamente).

Baron-Cohen, nel suo libro La scienza del male. L’empatia e le origini della crudeltà, tenta di dare spiegazioni alla cattiveria, parlando dei sei gradi di empatia, di dati genetici e neurobiologici, ma la verità è che non possiamo basarci solo sul determinismo biologico per spiegare le mascalzonate che succedono sulla terra.

San Paolo parla di unpeccato che abita in me

Il peccato: un termine ebraico che si riferisce al tirare una freccia senza riuscire a centrare il bersaglio.

Peccare” significa “perdere”.

Essere dei bulli, prepotenti, cattivi, denigratori, significa essere dei perdenti.

Essere empatici, amanti, gentili, corretti significa essere dei vincenti.

E così, ora, sono pronta per rispondere alle tue tre domande finali.

Lei che ne pensa di tutto ciò?

Penso che i bulletti che ti hanno dato quei soprannomi sono dei prepotenti, malati di fragilità e cattiveria.

 

Come possiamo evitare questi pregiudizi?

Bisogna riconoscerli e portarli da assoluti a relativi. Devi cambiare il tuo punto di vista, relativizzando quel pregiudizio (Chi lo dice? Con che tono lo dice? A chi lo dice? Perché?). Non permettere ad un pregiudizio offensivo di farti soffrire. Piuttosto osservalo e fagli scacco matto, tenendo tu il timone della situazione.

 

Che cos’è l’amore per lei?

Non esiste una definizione di amore, perché l’amore non è un concetto o un’idea, ma un’esperienza, un’azione, un fare.

Una canzone non è tale, finché non la canti.

Una campana non è tale finché non la suoni.

E l’amore non è amore, finché non lo doni

Ama Tiziana!

Ama te stessa, gli altri e Dio.

Sii riconoscente alla vita e vinci la buona battaglia, diventando una brava persona!

 

P.S. Guardati questi quattro spot contro quei perdenti chiamati “bulli”…

https://www.youtube.com/watch?v=EBcftGbB8I4

 E poi leggiti questi consigli pratici su come combattere i pregiudizi: http://it.wikihow.com/Abbattere-i-Pregiudizi

 

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