QUANDO GLI STUDENTI INCONTRANO I DETENUTI …

Questa volta non ci sono foto dell’incontro e non esistono immagini dell’esperienza fatta da quasi 100 ragazzi del quinto anno del Liceo Scientifico Vito Volterra – Fabriano
Ne potete vedete solo un paio, fatte quando oramai eravamo fuori, usciti da un incontro di ore con i detenuti e le detenute della Casa Circondariale di Villa Fastiggi, il carcere che si trova nei pressi di Pesaro.
Saremmo dovuti uscire a mezzogiorno ed invece siamo usciti non prima delle 13.45.
Neanche la fame li ha fatti desistere dalle tante domande che continuavano a porre.
Non riuscivamo più a portar via i nostri studenti dall’incontro con la realtà dei “brutti, sporchi & cattivi” (così si sono ironicamente definiti i detenuti, spiegando ai ragazzi il loro mondo, i loro errori e le loro speranze).
Potrei fare un post lunghissimo se solo mi mettessi a raccontare le loro storie; magari lo farò in seguito. Sono convinta, infatti, che la vita reale insegni più dei romanzi.

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San Patrignano e la vita

Lei si chiama Chiara (la chiamerò così).
È bionda, esile e delicata.
Parla con scioltezza ed in modo coinvolgente.
Ci spiega come vengono fuori quei tessuti morbidi e raffinati.
Un po’ come lei.
Ma poi arriva inevitabilmente la domanda da parte dei miei studenti: “Come mai tu sei qui?”
Lei sorride e racconta.
Aveva 15 anni quando ha iniziato a bere.
Niente di chè.
Solo il sabato sera.
Poi altre sostanze.
Niente di chè.
Poi non più solo il sabato.
Poi non più solo sostanze leggere.
L’iter è sempre lo stesso.
Poi il diploma.
Poi la laurea.
Poi l’assunzione in un importante studio di Milano.
Finalmente è avvocato.
Ma in tutti quegli anni alcool e sostanze sono diventati compagni di viaggio.
Purtroppo.
Finché il socio più anziano dello studio le dice: “Ora basta. Ti devi far aiutare. Da domani tu non puoi più lavorare con noi. Mi dispiace”
E lei non può più dire a sé stessa il mantra di tutti quegli anni: “Posso smettere quando voglio”.
Non è più “niente di chè”
Lei si racconta.
Denuda la sua anima davanti agli studenti.
Poi dice: “L’unica parola che mi viene in mente è GRAZIE! Grazie alla mia famiglia che non mi ha mai abbandonata e grazie a San Patrignano che mi ha accolta. Ora sto rinascendo.”❤️

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San Patrignano ha roba fatta con amore!

“Ma che belli questi fiori: posso fotografarli?”
Le tavolate della sala da pranzo di san Patrignano, all’entrata delle donne si sono riempiti di fiori gialli. Così ho chiesto alle ragazze di poterli fotografare.
Nel pomeriggio poi, passo per uno dei tanti vialetti quando, all’esterno del grande Teatro, si apre appena appena una porta e sento cantare: le ragazze di San Patrignano non lo sanno ma lì dentro ci sono ragazzi che stanno provando una serata d’onore dedicata a loro.
Serate fatte col cuore! ❤️
“Prof, guardi; stasera in famiglia abbiamo preparato pasta col pesto di San Patrignano! E’ stra-buonissimo!!!” E mi arriva una foto scattata a casa sua. Marco è uno dei miei tanti alunni che si è voluto fermare allo “SP.accio” di San Patrignano per acquistare cose buone, fatte dai ragazzi della comunità. Formaggi al tartufo, biscotti con le mandorle, pane dolce, piadine fatte a mano (a mano!), miele di prima qualità, salumi vari, profumo buonissimo, creme per la pelle, sciarpe bellissime, borse… ma è meglio che guardiate da soli che si può acquistare anche online (ricordando, però, che dal vivo è meglio!😉) https://shop.sanpatrignano.org/
Roba fatta con amore!❤️
Federico sta raccontando la sua difficilissima vita, arrivata fino al bordo del dirupo verso la morte.
Poi finisce con quel: “Ma poi, volete sapere una cosa? Qui a SanPa ho ricominciato a studiare e fra tre giorni discuterò la Tesi. Mi laureo in Lettere!” E nel teatro parte l’applauso scrosciante dei miei studenti.
Momento pieno di amore! ❤️

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20 DICEMBRE NOVENA DI NATALE – giorno 5 –

