Il potere delle parole

Una donna offrì un tubetto di dentifricio alla figlia, invitandola a versare del prodotto su un piatto. Una volta finito le chiese di rimettere tutto il dentifricio nel tubetto.
“Ma non ci riesco!”, esclamò la figlia, “Non sarà mai come prima”.

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Buongiorno leggerezza!


Buongiorno leggerezza!????
Mi inchino di fronte alla tua voglia di farmi camminare, senza fardelli pesanti.????
Di te mi piace che mi fai sentire bella, anche se un solo soffio potrebbe cambiarmi.????
Mi attrae quell’abito delicato fatto di mille ricami conquistati con le prove della vita.????
Mi metto sulle punte, anche se i miei piedi hanno mille ferite.????
Mi faccio un bello chignon mattutino, ma lascio un capello fuori posto perché questa è la vita. ????

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Innamoratevi!

Innamoratevi!

Credo che, alla fine, sia questo l’unico antidoto per non uccidere l’anima. Innamoratevi di qualcuno o di qualcosa, ma fatelo!

Innamoratevi di un gattino, di un fiore, del cielo, di un libro, di una stanza, di un bambino, dell’acqua fresca, del latte schiumoso, di una persona, della giornata che vi attende, di un saluto affettuoso, di una lacrima improvvisa, di una risata gioviale, di un bacio appena dato…ma innamoratevi 

E quando avrete voglia di far tutto, tranne che di innamorarvi? Quando persino per voi stessi proverete fastidio? Immergetevi nella natura e lasciate che sia lei ad amarvi. E lo fa! Continua a leggere Innamoratevi!

La vita incredibile di Araminta Ross: nome in codice “Mosè”

Non sappiamo con precisione in che anno sia nata (tra il 1820 e il 1825), ma sappiamo che ha iniziato la sua vita da schiava.

La sua bisnonna materna, Modesty, era giunta bambina negli Stati Uniti, su una nave di schiavi.

Anche sua madre, Harriett Green, e suo padre, Ben Ross, erano entrambi schiavi.

Ebbero nove figli, una vita drammatica ed una lotta disperata per mantenere unita la famiglia.

Ma il padrone, Edward Brodess, gliene vendette comunque tre.

Dolori immensi per Harriet.

Pure la piccola Araminta, a sei anni, fu venduta ad una certa Miss Susan, per fare da tata al figlio appena nato. Ma la regola era chiara: se il bambino avesse pianto, lei sarebbe stata frustata.

Araminta lo cullava, gli parlava, faceva il possibile per non farlo piangere. Ma un neonato è un neonato. E così lei si trovò le prime cicatrici sulla sua pelle delicata di bambina, a causa di un pianto innocente e di una donna terribilmente colpevole.

La piccolissima Araminta cercava di difendersi dalle frustate indossando diversi strati di vestiti, ma il suo destino era quello di esser frustata quasi tutti i giorni. Un giorno venne frustata per 5 volte prima di colazione, e di quella drammatica esperienza porterà le cicatrici per tutta la vita.

A tredici anni venne mandata a lavorare nella piantagione di un certo James Cook ma la vita era durissima e lei si ammalò di morbillo. Così Cook la restituì al vecchio padrone Brodess e sua madre potè riaverla con sé, curarla e guarirla.

Un giorno fu mandata in un negozio di tessuti per sbrigare alcune commissioni, quando vide uno schiavo in fuga. Era riuscito a divincolarsi dal padrone e stava tentando il tutto per tutto per la libertà.

Lei era proprio sulla traiettoria della fuga del giovane schiavo.

Il padrone iniziò quindi ad urlarle di fermarlo e trattenerlo, ma lei si rifiutò.

Rimase immobile per lasciare allo schiavo il tempo di fuggire.

Allora il padrone, per fermare la fuga del suo schiavo gli lanciò un pezzo di metallo di quasi un chilo, ma colpì lei.

Quel chilo cambiò drammaticamente la vita della giovane Harriet.

