Ho vinto io!

L’inizio.

“Pronto? Prontooo??? … Ragazzi, silenzio che non sento!!!”

Provate voi ad ascoltare un interlocutore qualsiasi, stando su un pullman con 55 quindicenni che scalpitano per l’entusiasmo. Sono felici. È tutto l’anno scolastico che racconto loro storie di cadute e di rinascita ascoltate a San Patrignano e finalmente oggi, 2 maggio 2019, è arrivato il loro turno di partire con me.

Pronto? Mi scusi sa…sono in viaggio con i miei studenti…ora la sento…mi dica”

“Buongiorno Maria Cristina, è l’ospedale. La chiamo perché, in seguito alla mammografia che ha fatto il 19 aprile i medici hanno deciso di farle fare un’ecografia per ulteriori accertamenti”

Va bene. Mi dica pure la data

L’aspettiamo il sei maggio alle 15.00”

Perfetto! Grazie per avermi chiamato

Le mie colleghe mi guardano con l’aria un po’ preoccupata ma non osano commentare. Io sorrido e dico: “Non è niente. Anche dopo l’ultima mammografia mi hanno poi richiamata per fare un’ecografia. Sono molto scrupolosi in quel reparto”

E ricomincia la gioia del viaggio.

1.

Lunedì sei maggio 2019. La dottoressa “giovane&gentile” fissa il monitor dell’ecografo come ci fosse il documentario più interessante del mondo. È concentratissima. Passa e ripassa quella specie di sonda sul mio seno ed i suoi occhi sono tutti per quegli ultrasuoni che formano immagini strane sullo schermo.

Io sono tranquillissima. Dopo pranzo mio marito mi ha salutata ed io non gli ho neanche detto che avevo un appuntamento all’ospedale. Non mi è proprio venuto in mente. Ho messo la telefonata del due maggio nel file “scrupolosità di routine” del nostro eccezionale reparto di senologia.

La dottoressa “giovane&gentile” viene raggiunta dalla dottoressa “affascinante&scrupolosa”. Questa volta sono in due ad essere concentratissime su quel monitor. Io continuo ad essere tranquilla ma inizio a sentire dei piccoli punti interrogativi che si affacciano nella mia mente.

C’è qualcosa che non va?

Ma no! Anche nell’ultima ecografia è successa la stessa cosa.

Alla fine azzardo la domanda: Ma…c’è qualcosa di strano?”

Mi rispondono con tono tranquillo. Però mi parlano di calcificazioni…di qualcosa che meriterebbe un approfondimento …

Ecco eh! Ecco che la parola che mi mette tanta paura arriva.

La parola “ago”!

Me lo sento che sta arrivando.

Non so perché ma il mio terrore degli aghi me lo porto appresso da sempre.

Guardi” mi dice la dottoressa “affascinante&scrupolosaio credo sia il caso di fare un agoaspirato perché…”

Tutto il mio mondo interiore va in stato di allarme!

Bip! Bip! Bip! Attenzione: ago in arrivo! Ago! Ago!

Esternamente ascolto tranquilla. Internamente vorrei scappare.

Provo a fare una trattativa.

Ma credete sia proprio necessario? Possiamo rimandare a tra un po’ di mesi. Magari non è niente e …”

La dottoressa “affascinante&scrupolosa” neanche mi fa finire la trattativa.

Sorride decisa: No Maria Cristina. Non possiamo aspettare

Mi spiega un sacco di cose. Sento tante parole. Calcificazioni. Noduli. Prelievo di tessuto mammario. Analizzare cellule. Alterazioni mammarie. Esame citologico…

Io continuo ad essere calma esternamente.

Poi, vergognandomi un po’, sorrido ed ammetto la mia colpa: “Perché io ho il terrore degli aghi eh…”

Interviene sorridendo la dottoressa “giovane&gentile”: Non si preoccupi. L’ago è sottilissimo e…”

Oddio! Ha ridetto la parola ago!

Sono una cretina. Dovrei preoccuparmi di quello che potrebbe venir fuori dall’esame citologico e non di quel benedetto ago. Ma con le fobie non è che ci si ragioni tanto.

Esternamente continuo ad essere calma. Sorridente. Paziente (in tutti i sensi).