A volte, Signore, mi chiedo come fai a sopportare il dolore del mondo.
Come fai ad assistere al tuo sogno infranto,
diventato ostaggio dell’avidità e dell’io umano.
Come riesci ad udire pianti e fame, senza pentirti di averci creati.
Fossi stata al tuo posto, avrei cancellato il file “creazione”.
Stop.
Basta.
Esperimento fallito.
Pensavo a tutto questo ieri, mentre tornavo, solitaria, da un Eremo.
Poi, mentre scendevo dalla montagna
ancora avvolta nell’ombra della valle,
ho visto il sole spuntare alle mie spalle.
Non l’ho visto con gli occhi.
Ho semplicemente iniziato a sentire
un calore diverso alle mie spalle
e la mia ombra si è, pian piano,
stagliata davanti a me.
Camminavo, guardavo la mia ombra
e sentivo che mi rammentava:
“Tu hai il Signore alle tue spalle.
Non lo vedi, ma Lui c’è sempre”.
Allora mi sono voltata.
Ho visto la luce.
Limpida.
Calda.
Ho sorriso.
Ho pensato che se tu sei sceso
su questa terra di dolore,
è perché sapevi che ne valeva la pena.
Tu vedi qualcosa che io non vedo.❤
Se sei diventato come la nostra carne e la nostra debolezza, è perché non ti fermi a guardare le nostre ombre.
Noi non siamo solo brutti e cattivi.
Tu vedi qualcosa che io non vedo.❤

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La bambina che non si fermava mai!

Gillian è una bambina di sette anni ed a scuola non riesce a stare seduta.
Si alza continuamente, si distrae, vola con i pensieri e non segue le lezioni.
I suoi insegnanti si preoccupano, la puniscono, la sgridano, premiano le poche volte in cui è attenta ma nulla, Gillian non sa stare seduta e non riesce a stare attenta.
Quando torna a casa anche la mamma la punisce. La mamma pensa che non può mica far finta di nulla davanti al comportamento della bimba.
E così Gillian non solo prende ogni giorno brutti voti e punizioni a scuola ma li prende anche a casa, come se non fosse già una punizione ed una umiliazione il brutto voto e la sgridata davanti a tutti i compagni “bravi”.
Un giorno la madre di Gillian viene chiamata a scuola. La signora, triste come chi aspetta brutte notizie, prende la bambina per mano e si reca a scuola, nella stanza dei colloqui.
Le insegnanti parlano di malattia, di un disturbo evidente della bambina. Non esiste ancora l’iperattività altrimenti forse qualcuno avrebbe dato un farmaco alla piccola Gillian.
Durante il colloquio arriva un vecchio insegnante che conosce la bambina e la sua storia. Chiede a tutti gli adulti, madre e colleghe, di seguirlo in una stanza attigua da dove si possa ancora vedere la bambina.
Andando via dice alla bimba di avere un po’ di pazienza che torneranno subito e le accende una vecchia radio con musica di sottofondo.
Come la bimba si trova sola nella stanza immediatamente si alza e comincia a muoversi su e giù inseguendo con i piedi ed il cuore la musica nell’aria.
Il vecchio insegnante sorride e mentre le colleghe e la madre lo guardano tra il perplesso e il compassionevole, come spesso si fa con i vecchi, lui esclama:
“Vedete Gillian non è malata, Gillian è una ballerina!”.❤
Consiglia alla madre di iscriverla ad un corso di ballo ed alle colleghe di farla ballare ogni tanto.
La bimba segue la sua prima lezione e quando torna a casa alla mamma dice solo: “sono tutti come me, li nessuno riesce a stare seduto!”????
Nel 1981, dopo una bellissima carriera da ballerina, dopo aver aperto una sua accademia di ballo, dopo aver ricevuto riconoscimenti internazionali per la sua arte Gillian Lynne sarà la coreografa del musical Cats.
Un bacio a tutti i bambini diversi.
Augurando loro di trovare nel loro cammino degli adulti capaci di accoglierli per ciò che sono e non per ciò che a loro manca.????❤

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Felicia Bartolotta: la madre che aveva vene piene di dolore, coraggio ed amore!

