Angelo, il fratello di san Francesco sconosciuto ai più!

Il tramonto di Assisi lo amo.

Ieri, mentre camminavo tra luce e pellegrini, pensavo: “Chissà quanti sapranno che s. Francesco aveva un fratello?”

Siete meravigliati, eh!

Lo so, lo so, non se ne parla mai.

Magari vi sta venendo il dubbio che possa essere una semplice supposizione fantasiosa.

Allora andiamo per ordine, a suon di fonti storiche e partiamo dalla “Legenda dei tre compagni”.

Una precisazione: “legenda” non significa leggenda come qualcuno ogni tanto pensa. Per “legenda” si vuole intendere un insieme di parole, di racconti “da leggere”.

La cosiddetta Leggenda dei tre compagni (frate Angelo, frate Leone e fra Rufino) è la più importante delle biografie “non ufficiali” di Francesco d’Assisi (per “non ufficiali” si intendono tutte le biografie che non sono state scritte su commissione e dietro controllo papale o di chi dirigeva l’Ordine Francescano).

Ma è interessante sapere “come” e “perché” è stata scritta.

Nel 1244 (cioè a 18 anni dalla morte di san Francesco) a Genova si fece un Capitolo Generale (una di quelle riunioni periodiche dell’ordine, dove prendevano decisioni importanti) in cui si ammise che quanto era stato narrato su san Francesco nel periodo in cui l’Ordine era stato guidato da frate Elia da Cortona (personaggio molto controverso che meriterebbe un post a parte) non era propriamente corrispondente alla verità.

Non era stato facile dirlo ma si doveva, perché la mancanza di verità stava diventando un autentico pericolo per lo spirito francescano.

Così i padri capitolari chiesero a tutti i frati: “Chi ha notizie più veritiere sulla vita di san Francesco, si faccia avanti. Scriva e mandi quel che sa al nostro nuovo generale Crescenzio da Jesi”.

Crescenzio era nato a Jesi (ma questo lo avevate già dedotto) ed era un avversario della corrente più rigorista dell’Ordine Francescano (quella che in seguito si sarebbe riconosciuta nel movimento degli spirituali) e fu deposto nel 1247 dalla sua carica di ministro generale, a favore di Giovanni da Parma, più vicino alla corrente rigorista.

Dico tutto questo non per tediarvi con tanti nomi ma solo per farvi intuire che razza di fermento c’era all’interno dell’ordine, dopo la morte di Francesco.

Il nostro Crescenzio avviò una ricerca sistematica di materiale documentario su Francesco d’Assisi e l’inizio della storia francescana e (cosa importante) commissionò la Vita Secunda di Tommaso da Celano.

Alla famosa richiesta del Capitolo Generale di Genova rispose Angelo Tancredi (uno dei primi discepoli di Francesco) che, con l’aiuto di frate Leone e di frate Rufino, iniziò a scrivere.

Ed eccoci alla “Legenda dei tre compagni”.

Cosa ci dicono i tre compagni?

«In assenza del padre, quando Francesco rimaneva in casa, anche se prendeva i pasti solo con la madre, riempiva la mensa di pani, come se apparecchiasse per tutta la famiglia. La madre lo interrogava perché mai ammucchiasse tutti quei pani, e lui rispondeva ch’era per fare elemosina ai poveri, poiché aveva deciso di dare aiuto a chiunque chiedesse per amore di Dio. E la madre, che lo amava con più tenerezza che gli altri figli (prae ceteris filiis diligebat), non si intrometteva, pur interessandosi a quanto egli veniva facendo e provandone stupore in cuor suo» (FF 1404).

 

Dal loro racconto potremmo pensare che Francesco avesse più di un fratello. Fosse così si «aprirebbe la via alle ricerche sui familiari dei rami collaterali aventi come capostipiti gli altri figli di Pietro. Ma anche qui è da ritenere che si tratti di una espressione generica… perché non è possibile pensare che se altri fratelli (di Francesco) fossero esistiti non ne sarebbe rimasta qualche traccia o in relazione ad essi stessi o alla loro discendenza» almeno nei molteplici documenti assisani (Arnaldo Fortini, Vita Nova di San Francesco, 95 – d’ora in poi, F) 

Ma c’è di più.

Tommaso da Celano, ricordando un episodio accaduto tra Francesco e suo fratello, «indica quest’ultimo con l’espressione ‘il suo fratello carnale’ (frater eius carnalis): lasciando così comprendere come non si potesse parlare che del solo fratello che il Santo aveva, e cioè Angelo» (F 95).

Dunque che Francesco avesse un fratello era cosa nota nelle biografie primitive, ma il nome Angelo ci viene rivelato solo da alcuni documenti degli archivi assisani che più di una volta, in atti pubblici, parlano di Angelo figlio di Pica (F 95), e da frate Arnaldo da Sarrant: «Francesco di Pietro di Bernardone di Assisi, ebbe un fratello di nome Angelo e una madre di nome Pica» (SF p. 2998).