Senza nessuna cura medica, passò solo due giorni di convalescenza e poi via! Bisognava a tornare a lavorare nei campi.

Ma da quel giorno, per tutta la vita, lei ebbe fortissime emicranie, vertigini, ipersonnia, attacchi epilettici, svenimenti improvvisi e delle visioni che lei considerava premonizioni divine.

Da queste sue premonizioni e dialoghi con Dio derivò poi l’altro suo nome: “Mosè”.

Come Mosè infatti, per tutta la sua vita, portò una moltitudine di schiavi verso la libertà.

Prima di cominciare a fare come Mosè, si sposò con John Tubman, un uomo libero, e cambiò il suo nome in Harriet Tubman. Ma il suo status di schiava non la lasciava. I suoi figli sarebbero stati schiavi come lei e proprietà dei Brodess. Questo lei non poteva accettarlo.

Intanto i suoi padroni tentarono in tutti i modi di venderla. ma le tante malattie di cui soffriva la rendevano poco appetibile sul mercato. Nel 1849 provarono pure a svenderla ad un prezzo “da saldo” e Harriet tremò all’idea.

Allora iniziò a pregare affinché l’uomo cambiasse idea. Ma Brodess si era intestardito come non mai: Harriet doveva essere venduta. Lei non voleva ed insistette con le sue preghiere, arrivando disperata a chiedere di far morire il suo padrone. Mai avrebbe pensato che quell’uomo terribile, nell’arco di una settimana, sarebbe morto per davvero.

La moglie di Brodess, Eliza Ann, una volta vedova iniziò a svendere tutti gli schiavi che aveva ereditato dal marito. Allora Harriet prese la grande decisione: fuggire.

Era arrivato il momento di liberare se stessa, innanzitutto.

Mai più schiava!

Dirà nei suoi racconti: “C’erano due cose a cui avevo diritto: la libertà o la morte; se non potevo avere l’una, avrei avuto l’altra” Continua a leggere La vita incredibile di Araminta Ross: nome in codice “Mosè”

Sollevami e consacrami ancora!

«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Geremia 1,5) 

Ripetimelo ancora Signore 

Dimmelo quando mi sembra che Tu non mi capisca.

Dimmelo quando Ti sento lontano e indifferente a me.

Dimmelo quando mi sembra di conoscermi meglio di Te, e ti spiego, ti spiego, ti spiego… Continua a leggere Sollevami e consacrami ancora!

L’incredibile storia di Hilde e Chris

Questa incredibile storia parte da un gesto anonimo di grande generosità, che è poi continuato con altri gesti, fino a creare un effetto domino pazzesco.

Avete presente quando gettate un sasso in un lago? Le onde accadono. Sia che voi vi fermiate a contarle ed osservarle, sia che voi vi allontaniate.

Ecco: questa è la storia delle onde!

 

Hilde Back è la donna della foto: ha un dolce sorriso, vero?

Oggi è un’anziana signora ebrea svedese, insegnante in pensione.

Una donna normale, gentile che ha vissuto gran parte della vita da sola.

Nel 1940 lei era una ragazzina. Era ebrea. Era in pericolo.

Ma quell’anno uno sconosciuto benefattore dona dei soldi alla sua famiglia per farla fuggire dalla persecuzione del regime nazista.

Con quel regalo insperato i genitori cercano di rifugiarsi in Svezia fuggendo attraverso il Mar Baltico, ma vengono respinti al confine e solo lei riuscirà ad entrare. Continua a leggere L’incredibile storia di Hilde e Chris

Mai più un giorno infelice

In questi giorni sto leggendo la biografia di Patch Adams.
Ieri me ne sono letta una bella parte, stando in un corridoio di ospedale ad attendere un “verdetto???? ed è stato molto piacevole alternare l’attesa con la sua storia.
Lascio la parola a lui.
“Sono nato nel 1945 e le guerre si erano prese l’anima di mio padre, uomo dell’esercito che abbiamo seguito in varie parti del mondo. Avevo 16 anni quando se n’è andato, ma non posso dire di averlo conosciuto veramente, non c’era rimasto molto di lui dopo la seconda guerra mondiale.

