“Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (Fedor Dostoevskij)

“Cosa farei se avessi 24 ore di libertà? Andrei a sentire l’odore dell’erba appena tagliata”

“Chissà cosa darei per accompagnare mia madre a fare la spesa e spingerle il carrello”

“Spacciavo perché ero un illuso affamato di amore. Mi sentivo cercato da tutti e con la bella vita a portata di mano. Troppo tardi ho capito che stavo rovinandomi. E’ che l’apparenza ci imprigiona il cervello e non ci fa più capire ciò che vale veramente”

“Il momento più doloroso è stato sentire il pianto di mio padre quando gli ho detto che lo stavo chiamando dal carcere. A volte mi chiedo come facciano, i miei genitori, ancora ad amarmi e starmi vicino”

“No, dopo che sono stato arrestato tutti i miei amici mi hanno abbandonato. Ma forse non erano amici”

“Cosa ho fatto la prima notte? Ho pianto. E poi anche la seconda notte ed anche la terza. Ho pianto per quindici notti, sfinito dalla tristezza che mi entrava dentro le ossa”

“Il dolore del carcere si allarga all’intera famiglia. Non siamo solo noi a soffrire”

“Ho sbagliato ed è giusto che io sia qui. Voi ragazzi siate più in gamba di me”

“Gli anni in cui sono stato sballottato tra un collegio e l’altro, hanno segnato la mia esistenza. Ora sto cercando di riprendere in mano il timone della mia vita”


I detenuti parlano con i nostri ragazzi ed i ragazzi non battono ciglio.

Ascoltano e chiedono.

Arrivano domande sul pentimento, il rimorso e la coscienza. Sulla vita quotidiana in carcere e sulla fatica di rinascere. Si parla di cose scomode, di sovraffollamento, di autolesionismo e suicidi, di diritti dei carcerati e di sanzioni da parte dell’Europa nei confronti del mondo penitenziario.

C’è una concentrazione piena di rispetto in questo appuntamento con il carcere.

Basti sapere che l’incontro è finito con un’ora di ritardo rispetto all’orario previsto, perché gli studenti continuavano a fare domande e non ne volevano sapere di uscire.

La commozione è tanta (di fronte ad un detenuto che non riusciva a finire il suo racconto per la sua evidente emozione nel ricordare i momenti duri della sua vita, i ragazzi lo hanno aiutato con un applauso pieno di tenerezza).

Le emozioni ci sono venute incontro, diventando le nostre più potenti connessioni con i prigionieri.

Il carcere è un orizzonte che vogliamo credere non ci appartenga, perché a sbagliare sono sempre gli altri. Invece in questi giorni, questi ragazzi proprio lì sono entrati. Hanno varcato la soglia dove gli esseri umani passano tante (troppe) ore a fissare la propria vita andata in frantumi, convivendo con notti insonni piene di eterno
abbandono.

“La prima notte passata in carcere, com’è stata?” chiedono i miei alunni.

E le risposte parlano di lacrime, incredulità, solitudine, paura, rabbia ed una profonda, profondissima angoscia.

La polizia penitenziaria ci ha spiegato che le prime ore in un carcere sono quelle più ad alto rischio di suicidio.

“E quando ti mettono nella tua cella, e senti sbattere il cancello, allora capisci che è tutto vero. L’intera vita spazzata via in quel preciso istante. Non ti resta più niente, solo una serie interminabile di giorni per pensare. Molti novizi danno quasi i numeri la prima notte, e ce n’è sempre qualcuno che si mette a piangere. Succede ogni volta. L’unica domanda è: chi sarà il primo?” (Dal film Le ali della libertà)

In questi mesi (prima a scuola e poi, soprattutto, in queste “immersioni” in carcere), ho visto sgretolarsi muri pieni di preconcetti.

Pian piano ho contemplato ragazzi che smettevano di identificare il detenuto con il suo errore ed iniziavano a guardarlo come una persona. Una creatura umana. Una storia da ascoltare.

Nessuno pensi che sia facile questo cambiamento di rotta!

Il carcere è un tema scomodo.

La “rieducazione in carcere” ancora di più.

Madre Teresa diceva che “Non basta il bene: il bene sia fatto bene”.