Ma cosa sappiamo di Angelo?

Probabilmente Angelo era più piccolo di Francesco (forse due o tre anni) e di fronte alle scelte bizzarre del fratello, preferì far parte della schiera che lo prendeva in giro. Almeno inizialmente, fu certamente più in sintonia col padre Pietro che non con il fratello Francesco che pareva impazzito.

«Un mattino d’inverno, mentre Francesco pregava coperto di miseri indumenti, il suo fratello carnale, passandogli vicino, osservò con ironia rivolgendosi a un concittadino: “Di’ a Francesco che ti venda almeno un soldo del suo sudore!”. L’uomo di Dio, sentite le parole beffarde, fu preso da gioia sovrumana e rispose in francese: “Venderò questo sudore, e molto caro, al mio Signore”» (FF 1424).

L’Angelo che pronuncia questa battuta ha circa 18-20 anni. Ma perché è così sarcastico nei confronti del fratello maggiore? In fin dei conti per lui si prospettava l’ipotesi di ricevere l’intera eredità da parte del padre. Non era poi tanto male come opportunità. Eppure Angelo sembra arrabbiato.

Per la vergogna di avere un fratello che fa cose strambe?

Perché gli mancava il Francesco che era prima della conversione? Quel fratello maggiore con cui, presumibilmente, giocava da piccolo e con cui faceva progetti da grande.

L’incantesimo si era rotto ed il suo Francesco non c’era più: dov’era finito?

Da questo momento Angelo scompare dalle biografie di Francesco. Altre informazioni seguitano a pervenirci però sia dalla Cronaca di Tommaso da Eccleston, sia dagli archivi assisani. L’Eccleston, che scrisse un apposito Trattato sull’insediamento dei Frati Minori in Inghilterra, ci dice:

«Venne in Inghilterra in quel tempo anche frate Martino da Barton, che ebbe la fortuna di vedere spesso san Francesco. In seguito egli fu eletto vicario del ministro di Inghilterra e si comportò in modo lodevole anche in altre cariche. Frate Martino raccontò che al Capitolo generale in cui san Francesco aveva ordinato di abbattere la casa che era stata costruita proprio per il Capitolo, erano presenti circa cinquemila frati e che il suo fratello di sangue era il procuratore del Capitolo e ne proibì la demolizione in nome della città. Il beato Francesco, stando all’aperto e sotto la pioggia, ma senza bagnarsi, scrisse una lettera, redatta di suo pugno e la inviò per mezzo di lui al ministro e ai frati di Francia, che si rallegrarono vedendo questa lettera e ne lodarono la Santissima Trinità, dicendo: “Benediciamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”» (FF 2460).

 

Il Capitolo di cui si parla in questo scritto è il famosissimo Capitolo delle Stuoie del 1221, così descritto dalla Leggenda Perugina (o Compilazione di Assisi) (FF 1579):

 

“Quanto segue, accadde all’avvicinarsi di un Capitolo; a quei tempi ne veniva celebrato uno all’anno, presso Santa Maria della Porziuncola. Il popolo di Assisi, considerando che i frati per grazia di Dio si erano moltiplicati e crescevano di giorno in giorno, notò che specialmente quando si riunivano tutti per l’assemblea capitolare, non avevano colà che una angusta misera casetta, coperta di paglia e dalle pareti fatte con vimini e fango: era la capanna che i frati si erano approntata quando erano venuti a stabilirsi in quel luogo. Allora gli assisani, per delibera dell’arengo, in pochi giorni, con gran fretta e devozione murarono ivi una grande casa in pietra e calce, senza però il consenso di Francesco, che era assente. Quando egli fu di ritorno da una provincia per partecipare al Capitolo, nel vedere quella casa rimase attonito.

Pensando che con il pretesto di quella costruzione, i frati avrebbero eretto o avrebbero fatto edificare case del genere nei luoghi dove già dimoravano o dove si sarebbero stabiliti più tardi, – poiché era sua volontà che la Porziuncola fosse sempre il modello e l’esempio di tutta la fraternità –, un giorno, prima che il Capitolo avesse fine, salì sul tetto di quella casa e ordinò ai frati di raggiungerlo, poi cominciò insieme con loro a buttare giù le tegole, nell’intento di demolirla Alcuni cavalieri di Assisi e altri cittadini erano presenti in rappresentanza del comune per il servizio d’ordine, al fine di proteggere quel luogo da secolari e forestieri affluiti da ogni parte e che si assiepavano fuori per vedere l’assemblea dei frati. Notando che Francesco con altri frati avevano l’intenzione di diroccare l’edificio, subito si fecero avanti e dissero al Santo: «Fratello, questa casa è proprietà del comune di Assisi, e noi siamo qui in rappresentanza del comune. Ti ordiniamo quindi di non distruggere la nostra casa». Rispose Francesco: «Va bene, se la casa è di vostra proprietà non voglio abbatterla». E subito scese dal tetto, seguito dai frati che vi erano saliti con lui. Per questo motivo, il popolo di Assisi stabilì, e mantenne per lungo tempo tale decisione, che ogni anno il podestà in carica fosse obbligato alla manutenzione ed eventualmente ad eseguire lavori di riparazione di quell’edificio”.