Per fortuna mia mamma mi ha fatto

il dono più grande, quello dell’autostima, e mi ha insegnato l’importanza di amare indistintamente tutte le persone.

Vivevo nell’America razzista, mi sono reso conto dell’ipocrisia del mio paese da ragazzo, quando accanto alla fontana di un parco pubblico lessi: “Solo per i bianchi”.
Rimasi sconvolto, come potevano gli adulti accettare quell’orrore? Così a scuola facevo quel che potevo per oppormi allo scempio, e nella mia scuola di bianchi, tutte le volte che sentivo la parola con la “n”, quell’orrenda parola che non riesco nemmeno a pronunciare, iniziavo a urlare. Urlavo come un pazzo e dicevo: voi ditela pure, ma io non posso fare a meno di urlare.
Gli altri ragazzi mi aspettavano fuori da scuola, per picchiarmi.
Sono stato vittima dei bulli e questo è anche stato il motivo per cui ho iniziato a fare il clown: li facevo ridere, e i bulli non vogliono picchiare il loro buffone.
Funziona ancora, sai.
Sono 35 anni che indosso solo abiti da clown perché mi sono chiesto più volte: cosa posso fare di non violento per fermare la violenza? E allora ho capito che questi abiti colorati potevano aiutarmi.
Capita spesso di trovarsi di fronte a persone che litigano, mamme che sgridano i figli, ragazzi che fanno la voce grossa con le ragazze. Se assisto a scene del genere non faccio l’indifferente ma mi tiro su i calzoni, mi allargo la bocca con questo divaricatore (lo indossa), metto i denti finti (di plastica, galli) e attacco al naso questo moccio finto (abbastanza disgustoso) e ti assicuro che quando mi avvicino conciato così qualsiasi cosa facciano smettono di farla. Funziona.
Ho 73 anni e me ne sento 35, perché mangio bene e faccio attività fisica, ma tutto parte molto prima.
Avevo 18 anni, due ricoveri alle spalle in un ospedale psichiatrico, avevo chiesto io di essere ricoverato perché volevo di uccidermi. Ma mi ritrovai a Washington ad assistere al celebre discorso di Martin Luther King, che aveva un sogno: I have a dream. Lì ho capito quanto ero stato stupido, non dovevo morire, ma fare la rivoluzione, una rivoluzione non violenta basta sull’amore. Sono tornato in ospedale per l’ultima volta, e mi sono imposto che non avrei mai più avuto un giorno infelice.
Volevo un mestiere dove fosse facile tramettere amore. Ma all’università mi sono accorto che la maggior parte dei medici erano degli arroganti del tutto indifferenti ai loro pazienti. Mi hanno insegnato che in sette minuti dovrei essere in grado di capire quello che il paziente soffre e somministrargli una cura. Per me era inconcepibile, così ho deciso di fare a modo mio.
Sono un medico di famiglia e di solito il mio primo colloquio con un primo paziente dura quattro ore. Gli chiedo tutto, voglio conoscere tutto, alla fine diventiamo amici e solo così posso davvero aiutarlo.
Il mio sogno è aprire un ospedale con cure gratuite per tutti! In America il 70% delle bancarotte sono dovute alle spese mediche. E le spese mediche sono anche il motivo n.1 per cui si perde la casa. Inaccettabile. Qualche tempo fa mi ha scritto una famiglia: hanno perso la casa per cercare di curare il figlio, malato di leucemia, che poi è morto. È terribile, e lo è ancora di più il fatto che per sempre il ricordo di quel bambino sarà legato alla perdita della casa.
La situazione più difficile da affrontare è stata una bambina tristissima che non apriva la bocca da due mesi, né per mangiare, né per bere, né per parlare. Era stata violentata, e da allora s’era chiusa in se stessa. La prima volta che l’ho vista non c’erano espressioni sul suo volto, non sapevo che fare. Ho deciso di tornare da lei per parecchi giorni, e pian piano ha fatto dei progressi. Qualche mese dopo mi hanno mandato delle foto ed era irriconoscibile. Per il resto, come dicevo, cerco di rallegrare chi ho davanti, nulla di più.
Una volta mi hanno chiamato per fare il clown a 5 detenuti che il giorno dopo sarebbero stati uccisi, sarebbero morti impiccati. Uno non si è lasciato coinvolgere, gli altri quattro si sono divertiti tantissimo. Tu, se sapessi di morire domani, non vorresti passare il tempo che ti resta divertendoti? Che poi dovrebbe valere per tutti. Dato che tutti moriremo dovremmo goderci la vita, e divertirci.