Si chiamava Felicia. Felicia Bartolotta.
Era nata in una famiglia che aveva qualche appezzamento di terra, coltivato ad agrumi e ulivi. Una vita semplice. Il padre era impiegato al Comune e la madre casalinga.
Nel 1947 Felicia si sposa con Luigi Impastato.
Luigi proveniva invece da una famiglia di piccoli allevatori, ma legati alla mafia del paese.
Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe, detto Peppino e nel 1953 arriva il secondogenito Giovanni.
Luigi Impastato aveva una sorella sposata con il capomafia del paese: Cesare Manzella. Nel 1963 il cognato verrà ucciso nella sua auto imbottita di tritolo.
Booom!
Quel boato esploderà ed esploderà tante volte nella mente di Peppino, un adolescente di quindici anni pieno di domande e di voglia di capire. Già da tempo aveva iniziato a riflettere sui dialoghi sentiti tra il padre e lo zio.
Felicia racconterà che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora!».
Piano piano Peppino scoprirà che l’ingiustizia e la violenza passavano vicino casa sua. Dentro casa sua!
Felicia è una donna intelligente e l’affiatamento con il marito durerà molto poco. Subito le cose andranno per storto invece che per dritto.
Lei stessa dirà: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre’».
Felicia non è un’ingenua. Intuisce. Capisce. Non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Cesare Manzella.
Litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico.
Felicia non vuole stare dalla parte della prepotenza.
Il marito invece ci è sempre convissuto senza tanti problemi.
Il contrasto tra loro due diventerà enorme quando Peppino inizierà la sua attività di denuncia della mafia.
Quel figlio parlava di giustizia, il marito correva dietro all’ingiustizia.

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Le ragazzine si sposavano a 12 anni e andavano nei campi a coltivare cipolle, adesso il 100% frequenta le lezioni

Non mi dite che non ha un bello sguardo questo ragazzo!????❤
Si chiama Ranjit Disale, è un maestro elementare indiano ed è il miglior insegnante del mondo.
Forse la prima cosa che si vede di un insegnante veramente bravo, è lo sguardo.
Da lì, poi, parte tutto!
E’ uno sguardo che sa vedere inevitabilmente nel futuro.
Se si ferma al presente, è fregato in partenza.
Ma questo, chi non lo sa?
Però c’è un particolare di una frase di Ranjit che mi ha colpita: “Gli insegnanti sono i veri creatori del cambiamento che stanno cambiando la vita dei loro studenti con un misto di GESSO e SFIDE”
IL GESSO.
Uno dei miei colleghi più geniali con cui abbia avuto l’onore di lavorare, mi lasciava tutta la lavagna intrisa di appunti di gesso. Qualche volta arrivava a scrivere fino alla cornice in legno della lavagna.
Ci ridevamo tutti. Lui anche!
IL GESSO.
Chi ci pensa più?
Eppure il richiamo di Ranjit al gesso mi ha riportata alla memora la scuola di un tempo. Umile. Poco attrezzata. Eppure con maestri armati di gesso e di passione.
Chiarisco subito: non sono contro la tecnologia.
La uso e mi piace farlo.
Ma è che quel richiamo al “gesso” è pieno di forza educativa!
Ci racconta che la vera potenza della scuola non sta tanto nella tecnologia (che va bene, certamente, se usata in contesti e con metodologie adeguate) quanto nella genialità educativa del “far lezione”.
Un misto di ascolti, domande, curiosità provocate, emozioni condivise, voglia di imparare, entusiasmo nel provare senza paura di sbagliare…
LE SFIDE.
Ranjit racconta: «Le ragazzine si sposavano a 12 anni e andavano nei campi a coltivare cipolle, adesso qui il 100% frequenta le lezioni».
Lui ha 32 anni ed insegna in una scuola elementare del Maharashtra, in India.
SI INSEGNA CON LA PAROLA, MA CON L’ESEMPIO DI PIU’.
E migliore lezione non poteva arrivare da Ranjit che ha voluto condividere metà del suo premio con gli altri insegnanti finalisti.
Soldi.
Cash.
Tanti.
La metà di un milione di dollari.
A tanto, infatti, ammonta la somma che gli spetta, in quanto vincitore del Global Teacher Prize, una sorta di Oscar per il migliore professore del pianeta organizzato dalla Varkey Foundation di Londra con l’Unesco.
Soldi da investire in progetti didattici.
Ha detto: “Credo che insieme possiamo cambiare questo mondo perché la condivisione sta crescendo”.
LA SUA SFIDA PERSONALE
Ranjit ha raccontato: «Dovevo diventare ingegnere ma mi bullizzavano perché ho la pelle scura… La scuola all’inizio è stata un ripiego»
Così arrivò a Zilla Parishad Primary School di Paritewadi, Solapur, nello Stato indiano del Maharashtra, nel 2009.
Giovanissimo.
Aveva solo 22 anni.
Quando arrivò trovò solo un piccolo edificio “fatiscente, una via di mezzo tra una stalla e un deposito”. Ogni mattina doveva fare i conti con aule disastrate e con vite sull’orlo del fallimento.
Lui sistemò l’aula, riuscì ad garantire che tutti gli scolari avessero libri di testo nella loro lingua locale e inventò un sistema educativo che, utilizzando il codice QR permette agli studenti di accedere a poesie, racconti, video letture e compiti.
DA GESSI E SFIDE E’ NATO UN NUOVO SISTEMA EDUCATIVO.
Oggi il sistema di Disale è stato adottato dal ministro dell’istruzione del Maharashtra per tutti gli istituti dello stato, poi dal ministero centrale dello Sviluppo delle risorse umane, che, nel 2018, ha inserito il QR in tutti i libri di testo del NCERT, il Consiglio nazionale per la ricerca e la formazione educativa del Paese.
Disale è anche autore del progetto “Let’s Cross the Borders”(“Attraversiamo le frontiere”) che ha già fatto interagire su una piattaforma internet 19mila studenti di Paesi tra loro in conflitto, come India e Pakistan, Palestina e Israele, Iraq e Iran, Stati Uniti e Corea del Nord.
NON “IO” MA “NOI
Tra i nove finalisti c’è anche un italiano: Carlo Mazzone, docente di ICT e informatica dell’Istituto Tecnico ITI “G.B.B. Lucarelli” di Benevento. Dedicherà i 55mila dollari ai suoi progetti educativi. Ha detto: “Un gesto così grande mostra al mondo cos’è un individuo esemplare e altruistico come Ranjit. Non potrebbe esserci modello migliore per gli insegnanti. Nell’anno del Covid, che ha sottoposto a sfide inimmaginabili la scuola di tutto il mondo, Ranjit è un simbolo splendente dell’incredibile lavoro che fanno gli insegnanti. Ecco perché io e gli altri finalisti siamo così orgogliosi di chiamarlo nostro amico. Grazie Ranjit”.
A Loppiano, la cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, papa Francesco ha detto: «Portate la spiritualità del noi» Per spiegare in cosa consiste, Francesco ha raccontato un aneddoto a braccio: «Un prete ha fatto a me questo test: ‘Mi dica, padre, qual è il contrario dell’io? E io sono caduto nel tranello: ‘tu’. No, il contrario di ogni individualismo è il ‘noi’. È questa spiritualità del noi quella che voi dovete portare avanti, che ci salva dall’interesse egoistico…Non è un fatto solo spirituale, ma una realtà concreta con formidabili conseguenze, se la viviamo e ne decliniamo con autenticità e coraggio le diverse dimensioni – a livello sociale, culturale, politico, economico».