E siccome oggi è un giorno calmo ed abbiamo l’infermiera libera, perché non lo facciamo ora l’agoaspirato?”

Dentro di me grido: Oraaaa????”.

Fuori di me sussurro: Beh, non immaginavo che oggi avrei…”

Vuole chiamare qualcuno che le faccia compagnia?”

E chi chiamo? Chi metto in allarme?

No. Non chiamo nessuno. Facciamo così, vi nomino ufficialmente miei angeli custodi per questa faccenda. Io ho terrore degli aghi ma voi sorridete. E questo mi piace tanto. Procediamo”.

Entra un’infermiera con il suo carrellino. Era nella stanza accanto ed ha sentito tutto. Mi sorride e mi dice: Non si preoccupi, non sentirà niente”. Poi la dottoressa “giovane&gentile” aggiunge: Le faccio solo una piccola punturina per l’anestesia. Solo quello sentirà. Ora non guardi. Si volti all’altra parte”.

Grazie! rispondo sorridendo.

Mi volto. Arriva l’ago. Non sento quasi niente. Mi do della cretina. Vorrei abbracciare la dottoressa per la sua bravura ed il suo sorriso.

Io sto ferma. Buona, buona. Cerco di afferrare ogni minima frase detta in quella stanza, per capire quello che sta accadendo. Cerco di immaginarmi un mese dopo mentre, con le mie amiche, ci riderò sopra. Ma lo sai che ho avuto un po’ di paura ed invece…No, no! Non era niente! Tutto apposto! Viva la vita!”

Ma poi ritorno continuamente alla realtà.

Entra un terzo medico. È sorridente anche lui, grazie a Dio!

È scherzoso. Triplo salto di gioia dentro di me.

Ho l’allergia per le persone che scambiano la serietà con la seriosità. Mi mettono ansia e pesantezza addosso. Invece chi mi sorride mi salva dall’agitazione.

Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso” diceva Madre Teresa di Calcutta.

Il sorriso abbinato all’ironia, poi, è potentissimo! Salva il mondo intero.

Per ora quel medico, con i suoi modi scherzosi, sta salvando il mio mondo interiore!

È stato chiamato dalle due dottoresse che hanno difficoltà ad individuare bene entrambi i punti in cui si celerebbe il problema. Scoprirò poi che il problema è proprio abile a giocare a nascondino. Ma le due dottoresse sono decise a fargli Tana!. Il dottor “professionale&scherzoso” le incoraggia ridendo: “Ma te guarda queste due come sono brave! E a che vi servo io?”

E rivolto a me dice: Sta in ottime mani!”.

Ne sono certa.

Dio mi ha messo vicino due angeli custodi in camice bianco, su cui sto travasando tutta la mia fiducia.

I fatti poi mi daranno ragione.

Capisco che stanno cercando in due punti diversi. Due problemi diversi. Cercano di stanarli entrambi con l’agoaspirato. Ci stanno provando.

Io sto lì. Silenziosa. Buona, buona. Cogliendo ogni occasione per sorridere.

Dentro di me, fin dall’annuncio di “agoaspirato” ho chiamato a raccolta san Francesco, santa Chiara, il mio angelo custode, Maria…ed infine mi sono rivolta anche al Grande Capo: Dio. Cerco di giustificare questa mia chiamata alle armi con un Lo so che c’è chi sta peggio di me, ma ora ho paura. Che ci posso fare? Mi state vicino? Mi mandate solo gente sorridente? Ho bisogno di ridere anche qui. Ora. Con un ago nel mio seno sinistro che sta inoltrandosi per carpire il segreto del “problema”

Alla fine, la fine è arrivata.

Già fatto?” dico ridendo ai miei due angeli custodi.

Una ventina di minuti in cui, pian piano, la tranquillità ha preso il posto dell’ansia.

La chiameremo appena saranno arrivati i risultati da Ancona”

Grazie di tutto!”

Esco dall’ospedale.

Finalmente il sole!

E poi i fiori, la brezza sulla pelle, le fronde degli alberi che si muovono a ritmo… tutto mi sembra bellissimo!

Penso: Ma allora è così che ci si sente quando si sospetta la presenza di un tumore. Improvvisamente tutto diventa più bello!”

Aggiungo tra me e me: Sicuramente non ho niente, ma intanto questo dubbio che ho lo voglio usare bene. Lo sfrutterò per prolungare il più possibile questa sensazione stupenda!”

