Felicia Bartolotta: la madre che aveva vene piene di dolore, coraggio ed amore!

Si chiamava Felicia. Felicia Bartolotta.
Era nata in una famiglia che aveva qualche appezzamento di terra, coltivato ad agrumi e ulivi. Una vita semplice. Il padre era impiegato al Comune e la madre casalinga.
Nel 1947 Felicia si sposa con Luigi Impastato.
Luigi proveniva invece da una famiglia di piccoli allevatori, ma legati alla mafia del paese.
Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe, detto Peppino e nel 1953 arriva il secondogenito Giovanni.
Luigi Impastato aveva una sorella sposata con il capomafia del paese: Cesare Manzella. Nel 1963 il cognato verrà ucciso nella sua auto imbottita di tritolo.
Booom!
Quel boato esploderà ed esploderà tante volte nella mente di Peppino, un adolescente di quindici anni pieno di domande e di voglia di capire. Già da tempo aveva iniziato a riflettere sui dialoghi sentiti tra il padre e lo zio.
Felicia racconterà che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora!».
Piano piano Peppino scoprirà che l’ingiustizia e la violenza passavano vicino casa sua. Dentro casa sua!
Felicia è una donna intelligente e l’affiatamento con il marito durerà molto poco. Subito le cose andranno per storto invece che per dritto.
Lei stessa dirà: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre’».
Felicia non è un’ingenua. Intuisce. Capisce. Non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Cesare Manzella.
Litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico.
Felicia non vuole stare dalla parte della prepotenza.
Il marito invece ci è sempre convissuto senza tanti problemi.
Il contrasto tra loro due diventerà enorme quando Peppino inizierà la sua attività di denuncia della mafia.
Quel figlio parlava di giustizia, il marito correva dietro all’ingiustizia.