Quello che l’Eccleston ci racconta è che proprio Angelo «il fratello di sangue (di Francesco) era il procuratore del Capitolo e proibì la demolizione (della casa) in nome della città».

In questo contesto capiamo tante cose di Angelo, oramai adulto e quasi certamente uno dei cavalieri giunti alla Porziuncola per far desistere Francesco ed i suoi compagni dalla distruzione della casa.

Quel Fratello, questa casa è proprietà del comune di Assisi, e noi siamo qui in rappresentanza del comune. Ti ordiniamo quindi di non distruggere la nostra casa» ci racconta tante cose.

Innanzitutto Angelo non è più il diciottenne ironico e sarcastico verso un fratello maggiore strano e un po’ impazzito. Oramai lui protegge quel fratello quarantenne e famoso. Lo aiuta. Lo comprende.

Lo capisce talmente tanto bene che sa perfettamente che le minacce non avrebbero portato a nessuna soluzione. Allora adopera l’unica motivazione che suo fratello avrebbe potuto accettare: quella casa non era sua ma del comune. Francesco d’Assisi, sposo di madonna Povertà, non l’avrebbe mai tradita. Povero per scelta e senza proprietà, voleva rimanere fino alla fine. 

Angelo, in quel Capitolo delle Stuoie, è il procuratore-siniscalco-maggiordomo del Capitolo. Da tutto questo si intuisce che Angelo è stimato dalla gente e non è più il ragazzo smarrito del 1205-1206 , gli anni della conversione di Francesco.

Francesco scende dal tetto ed obbedisce all’ordinanza del Comune.

Chissà che questa riconciliazione con il fratello non ci faccia intuire anche una riconciliazione con i suoi genitori?

Nei documenti a prima vista non vi è nulla di esplicito, ma alcune considerazioni ci possono spingere in questa direzione. Innanzitutto, c’è la preveggenza della madre che, quando Francesco era ancora in fasce (secondo il Celano) o nella sua giovinezza (secondo i Tre Compagni), profeticamente diceva ai vicini: «che ne pensate che diverrà questo mio figlio? Sappiate che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio» (FF 583.1396). La mamma, come sarà anche confermato dal suo atteggiamento materno durante la conversione di Francesco, aveva già intuito il futuro del proprio figlio e, pur tra le lacrime, lo aveva lasciato andare (FF 1418).

Ma c’è da prendere in considerazione anche un altro elemento. Il Fortini fa vedere quanto «il ricostruire il patrimonio terriero della famiglia di lui (Francesco) è assai utile, non soltanto per trovare una conferma alle notizie che i biografi ci tramandarono intorno alla condizione di agiatezza in cui Francesco crebbe e fu educato, ma altresì per meglio comprendere tanti fatti notevoli della vita sua» (F 112). Ora dagli archivi e dalle biografie si vede abbastanza bene come Francesco, sia durante la sua crisi vocazionale, sia dopo le sue scelte definitive, si muove con grande libertà attraverso i territori di proprietà del padre, che poi diventeranno proprietà del fratello Angelo.

Questo fatto può significare che dopo la spogliazione davanti al Vescovo, anche per la pressione e «l’indignazione della gente» (FF 1419), e soprattutto della moglie, Pietro di Bernardone abbia interiorizzato meglio la situazione: permettendo al figlio di seguitare a sopravvivere e gironzolare, anche con i frati, sui suoi terreni. A modo di esempio, citiamo il caso della zona detta la Campagna, nei pressi di Collestrada: era proprietà di Pietro di Bernardone (F 104); vi si era svolta in gran parte la guerra tra Perugia e Assisi, in cui Francesco era stato fatto prigioniero, ma fu anche il luogo dove Francesco pernotterà al momento della concessione dell’Indulgenza della Porziuncola (FF 2706/10-11).

Un altro elemento che suggerisce una riconciliazione familiare è che Angelo e i suoi figli di si impegnarono generosamente e lungamente per favorire la costruzione della Basilica del Santo, e restarono completamente devoti ai frati francescani: questo non poteva avvenire senza la stima e la devozione di tutto il casato di Angelo. Non conosciamo le date di morte dei genitori di Francesco. Sappiamo invece da frate Arnaldo da Serrant che Angelo, sposato, ebbe due figli (Giovanni e Piccardo, nipoti pertanto del santo di Assisi; SF 2998), e che sarebbe morto intorno al 1229 (F 101). 

Tre anni dopo il celebre fratello.

 

(Molto di questo post è stato fatto con l’aiuto dell’articolo dell’interessantissimo sito dei Frati Minori d’Umbria  https://www.assisiofm.it/news-angelo-una-storia-da-raccontare.html )

 

 

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