Quel giorno la commozione per la bellezza della vita mi ha avvolta ed io mi ci sono piacevolmente abbandonata.

2.

La luccicanza. Lo so. In italiano non esiste questa parola. Però a me piace tanto. La luccicanza. O, per dirla con Stanley Kubrick , l’irresistibile richiamo dello shining, della luccicanza che sembra avere in sé qualcosa di soprannaturale.

Ecco. I giorni seguenti al sei maggio ho iniziato ad accorgermi della luccicanza”. Tutto è cominciato con gli abbracci di alcune mie colleghe e colleghi, tra i primi a saperlo. Siamo insieme tutti i giorni e con alcuni, inevitabilmente, si diventa come una famiglia. E così, nei miei confronti, è iniziato un tran tran affettivo. Una quotidianità fatta di “Cri, ti è arrivata la risposta dell’agoaspirato? Come stai? Buongiorno tesoro! Oh, fammi sapere appena sai qualcosa! Ti penso sempre eh!”.

Dal mese di maggio non mi hanno mai più lasciata sola.

Anche durante l’estate. Anche durante le vacanze.

Poi, pian piano, si è formato un esercito di persone che mi ha incoraggiata, lanciandomi frecce d’amore.

Prima ancora che sapessi con certezza…

Prima ancora che ci fosse il responso medico…

Dio mi ha fatto entrare nella luccicanza, circondandomi con il suo amore che mi raggiungeva attraverso l’affetto degli altri. Lui sa che io mi deprimo se mi sento sola ed ha rimediato subito.

Ecco: la luccicanza è dare un contorno soprannaturale a quello che ci capita.

Non siamo soli.

Non siamo esseri abbandonati alla fortuna o alla sfortuna.

E poi? Cosa è la fortuna o la sfortuna?

Vinciamo miliardi alla Lotteria e pensiamo sia un colpo di fortuna.

Perdiamo la salute e pensiamo sia una tragedia.

Ma la vita non è fatta dagli eventi, ma da come noi reagiamo ad essi.

Quando ci capita qualcosa di brutto, ci mettiamo subito paura. Così quel “qualcosa” lo neghiamo finché possiamo. Lo fuggiamo. Lo minimizziamo.

E anche gli altri, frequentemente, lo fanno con noi.

Vedrai che non è niente. Anche mia cugina ha dovuto fare il tuo stesso cammino ma, alla fine, non era niente. Anche a me è capitato così, ma poi…”.

Parola d’ordine: sdrammatizzare sempre e comunque.

In realtà mi sono resa conto che nel “dramma” bisogna entrarci.

Se, spinti dalle nostre paure, cerchiamo di non attraversare la notte, rischiamo di non capire l’insegnamento che la vita ci sta dando in quel buio.

L’arte dello struzzo non è una buona cosa per noi creature umane. Però la mettiamo in atto.

Abbiamo tanta paura di soffrire. Di star male. Di morire. Per cui ogni scorciatoia che ci fa illudere di buttare la notte un po’ più in là, la scegliamo.

È umano. Il buio non è mai piacevole.

Ma dobbiamo resistere.

«Bisogna studiare, bisogna crescere, bisogna frequentare anche i vicoli malsani per essere poeti apprezzati» diceva Alda Merini. Traduco per me: bisogna capire, bisogna maturare, bisogna passare anche nelle valli oscure per diventare creature di Luce.

La vita solitamente ci spiazza. Sappiamo che esiste il male, la sofferenza, la malattia, ma pensiamo sempre che sia un problema degli altri. Poi arriva anche a noi e la domanda delle domande invade la nostra anima: Che senso ha tutto questo?”.

Sono i momenti in cui diventiamo allergici alle risposte facili, alle frasi-slogan e la nostra sete di felicità diventa ancora più forte.

Non vogliamo arrenderci alla sfiga del momento.

È un cammino faticoso e, per certi versi, innaturale.

Sono attimi in cui vorremmo liberare la felicità dalla prigionia del motto: “La felicità ce l’hai quando tutto ti gira per il verso giusto”.

Piano piano, si fa avanti un’intuizione: la felicità non può essere solo la diretta conseguenza dell’assenza di problemi.