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Questo volo è iniziato tanto tempo fa

Questo volo è iniziato un po’ di anni fa. ❤
Io me la ricordo quando faceva il primo anno delle superiori.
Bella e impossibile da sopportare.
Era arrabbiata col mondo intero.
Con i suoi capelli lunghi ed il suo sguardo da cerbiatta, sembrava un fiore delicato in balìa dei pesi della vita.
Ed in effetti la vita aveva picchiato duro su di lei.
Ma dopo un po’, a scuola abbiamo iniziato a capire che dietro tutta quell’aggressività che si scatenava con troppa facilità, c’era una vita personale difficilissima.
A quel punto l’avevamo scoperta ed il suo gioco aveva iniziato a perdere forza.
Si era smorzato.
Ci sono voluti anni.
Non è stato facile.
Ma pian piano, Sara (la chiamerò così) ha iniziato prima a chiedere aiuto e poi a sorridere sempre più spesso.
Insieme ai sorrisi, mischiava le lacrime.
Non è stato facile.
Ma almeno comunicava.
Con le parole, con gli occhi e con i messaggi.
Infine, dopo circa tre anni di cammino, ha iniziato ad andar finalmente bene a scuola.
Quest’anno?
Quest’anno va BENISSIMO!!!
Sorride alla vita (anche se avrebbe potuto voltarle le spalle) e ringrazia tutti noi che abbiamo fatto il tifo per lei (anche se dovrebbe ringraziare per primo lei stessa).
E ieri mattina il finale.
Lei aveva un grande desiderio: finire il percorso scolastico con un passaggio fatto “alla grande” (più di questo non posso dire per non entrare nella sua privacy).
Noi insegnanti l’abbiamo incoraggiata ed aiutata in tutti i modi, ma poi…
Poi è arrivato l’alt!
E’ arrivato dall’elefantiaca burocrazia e dal timbro insensibile di un ufficio.
Ma a questo punto si è mossa la grinta della scuola in cui insegno.
Come una madre agguerrita, non si è arresa.
E mentre la ragazza aveva l’animo accasciato al suolo per la delusione insopportabile di quell’”ALT“, la scuola si muoveva.
Ha usato il telefono, gli scritti, le spiegazioni, la grinta, il cuore, l’amore e la testardaggine.
Ieri mattina, mentre Sara non vedeva più il suo futuro a causa di quell'”ALT” e le sue parole erano solo colorate di nero, la scuola attendeva la risposta all’ulteriore sua insistenza.
Ed è stato allora che è accaduto.
Avevo un’ora buca ed ero uscita per fare fotografie.
C’era un cielo che mi piaceva.
Mentre scattavo foto mi sono fermata: ero affascinata da un volo di uccelli che mi raccontava libertà ed entusiasmo.
Mi volavano intorno.
Scendevano.
Si rialzavano in volo.
Si avvicinavano di nuovo.
Riprendevano quota.
Io scattavo foto e sentivo che quel volo mi stava dicendo qualcosa.
In quell’istante ho sentito un “E che palle!” detto con tutto il cuore.
Mi volto.
Era la mia collega che aveva messo per giorni la sua anima nel cercare di portare a buon fine il sogno di Sara.
Stava parlando a telefono.
Ci incrociamo.
Lei sorride nel vedermi.
Io pure.
Mi fa capire che è al telefono per regalare a Sara il lieto fine sulla sua vicenda.
Io continuo a fotografare mentre la mia grintosa collega si allontana stando al telefono con un’altra persona che ha preso a cuore il futuro di Sara.
Io guardo quel volo e mi sembra così di buon auspicio.
Sara piange.
Tutta la scuola combatte.
E nel cielo c’è un volo armonico e testardo.
Passa pochissimo tempo ed arriva il messaggio: “Ce l’abbiamo fatta! La richiesta per Sara è stata accettata!”
La collega ci manda questa immagine di Mafalda per annunciarcelo.
La felicità?
E’ vedere una giovane donna volare alto!
Buon viaggio Sara!❤