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Il pianto di Nedo Fiano

IN RICORDO DI NEDO FIANO, GIUNTO IN CIELO

Lo ricordo bene quel pranzo alla “Taverna da Ivo” del 9 gennaio 2006. Ero con Nedo Fiano, la moglie ed un cameriere gentile che ci stava elencando i piatti del giorno.

Nedo sorrideva e sceglieva. Io mi sentivo una privilegiata della vita ad averlo accanto e poter sentire ancora altre sue testimonianze.

Poi, improvvisamente, tutto è cambiato. Ricordo il cameriere allontanarsi e Nedo scoppiare a piangere.

Così.

Dal nulla.

Un pianto disperato, fatto di lacrime che emergevano da un dolore sovrumano quanto antico.

Io ero senza parole e senza spiegazioni.

Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.

Un attimo prima tutto era rosa ed un attimo dopo tutto era nero.

Ricordo che la moglie gli strinse teneramente la mano ed a me, con un tono delicatissimo fatto di parole sussurrate, mi disse: “Non si preoccupi professoressa. Nedo fa quasi sempre così dopo un incontro nelle scuole. Ricordare è un dolore enorme per lui. Ma lo fa perché i ragazzi devono sapere!”

Quel pianto improvviso mi insegnò più di mille racconti sull’olocausto.

Poi si ricompose, si asciugò le lacrime, la vita riprese il suo colore rosa e la sera, a cena a casa mia, tutto era tornato sereno.

Ma andiamo indietro di qualche mese. Andiamo al settembre 2005 e, precisamente, ad una lezione con una domanda precisa di un mio studente: “Lei prof che cosa ne pensa dei negazionisti? Di quelli che dicono che la Shoah non è avvenuta o che, comunque, non è stata così grave come ce la raccontano?” Continua a leggere Il pianto di Nedo Fiano

Maria legge e Giuseppe culla il bambino

Lei è Maria e sta leggendo (forse la Torah o un libro di preghiere o, magari, un bel romanzo)

Lui è Giuseppe e sta cullando un bambino.