Fosse così saremmo fregati in partenza.

Quanti sono i momenti in cui tutto ci va bene?

Proprio tutto! Salute, amore, lavoro, amici, famiglia…

No, la felicità non può essere relegata nell’assenza perfetta di problemi.

Sarebbe merce rarissima. Forse irreale. Destinata a scivolarci addosso in rari istanti privilegiati, per poi lasciarci quasi subito.

Non può essere così malinconica la nostra vita.

Non si può pensare di vivere in una valle di lacrime, tranne rari istanti fortunati.

Così quando mi volevano convincere della semplice soluzione: Tu non hai niente vedrai. Non ti preoccupare”, io sorridevo perché avvertivo l’assoluta buona volontà dell’interlocutore. Ma, con altrettanta chiarezza, percepivo che non potevo fissarmi sull’assenza del tumore per afferrare la mia felicità.

Volevo trovare qualche altra soluzione.

Alla fine mi sono risposta che la felicità ce l’hai in te quanto percepisci che la tua vita non è sbagliata ma significativa. E non importa che tutto ti sia contro e tutto sia faticoso. Se capisci che quel passare in un vicolo malsano è significativo, in un certo qual modo tu sei felice e diventi un poeta della vita.

È l’irresistibile richiamo della luccicanza che ti fa intuire il senso soprannaturale di quello che stai vivendo.

Se non fossimo convinti che dietro le cose che ci mettono paura ci fosse anche la felicità, non l’affronteremmo nemmeno.

Abbiamo scritto tanti aforismi per incoraggiarci in questo senso.

La felicità è una scelta quotidiana. Non la trovi in assenza di problemi. La trovi nonostante i problemi (Stephen Littleword)

La felicità è un percorso, non una destinazione” (Madre Teresa di Calcutta)

La felicità può essere reale solo se le persone considerano la loro vita come un mezzo e hanno un obiettivo definito al di fuori di se stessi e del loro appagamento personale (Lev Tolstoj)

Li postiamo nei social.

Li mettiamo nei dialoghi con gli altri.

Poi arriva il momento in cui dobbiamo scegliere di passare dallo scrivere allo sperimentare.

Deciderci di aver fede davvero nella vita.

Sentiamo come un sesto senso dentro di noi che ci invita ad andare avanti. E se qualcuno ci chiedesse il motivo di tutto questo, probabilmente neanche sapremmo rispondere con le parole.

Dentro di noi c’è qualcosa o Qualcuno che preme per farci attraversare quel buio.

Sentiamo che in quell’attraversamento troveremo qualcosa di importante per noi.

Per capire la vita bisogna affrontare la vita.

Se ti fermi a filosofeggiare, a teorizzare, rischi di incartarti nelle tue stesse speculazioni (spesso anche un po’ narcisistiche).

Ma se la vita l’affronti …se provi anche a capirla … forse, alla fine del percorso, qualcosa comprenderai sul serio!

Probabilmente è per questo che siamo tanto attratti dai testimoni della felicità e ci annoiano i convegni sul tema.

Siamo sedotti dai fatti e non dai blababla. Solo la realtà ci convince che è possibile essere sereni, nonostante tutto.

Abbiamo bisogno di “vedere” con i nostri occhi che la vita ci aspetta.

È normale essere spaventati dalla sofferenza e dalla fragilità. Non a caso nascondiamo la malattia e la vecchiaia a tutti i costi.

Rendiamo invisibili le persone fragili.

Le evitiamo con imbarazzo.

Non vogliamo fare i conti con queste cose.

Ma per un motivo molto semplice: quando guardiamo una persona malata, immaginiamo noi in quelle circostanze e ci sentiamo schiacciati dall’idea che quella cosa possa capitare a noi.

Invece la vita dà sempre una “grazia” a chi porta una “croce”.

La vita è Dio.

Per questo osservare la felicità di coloro che stanno passando una grande difficoltà, ci fa vedere l’aiuto di Dio per ognuno di noi.

Ci fa credere sul serio alla Grazia.

Ci rasserena.

Ci fa riposare, ovunque noi siamo.

Se anche dovessi passare in una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me” (Salmo 22)

Guardiamo con ammirazione chi attraversa la valle oscura senza disperarsi, ma in realtà noi non ci capiamo niente, perché siamo fuori dalla grazia che loro vivono.