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L’affetto ci salverà

Lo vedete questo signore dall’aria saggia e buona? ❤️
Si chiama Abraham J.Twersky.
E’ morto a causa del Covid il 31 gennaio 2021.
E’ stato un rabbino e psichiatra americano di fama mondiale ed io lo vorrei ricordare per l’intervista meravigliosa di pochi minuti in cui lui, con un aneddoto, spiega bene cosa sia l’amore.
Ho messo il link in fondo al post.
Ai suoi studenti (fortunati!) della prestigiosa School of Medicine dell’universita’ di Pittsburgh, ha insegnato come “ascoltare” ed aiutare i malati più gravi, secondo una saggezza antica che risponde alle domanda: “Le buone azioni possono guarire? I piccoli atti d’affetto e di dedizione che siamo capaci di compiere sono vere e proprie medicine?”
Ha sempre cercato di andare oltre la sola logica farmacologica. ❤️

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Se avessi mai commesso il peggiore dei crimini… (da una storia vera)

Lui si chiama Jacques Fesh e nasce il 6 aprile 1930 a Saint-Germainen-Laye.

Morirà il 1° ottobre 1957 a Parigi, a 27 anni, sulla ghigliottina.

Quel che avverrà nei suoi ultimi tre anni di vita in prigione, è un vero e proprio miracolo interiore.

Quella che state per conoscere è l’incredibile storia di Jacques Fesch!

E’ il mattino del 24 febbraio 1954 e Jacques entra in un negozio di cambiavalute a Parigi, di un certo Alessandro Silberstein in Rue Vivienne 39, chiedendo un notevole quantitativo d’oro. L’uomo si fida perché sa che quel giovane ha alle spalle una famiglia decisamente ricca, con un padre in grado di pagargli qualsiasi capriccio.

Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacques torna nel negozio per prelevare l’oro “prenotato” il mattino, ma approfitta di un momento di distrazione del cambiavalute, per colpirlo alla testa con il calcio della rivoltella. L’obiettivo è rubare.

Ma in un attimo accade il finimondo.

Il cambiavalute reagisce inaspettatamente con grande forza.

Grida come un pazzo.

Nella colluttazione Jacques si ferisce ad una mano e i suoi occhiali vanno distrutti.

Poi scappa!

La gente si raduna.

Jacques è alto, corre velocemente e riesce a distanziare tutti.

Raggiunge Rue Saint Marc, giunge al Boulevard des Italiens, dove scorge un caseggiato con la porta carraia aperta che immette in un cortile. Vi entra, attraversa il cortile, accede al palazzo, va all’ultimo piano e si nasconde nel terrazzo.

Intanto la gente lo cerca e a quella folla si unisce anche un gendarme che stava passando di lì.

Jacques, nel suo nascondiglio, aspetta un po’ di tempo. Poi si illude che tutto sia tornato calmo.

Allora si aggiusta i vestiti, ridiscende le scale e quando giunge al cortile cerca di attraversarlo.

Fa finta di niente.

Sembra che nessuno lo riconosca.

Ma quando sta per uscire dalla porta del cortile ecco uno che grida: “E’ lui!!!”

Panico!

Si sente braccato.

Il gendarme Georges Vergnes intima: “Mani in alto!” Continua a leggere Se avessi mai commesso il peggiore dei crimini… (da una storia vera)