Per Felicia inizia il periodo delle grandi scelte, fatte tra lacrime ed amore.
Per quindici anni la vita di questa donna sarà una continua lotta.
La sua anima si preparava al dolore dei dolori.
Felicia sceglie.
Sceglie di stare dalla parte del figlio. E lo sarà fino alla fine.
Quel Peppino tanto amato e tanto pericolosamente ribelle.
Quel figlio che denunciava potenti locali e mafiosi, che rompeva con il padre, che si impegnava nel mondo della politica per entrare nelle losche attività comunali, che apriva una radio per svergognare l’onore a cui i mafiosi tenevano tanto e che formava un gruppo di amici pazzi come lui.
Felicia difende quel figlio come può.
Lo difende dal marito che, nel frattempo, lo aveva cacciato di casa.
Ma lo difende anche da se stesso.
Quando viene a sapere che Peppino aveva scritto sul foglio ciclostilato “L’idea socialista” un articolo sulla mafia, va in giro per il paese per raccogliere le copie e distruggerle. E quando l’attività politica di Peppino entrerà nel vivo, non ha il coraggio di andare a ascoltare i suoi comizi, ma intuendo di cosa avrebbe parlato chiede ai suoi compagni di convincerlo a non parlare di mafia. E a lui: «Lasciali andare, questi disgraziati».
Lo vorrebbe vivo, protetto. Intuisce che il finale di quella storia non sarà come il lieto fine delle favole.
Morto il marito in un oscuro incidente, Felicia sa perfettamente che per Peppino il pericolo è aumentato: «Guardavo mio figlio e dicevo: ‘Figlio, chi sa come ti finisce’. Lo andai a trovare che era a letto, gli dissi: ‘Giuseppe, figlio, io mi spavento’. E come apro quella stanza, ché ci si corica mia sorella là, io vedo mio figlio, quella visione mi è rimasta in mente».
Arriva il 9 maggio 1978.
E’ mattino ed il corpo dilaniato di Peppino viene ritrovato.
Lo hanno ucciso il giorno prima delle elezioni politiche.
La mafia non poteva rischiare di averlo in consiglio comunale.
Lo hanno ucciso a pietrate e poi messo sulle rotaie della ferrovia.
Poi, di nuovo: booom!
Un altro booom!
Vorrebbero farlo passare per un brigatista, per un attentatore, per un delinquente violento…
Una marea di dolore si abbatte sul cuore di Felicia.
Questa madre cade sotto i colpi della disperazione.
Ma si rialza.
Eccome se si rialza!
Passerà il resto della sua vita a costruire, mattone dopo mattone, speranza dopo speranza, coraggio dopo coraggio, la verità sulla morte di quel figlio amatissimo.
Felicia, dopo alcuni giorni di smarrimento, deciderà infatti di costituirsi parte civile nel processo per l’omicidio di Peppino. Una decisione che nelle sue intenzioni doveva servire anche per proteggere Giovanni, il figlio che le era rimasto e che, al contrario, in quegli anni si è impegnato assieme alla moglie (anche lei Felicia), per avere giustizia per la morte di Peppino.
Felicia ricorda: «Gli dissi: ‘Tu non devi parlare. Fai parlare me, perché io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare come possono fare a te’».
Per questa decisione ha dovuto fare ancora una volta una scelta radicale, rompere con i parenti del marito che le consigliavano di non rivolgersi alla giustizia.
Al contrario, da allora Felicia ha aperto la sua casa a tutti coloro che volevano conoscere Peppino.
Mai è stata piegata dalle delusioni, quando sembrava che non si potesse ottenere nulla o dagli acciacchi di un’età che andava avanzando.
Al processo contro Badalamenti (fortemente voluto da lei e dal figlio Giovanni), arrivato dopo 22 anni, con l’inchiesta chiusa e riaperta più volte grazie anche all’impegno di alcuni compagni di Peppino e del Centro a lui intitolato, con il dito puntato contro l’imputato e con voce ferma, lo ha accusato di essere il mandante dell’omicidio di suo figlio.
Quel figlio tanto amato!
Badalamenti è stato condannato, come pure è stato condannato il suo vice.
Entrambi sono poi morti in carcere.
Felicia aveva sempre detto di non volere vendetta ma giustizia.
A chi le chiedeva se aveva perdonato, rispondeva che delitti così efferati non possono perdonarsi e che Badalamenti non doveva ritornare a Cinisi neppure da morto.
Il giorno in cui i rappresentanti della Commissione parlamentare antimafia le hanno consegnato la Relazione, in cui si diceva a chiare lettere che carabinieri e magistrati avevano depistato le indagini, disse: «Avete risuscitato mio figlio».
Felicia ha accolto sempre con il suo sorriso tutti, in quella casa che soltanto negli ultimi tempi, dopo un film che ha fatto conoscere Peppino al grande pubblico, si riempiva, quasi ogni giorno, di tanti, giovani e meno giovani che desideravano incontrarla. Rendendola felice e facendole dimenticare i tanti anni in cui a trovarla andavano in pochi e a starle vicino erano pochissimi. E ai giovani diceva: «Tenete alta la testa e la schiena dritta».
Muore il 7 dicembre 2004 nella sua casa a Cinisi.
Il 21 febbraio 2007 nel Teatro Gentile con i miei studenti ascoltammo tutta la storia dalle parole di Giovanni Impastato. Lo avevamo invitato ed avevamo preparato l’incontro per mesi. Lo andammo a prendere all’aeroporto in piena notte e lui ci raccontò aneddoti e coraggio.
Nel mese di maggio andammo a Cinisia visitare la casa di Peppino Impastato. Sfogliammo i suoi quaderni e leggemmo i suoi appunti.
E infine facemmo i cento passi, la distanza che vi era tra la casa di Peppino e la casa di Badalamenti.
Viva le madri che difendono la vita, fino alla fine. Perchè non si è madri solo per aver messo al mondo un figlio. C’è tutto un “dopo” da far fiorire! ❤
M.C.????

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