Finchè…

Finchè quella grazia non tocca anche noi, viandanti della valle buia e dei vicoli malsani. Allora anche noi potremo avere l’occasione di comprendere meglio la vita. Dio. La sua grazia.

Quando mio marito mi stava per morire tra le braccia per un aneurisma, io (giovanissima e oscillante tra la fiducia e la disperazione) un giorno mi misi a parlare con un’altra donna che, come me, aveva il giovane marito in rianimazione. Mi disse una frase che non ho mai più dimenticato.

Forse perché me la disse con la luccicanza negli occhi.

Una dis-grazia è sempre una bis-grazia”.

 

 3.

Un giorno imprecisato di maggio 2019. Pronto? Parlo con Maria Cristina? Qui è l’ospedale. Senologia. Sì, sono io. Prego; dica pure. Ecco, ricorda che nell’ultima ecografia, mentre facevamo l’agoaspirato, le dicevo che stavamo cercando di vedere bene la natura di due punti diversi?”

Certo che me lo ricordavo. Due punti. Due problemi. Due possibili tumori. È inutile che ci giro intorno.

Sento la dottoressa “affascinante&scrupolosa” che mi spiega tutto nei minimi particolari. Il secondo “problema” non è stato localizzato bene e, quindi, non abbiamo l’analisi precisa. Insomma: non sappiamo bene chi è l’intruso. Bisogna ripetere l’agoaspirato.

Respiro. Resto in silenzio. Stranamente sono calma. Non mia allarmo.

Al telefono ascolto una parola nuova: mammotome.

Mammotome?

Ma che è?

Non oso chiedere chiarimenti.

Mi fido della dottoressa “affascinante&scrupolosa”. Se lei me lo chiede, vuol dire che va fatto.

L’aspettiamo il 21 maggio in reparto”

“Grazie dottoressa

Ma poi, dopo un po’ di giorni, ricevo un’altra chiamata.

Pronto? Volevamo avvertirla che, purtroppo, per un disguido tecnico, il 21 maggio non possiamo fare più il Mammotome. Abbiamo un’altra data da proporle: martedì 4 giugno. Può andare?”

Nooo! Il quattro giugno no! In pochi secondi dentro di me devo prendere una decisione su cosa rispondere. Sento il combattimento interiore. Quel giorno dovrei portare i meravigliosi studenti del 4° del Liceo Artistico nell’Eremo di Val di Sasso. Sono tre mesi che prepariamo quest’uscita! Abbiamo studiato il cammino francescano, abbiamo rapito il mitico padre Ferdinando Campana ai suoi numerosi impegni per ascoltare le sue affascinanti spiegazioni storiche, abbiamo chiesti tutti i permessi del mondo per l’uscita didattica, abbiamo dato il nostro “OK” al Festival Francescano cittadino… e ora annullo tutto? Quando san Francesco chiama, Maria Cristina risponde. Funziona così nel mio mondo interiore. E così prendo la decisione. Serenamente ma con fermezza.

Mi spiace tanto, ma quel giorno proprio non posso”.

“Mannaggia!!! Allora slitta più in là quest’appuntamento”.

Sento la dottoressa “affascinante&scrupolosa” sinceramente preoccupata per me per questo slittamento. L’ascolto mentre parla tra sé e sé alla ricerca di un’altra possibile data.

Allora Maria Cristina, la prossima data sarà … sarà…”

Mi dispiace crearle questo inghippo, ma davvero non me la sento di lasciare i ragazzi nel nostro bellissimo finale all’Eremo di Val di Sasso. Ci tengo troppo.

Sarà martedì nove luglio. Va bene?”

Capisco che quel va bene non ammette repliche. Io le sono tanto grata per avermi trovato un’alternativa.

Grazie dottoressa! Grazie davvero! E certo che va bene!”

Una settimana prima del nove luglio la dottoressa “affascinante&scrupolosa” mi chiamerà di nuovo a casa.

Per sincerarsi della mia presenza per il nove luglio. Per farmi di nuovo capire l’urgenza. Per esser il mio angelo custode (aggiungo io).

Luisa, una mia collega-amica, dopo l’intervento chirurgico, mi dirà: “Il giorno in cui hai rinviato il mammotome per la scuola, ti avrei ammazzato. Incosciente che non sei altro!”