Il Mahatma Gandhi rincarava la dose affermando: “Tutti i criminali dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare degli ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di ammalati”

La parola d’ordine del sistema penitenziario è: reinserimento.

Siamo stati in carcere anche per vedere se questa speranza, scritta sui documenti ufficiali, viene attuata davvero.

Abbiamo ascoltato tanto e tanti.

E alla fine?

Cosa ci è rimasto nelle ossa?

Soprattutto lo sbriciolarsi dell’indifferenza, perché un po’ di carcere è entrato nei ragazzi e questa lezione se la sono portata appresso.

Il succo della lezione?

I detenuti stessi ce l’hanno detta, ripetendo senza sosta le tre cose importanti per la vita: una famiglia unita, la semplicità dei piccoli gesti, non vergognarsi delle proprie fragilità.

In fondo siamo tutti nudi, fragili ed alla ricerca di un senso.

Alla fine dell’incontro Luigi (il detenuto più anziano) ha scelto di salutarci con una poesia. I ragazzi hanno voluto riceverne una fotocopia con la dedica.

Molti se la sono attaccata in camera.

Noi oggi l’attacchiamo qui, nel blog.

Buona lettura a tutti!

 

Puoi sempre scegliere

se cavalcare l’onda o lasciarti travolgere.

Puoi sempre scegliere

se reagire negativamente o trasmettere energia positiva.

Puoi sempre scegliere

se criticare o essere d’esempio.

Puoi sempre scegliere

se lamentarti o impegnarti.

Puoi sempre scegliere

se ascoltare col cuore

o farti condizionare dalla mente.

Puoi sempre scegliere

se sorridere o giudicare.

Puoi sempre scegliere,

se essere gentile o avere ragione.

Puoi sempre scegliere

che profumo lasciare dietro di te.

(Danilo Rubello Balbinot)

 

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3 commenti su ““Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (Fedor Dostoevskij)”

    1. Carissima Tania, tema difficile quello del carcere.
      Vedrai che questo post non avrà tanti like come gli altri. Non è facile dilatare il cuore fino ai detenuti.
      La tentazione di vedere solo l’errore e non la persona, è a forte portata di mano.
      Tutto si può capire, ma non il carcere.
      Anche perche, per capirlo, bisogna entrarci.
      E non tutti ce la fanno.
      I miei ragazzi ci sono entrati dentro con mente e cuore uniti. Hanno chiesto, fatto domande e regalato sorrisi ed abbracci.
      E alla fine?
      “Ci torniamo vero prof?”
      “Sì ragazzi, è una promessa!”

  1. Buongiorno Cristina,
    ho appena finito di leggere il nuovo post e nn vorrei essere nuovamente ripetitiva nell’esprimere la bellezza e semplicità d’animo che adoperi nello scrivere ma è ciò che penso, complimenti!!!
    Anche questa volta hai toccato un tema non facile ma di cui se ne è parlato ampiamente anche nei giorni scorsi grazie alla visita di Papa Francesco nel nostro carcere milanese e (per chi l’avesse seguito) l’intervento di don Marco Pozza a “A Sua immagine”.
    E’ vero che al primo impatto è facile giudicare e puntare il dito contro ogni detenuto ma poi… poi se si riflette e soprattutto se si parte dal presupposto che il detenuto prima di tutto è una PERSONA, allora forse si possiamo condannare il “gesto” qualsiasi esso sia ma nn la persona, perchè in primis nn sappiamo nulla di lei, delle sue origini, del suo vissuto, di cosa l’abbia spinta a tanto ecc., la persona deve essere aiutata, con un percorso non facile ma possibile, a comprendere gli errori commessi e, SOPRATTUTTO, a riprendere le redini della propria vita in modo dignitoso.
    Io sono dell’idea che la maggior parte delle nostre carceri, così strutturate, non servono a nulla se nn addirittura ad incattivire ed inaridire di più l’animo dei detenuti come invece, grazie a Dio, ce ne sono alcune veramente degne di nota per il lavoro che svolgono e per i risultati che ottengono.
    Infine, lascio una carezza ai tuoi meravigliosi studenti che hanno sicuramente una mente aperta ma anche un cuore pulsante …

    A te cara Cristina, un immenso grazie e un affettuoso abbraccio, a presto.

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