“Il” bambino.

Quella che state guardando è una miniatura in tempera e oro che racconta l’amore. In tutte le sue sfaccettature. 

Un padre che accarezza ed una madre che legge.

Animali complici tenerissimi di una nascita.

La fantasia della vita che sorpassa l’immaginazione umana.

L’armonia perfetta e la serenità affascinante.

Non sappiamo di preciso chi ne sia l’autore.

L’immagine è tratta da un Libro d’Ore composto a Besançon, in Francia, nel 1450 circa ma ora si trova in Inghilterra, al Fitzwilliam Museum di Cambridge (MS 69 folio 48r,The Nativity). 

 

Giuseppe, Giuseppe!

 

 

Fino al V secolo nessuno lo aveva mai raffigurato nei presepi.

E sì che credo non sia stato facile per lui: fidanzato innamorato e con la “quasi” moglie incinta.

Di chi?

E come?

Noi raccontiamo tutto come una favola, ma una favola non è stata.

E’ stato un difficile scontro tra la piccola mente umana e la fantasia di Dio; tra la programmazione terrestre e la progettazione celeste; tra le fede normale (che arriva fino ad un certo punto) e la fede luminosa (che sorpassa l’orizzonte e sconfina fino alle stelle).

I vangeli ci dicono che è dovuto intervenire un angelo per rassicurarlo: “Non ti ha tradito Maria!”

 

Solo dal V secolo iniziano a raffigurarlo, ma lo fanno apparire addormentato (vabbè che gli angeli gli parlavano in sogno, ma mica avrà dormito sempre!), oppure seduto da una parte a contemplare la nascita misteriosa (avrà certo contemplato, ma avrà inevitabilmente anche agito, perchè un neonato ha bisogno di tutto).  Continua a leggere Maria legge e Giuseppe culla il bambino

Una storia vera. Perchè la realtà supera la fantasia e i sogni raggiungono la realtà.

E’ giovedi 2 maggio 2019 ed io sono a San Patrignano con circa 90 miei studenti.

Da sempre sono fortemente attratta dai luoghi dove si raccolgono creature che cadono e si rialzano.

Dentro le vene di San Patrignano scorre sangue rosso vita.

E’ un sangue che si racconta.

Come il sangue rosso vita che ci ha donato Marco (non è il suo nome vero, ma non è questo l’importante del racconto). Non posso farvi sentire le sue pause, il suo tono pacato, il silenzio concentratissimo che ha accompagnato i 35 minuti del suo racconto. Ma posso farvi leggere quello che ha detto, riprendendolo parola per parola, dalla registrazione che ho fatto quel giorno.

Potrete leggere e farvi anche voi la vostra dose quotidiana di coraggio e rinascita. 

Buona lettura a voi e buona vita a Marco!

 

Mi chiamo Marco e sono di ********. In famiglia i miei mi hanno sempre ricoperto di attenzioni ed amato. Anzi, mia sorella era pure gelosa di me per le attenzioni che avevo…. Ma quand’ero piccolo non riuscivo a stare fermo, ne combinavo una dietro l’altra, finché un giorno ne ho combinata una talmente grande che la maestra mi ha preso per i capelli e me ne ha date talmente tante… e poi mi ha messo sotto la cattedra. Quest’episodio mi ha un po’ cambiato perché, da lì in poi, io non sono più stato vivace. Mi sono rinchiuso in me stesso. Non parlavo più. Tornavo a casa, mia mamma mi vedeva strano ed io non dicevo niente. Ero silenzioso. Però dopo alcuni giorni stavo talmente male che mi son messo a piangere ed ho raccontato a mia mamma tutto quello che era successo con la maestra… lei mi ha cambiato scuola. La seconda classe elementare l’ho fatta in un altro istituto. Ma quando sono arrivato lì, io oramai non ero più lo stesso. Se prima ero di compagnia e scherzavo, lì stavo in un angolo, da solo, perché avevo paura delle reazioni degli altri. Non riuscivo ad interagire con gli altri. Ero sempre da solo e venivo preso di mira. Ricordo che anche quando mi chiedevano qualcosa io non riuscivo a parlare tranquillamente. Balbettavo. Sono cresciuto così fino alla quinta. Continua a leggere Una storia vera. Perchè la realtà supera la fantasia e i sogni raggiungono la realtà.