A volte l’affetto vero passa anche attraverso le minacce di morte.

 

4.

Martedì 9 luglio 2019: incontro il mammotome. Non avevo mai sentito questo nome prima. Non sapevo neanche che esistesse questo coso strano. Io vivevo ad est e lui viveva ad ovest. Non ci eravamo mai incontrati. Poi, in una calda giornata di luglio, qualcuno ci ha presentati.

Il dottor “rilassante&delicato” mi accoglie insieme a due infermiere e, sorridendo, me lo presenta.

Non si preoccupi. Le spiegherò passo passo quello che faremo”

“Se ci sono dei problemi noi siamo qua” aggiunge l’infermiera con gentilezza.

Evidentemente il mio sorriso non riesce a nascondere del tutto l’ansia.

Ma è una preoccupazione solo iniziale, perché poi…

Il dottor “rilassante&delicato”, con quel suo modo pacato e tranquillo di spiegarmi il procedimento, mi fa sentire protetta e non sottoposta ad un esame clinico. Mi spiega davvero ogni cosa.

Ora sentirà…però durerà poco perché…ora deve stare ferma ferma …brava…bravissima…”

Io sono immobile. Non parlo. O meglio, parlo sempre con la mia truppa d’assalto: san Francesco, santa Chiara, il mio angelo custode, Maria…e poi il Grande Capo: Dio!

Quando capisco che è tutto sopportabile… che tutto è molto tranquillo… che c’è un’anestesia di mezzo (Dio benedica ogni giorno i medici che hanno contribuito a scoprire l’anestesia)… non mi mette più ansia neanche il suono della piccolissima sonda che entra nel mio seno per raccogliere i campioni di tessuto per la nuova biopsia.

L’infermiera ogni tanto si avvicina alle mie spalle e mi sussurra gentile: Tutto bene? … Sta andando benissimo…Brava!”. È incredibile come, in certe circostanze, anche la più piccola frase incoraggiante la vivi come fosse il tifo di un intero stadio.

Io ringrazio Dio per averci dato l’intelligenza e, ad alcuni, la passione e la voglia di scoprire sempre cose nuove in campo medico. È grazie a queste persone che c’è il mammotome, una strumentazione di altissimo valore che permette di fare diagnosi affidabili anche su lesioni microscopiche, senza dover ricorrere all’intervento chirurgico.

Spero che in paradiso Dio abbia pensato di dedicare un’area fantastica per i medici!

Una volta ero al mare ed un mio alunno, sotto l’ombrellone, mi dice: Prof, ma è vero che nella Bibbia non si parla mai di scienza? Di medicina?”. Sottofondo di quel quesito estivo: “Prof, ma è vero che la chiesa ce l’ha con la scienza?”.

“Tesoro, appena puoi vai a leggerti il cap.38 del Siracide. Poi a scuola approfondiremo”

Quel capitolo me lo lessi la prima volta nel maggio del 1994 mentre ero al capezzale di mio marito ed un’amica me l’aveva inviato dicendomi: Cri, vedrai che Gianni si riprenderà. Stai tranquilla. I medici saranno bravissimi e lo guariranno. Vai a leggerti il Siracide 38 e preghiamo tutti Dio che guidi le mani dei dottori mentre lo opereranno all’aneurisma

“Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,

l’uomo assennato non li disprezza…

Dio ha dato agli uomini la scienza

perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie.

Con esse il medico cura ed elimina il dolore

e il farmacista prepara le miscele.”

Come abbiamo fatto a richiudere Dio in una sagrestia?

E come abbiamo potuto dividere il mondo in angoli sacri ed in angoli profani?

Un giorno scopriremo che Dio è nei luoghi più impensati e la sua volontà illumina l’agire delle creature più inaspettate.

Il nove luglio sono uscita da quell’esperienza medica con in tasca la gratitudine. Per cosa?

Per quel medico, per quelle infermiere, per mio marito che mi stava aspettando fuori, per Giorgia, la mia nipotina che mi veniva incontro e per Dio che mi aveva messo intorno quel prato fiorito.

Perché il Signore della vita ha promesso di aiutarci nei fatti; non nell’immaginazione dei fatti.

Ora ero lì, e lì Lui era.

 

 

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